Sul divorzio, la chiesa è fuori dalla storia. Un “colloquio” in attesa del sinodo

Giampaolo Petrucci
Adista Notizie n. 46 del 28/12/2013

«Non tutte le storie hanno un lieto fine». Succede spesso, nella vita matrimoniale, che l’amore finisca o ci si innamori di un nuovo partner, fino al divorzio e al tentativo di ricostruire un percorso diverso. E se la società ha ormai imparato a farci i conti, per la Chiesa esistono solo porte chiuse. È proprio la dolorosa condizione dei divorziati risposati nella Chiesa al centro del colloquio dal titolo “La Chiesa e i divorziati. Un dramma cristiano”, curato dal mensile dei Paolini Jesus sul numero di dicembre, e intercorso tra Oliviero Arzuffi, don Basilio Petrà, Giannino Piana, Marinella Perroni, Silvano Sirboni.

Un tema tornato in auge dopo il botta e risposta tra la Chiesa di Friburgo, guidata da mons. Robert Zollitsch – che pensava di concretizzare il rinnovamento promesso da papa Francesco a partire dall’accoglienza ai sacramenti per i divorziati risposati – e la Congregazione per la Dottrina della Fede del card. Gerhard Ludwig Müller, che ha replicato con una ferrea chiusura.

«Qualcosa, però, oggi potrebbe cambiare», afferma Jesus, alludendo all’atteggiamento di dialogo di papa Francesco e alle aspettative accese dall’inatteso coinvolgimento della base cattolica intorno al Questionario (v. notizie precedenti). «Ci sono delle vie teologiche, pastorali o giuridiche per cambiare la loro condizione, che agli occhi dei più appare semplicemente discriminatoria?». Intorno a questa domanda, la redazione ha convocato i cinque “esperti”, offrendo un’interpretazione che va dalla teologia morale all’esegesi biblica, dalla liturgia alla pastorale.

Lacerazioni e contraddizioni

Secondo Arzuffi, «c’è un’esclusione di fatto, oltre che di diritto, di queste persone, che è prescritta dalle norme canoniche». Non solo si è messi fuori dal sacramento, ma da ogni possibilità di partecipare alla vita della comunità. «È un “no” su tutto! Questo ingenera amarezza e disorientamento», oltre che senso di colpa e la percezione di essere peccatori e cristiani di serie B. Al disagio degli “