Vaticano, da Parolin un sostegno importante per i progetti di riforma di Bergoglio

Orazio La Rocca
la Repubblica | 25.10.2013

Il successore di Bertone è considerato un abile diplomatico, ma anche un pastore vicino alla gente.

“Parolin segretario di Stato, va bene. Ma altri Parolin non si intravedono all’orizzonte e il Papa ne dovrà tener conto”. Conto alla rovescia per l’entrata in campo, domani, del nuovo segretario di Stato della Santa Sede, Pietro Parolin, ex nunzio apostolico in Venezuela.

Chiamato dal pontefice a sostituire il cardinale Tarcisio Bertone, il nuovo numero uno della Curia riporta la Segreteria di Stato alle originarie caratteristiche diplomatiche. Stili e modi di agire secondo gli insegnamenti della storica scuola diplomatica vaticana, andati persi negli otto anni dell’era Bertone, salesiano, fedele segretario di Joseph Ratzinger sia da cardinale prefetto dell’ex Sant’Uffizio che da pontefice.

Al nuovo Segretario di Stato vengono universalmente riconosciute doti di grande pastore, vicino alla gente (ha lavorato in parrocchia) e di fine diplomatico. “Sicuramente in Vaticano farà bene”, dicono Oltretevere, dove però lamentano la mancanza di “altri” Parolin. E le grandi riforme annunciate dal Papa senza persone nuove, capaci, dal curriculum inattaccabile, non si possono fare, lamenta in Curia chi incomincia a guardare con qualche preoccupazione alle annunciate riforme di Bergoglio.

Specialmente se si pensa che Oltretevere si andrà verso accorpamenti di dicasteri “simili” (Famiglia, Giustizia e pace, Ior e Apsa, Clero e vescovi, Giustizia e pace e Dialogo interreligioso…), per i quali ci sarà bisogno di bravissimi ecclesiastici-manager dotati, soprattutto, di altissimo profilo morale, umano e pastorale.

Con l’arrivo di Parolin, intanto, si va verso un totale cambiamento di stile (nelle forme e nelle scelte operative) al timone della Curia, prima vera rivoluzione del Papa argentino. Ma anche la sola (almeno finora), pur davanti alle indubbie grandi novità legate all’avvento di Bergoglio. Lo stile di Francesco piace, come piace il suo modo di parlare alle folle (alle udienze papali le presenze sfiorano quasi sempre le 100 mila persone); piace la sua scelta di vivere in comunità a Casa Santa Marta al posto del mega appartamentopapale del Palazzo Pontificio; la sua voglia di aprirsi al mondo, specialmente ai giovani, ai sofferenti, alle donne, ai bisognosi, ai lontani, ai non credenti.

Un esempio per tutti, lo storico scambio epistolare col fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari, culminato con una lunga intervista allo stesso giornalista, considerato già tra le più importanti e significative pietre miliari del dialogo tra credenti e non credenti nella storia della Chiesa.Non da meno, l’altra grande intervista rilasciata a padre Antonio Spadaro, direttore del quindicinale della Compagnia di Gesù, “Civiltà Cattolica”, al quale – da gesuita a gesuita – il Papa ha illustrato la Chiesa che si appresta a “costruire” col coinvolgimento degli episcopati tramite il Sinodo dei vescovi, con più collegialità, con ruoli più importanti per le donne, spingendosi ad aprire persino al cardinalato femminile, facendo storcere la bocca a tradizionalisti e “benpensanti” dentro e fuori il Vaticano.

Come, tra l’altro, dimostra un velenoso editoriale apparso nei giorni scorsi sul quotidiano Il Foglio diretto da Giuliano Ferrara dall’eloquente titolo: “Ecco perché questo Papa non ci piace”.Negative spigolature, scontate e controcorrente, che nulla possono davanti all’inarrestabile marea di consensi che circondano Bergoglio, diventato persino beniamino di anonimi fan con le sue continue telefonate a privati cittadini.

Consensi che iniziarono a prendere forma appena eletto, con la sorprendente pubblica confessione di voler vedere una Chiesa più vicina ai poveri, più attenta alle sofferenze, lontana dagli sfarzi e dalla mondanità, come ha ricordato anche il 4 ottobre scorso ad Assisi. Desideri, bei propositi, ma non solo.Per la riforma della Curia ha istituito un consiglio di 8 cardinali; per rifondare lo Ior (che non a caso ha pubblicato per la prima volta il bilancio), ha istituito una commissione cardinalizia referente; così pure per ristrutturare gli enti economico-amministrativi della Santa Sede.Ma, al di là di queste prime mosse, finora nient’altro è stato fatto. Anzi, i tempi preannunciati dagli 8 cardinali saranno lunghi.

Per cui in Vaticano si adombra il pericolo che forzando la mano delle riforme si rischia di gettare l’acqua sporca con tutto il bambino. Con l’arrivo del nuovo Segretario di Stato, Pietro Parolin, il Papa sarà sicuramente affiancato da un primo collaboratore in grado di dargli una robusta mano sul piano operativo, anche se qualcuno in Vaticano da qualche tempo lo sta riservatamente invitando “a prendere un po’ di fiato e a non tirare troppo la corda”.

Ma Papa Francesco vuole fermamente riformare la Curia e difficilmente si farà condizionare da chi alle sue spalle gli rema contro. Anche se gli esempi dei suoi predecessori che si sono cimentati a riformare la Curia non sono incoraggianti. Paolo VI ci impiegò 5 anni dalla elezione. Giovanni Paolo II, 10 anni. E Benedetto XVI in 8 anni di pontificato non ha avuto tempo. Bergoglio è in Vaticano da appena 7 mesi.