Doppia morale in Vaticano?

Federico Tulli
http://cronachelaiche.globalist.it

Papa Francesco invoca trasparenza sulla pedofilia clericale, ma la Santa Sede rifiuta di rispondere all’Onu sugli insabbiamenti e le modalità di gestione dei crimini

Secondo la chiave di lettura più diffusa, l’intransigente gesuita Jorge Mario Bergoglio sarebbe stato chiamato a far da papa perché considerato la persona più indicata a raggiungere lo scopo di deviare o quanto meno arginare il flusso letale di notizie e reati “sessuali” e finanziari, veri e presunti, che minacciava la credibilità della Chiesa nel mondo. Dal 13 marzo 2013, a partire dalla scelta del nome Francesco, per diversi mesi non è passato giorno in cui il suo pontificato non sia stato definito “di rottura col passato”. Un passato rappresentato da Giovanni Paolo II, mai incisivo contro la pedofilia, e Joseph Ratzinger, per usare un eufemismo, tardivamente incisivo. Basti citare per entrambi la gestione del caso di Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo, segnalato alle gerarchie come stupratore per almeno 50 anni, e “condannato” da Benedetto XVI praticamente solo sul letto di morte a 80 anni suonati.

La pretesa di pulizia di Bergoglio, invocata pubblicamente anche per i reati finanziari compiuti tra le Mura leonine, è sostenuta con enfasi dai principali media generalisti italiani i quali hanno anche trovato un nesso con le azioni che la magistratura italiana porta faticosamente avanti contro i traffici di denaro di dubbia provenienza che transitano nello Ior. Questo sebbene sia assodato che mai è partita da dentro il Vaticano una sola denuncia. Né prima del 13 marzo 2013, giorno in cui il cardinale Bergoglio è asceso al soglio pontificio e Benedetto XVI è divenuto papa emerito. Né dopo.

Un silenzio e una linea di condotta che presentano profonde analogie con l’atteggiamento adottato nei confronti della pedofilia clericale da parte delle gerarchie ecclesiastiche in tutto il mondo. Italia compresa, come ha confermato direttamente nel 2010 senza tanti giri di parole il magistrato Pietro Forno, tra i massimi esperti in Europa di questi crimini: «Nessuna denuncia da parte dei vescovi appartenenti alla Conferenza episcopale italiana – disse Forno, in un’intervista che quasi gli costò il posto – è mai arrivata alla magistratura riguardo casi di pedofilia clericale». E come hanno confermato “indirettamente” le Nazioni Unite il 10 luglio 2013 chiedendo alla Santa Sede, l’entità diplomatica della Città Stato, con esplicito riferimento alla Carta dei diritti del fanciullo del 1989, di rivelare i dettagli dei casi delle migliaia di minori che hanno subito abusi all’interno delle istituzioni cattoliche dal 1995.

In quella occasione la Commissione Onu per i diritti dei bambini ha pubblicato una «lista di argomenti» sui quali si chiedono spiegazioni alla Santa Sede – il cui capo, per inciso è papa Bergoglio – in vista dell’udienza sulla questione che si terrà a Ginevra il 16 gennaio 2014. In particolare è stato chiesto quali misure abbia adottato la Chiesa per assicurare che i preti accusati di pedofilia venissero tenuti lontano dai ragazzi e quale supporto sia stato fornito alle vittime. L’Onu ha preteso anche spiegazioni per i casi in cui i minori «sono stati ridotti al silenzio per minimizzare i rischi che le vicende venissero rese pubbliche».

L’11 luglio, il giorno dopo l’istanza delle Nazioni Unite, papa Bergoglio ha promulgato il Motu proprio “sulla giurisdizione degli organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano in materia penale”. La riforma è entrata in vigore il primo settembre scorso, dando attuazione tra le altre cose, alla Convenzione Onu sui diritti del fanciullo ratificata nel 1989 ma mai applicata.

La scorsa settimana la Segreteria di Stato vaticana ha spedito a Ginevra una memoria scritta con la risposta alle domande dell’Onu, nella quale – sebbene lo scorso marzo papa Francesco abbia detto chiaro e tondo che la soluzione dei crimini sessuali è vitale per la credibilità della Chiesa – la Santa Sede si rifiuta di fornire le informazioni richieste perché a suo dire i casi di pedofilia clericale erano di competenza dei sistemi giudiziari dei Paesi in cui le migliaia di abusi hanno avuto luogo.

Nella sua risposta, la Santa Sede ha insistito sul fatto di essere “separata e distinta” dalla Chiesa cattolica romana, e che non è sua prassi rivelare informazioni sulla disciplina religiosa del clero se non espressamente richiesto dalle autorità del Paese in cui il clero offre la sua opera. Non mancando però di sottolineare di aver cambiato i criteri di selezione dei sacerdoti e rivisto la legge della Chiesa per garantire una corretta disciplina del clero in materia di abusi.

Chi scrive è in possesso della documentazione di 25 pagine spedita il 25 novembre scorso dalla Santa Sede alla Commissione Onu per i diritti dei bambini. Ecco la traduzione italiana dell’abstract.

In riferimento alla lista delle domande anzidette, la Segreteria di Stato della Santa Sede, nel trasmettere le risposte scritte al CRC/C/VAT/Q/2, ha l’onore di sottolineare alcuni punti essenziali a tale riguardo:

1) Come ogni altro Soggetto del diritto internazionale, la Santa Sede svolge le sue attività all’interno della comunità internazionale, e allo stesso tempo mantiene la specificità e gli obiettivi stabiliti dal suo sistema giuridico, e secondo la propria giurisdizione interna, come è sempre stato riconosciuto dalla prassi internazionale.

2) Quando la Santa Sede diventa Stato membro di una Convenzione multilaterale, essa procede alla valutazione necessaria delle norme convenzionali anzidette secondo la propria essenza ed il proprio ruolo di organo centrale della Chiesa Cattolica e a capo dello Stato Città del Vaticano. Inoltre, come è ben noto, la Santa Sede contribuisce offrendo sostegno morale per la effettiva diffusione dei principi delle Convenzioni allo scopo di favorire la determinazione dell’opinio juris (è il convincimento spontaneo di un soggetto, che abbia o meno contribuito all’adozione della norma, che la condotta o i principi stabiliti nella stessa siano giuridicamente obbligatori, n.d.r.), consentendo alle Convenzioni stesse di entrare in vigore più rapidamente, di essere conosciute ed essere efficaci.

Nel caso specifico della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, la Santa Sede considera questo strumento come il più importante tra le norme del diritto internazionale, rendendo possibile l’uniformità in merito ai livelli di salvaguardia della dignità di ogni bambino, per garantire l’interesse prevalente del fanciullo in ogni condizione e situazione.

Tuttavia, tenendo in considerazione la sua natura specifica, che si differenzia dalla struttura e dalle finalità degli altri stati membri della Convenzione, la Santa Sede ritiene in buona fede che alcune richieste di spiegazioni da parte della Commissione si riferiscano a situazioni concrete che ricadono al di fuori del diretto controllo della Santa Sede, in quanto si tratta di fatti di cui sono responsabili persone e istituzioni cattoliche presenti in altri paesi. Per questo motivo, ogni interpretazione, valutazione ed azione legale riguardante quei fatti e quelle situazioni rientrano tra le competenze del sistema giuridico degli stati coinvolti.

D’altro canto, la Santa Sede fornisce tutte le informazioni necessarie richieste dalla Commissione per quanto riguarda ciò che avviene all’interno dello Stato Città del Vaticano, sul cui territorio esercita la sua piena giurisdizione, ed in merito al quale ha pertanto l’obbligo di attuare pienamente la Convenzione e supervisionarne l’applicazione.

[segue timbro: Segreteria di Stato – rapporti con gli Stati]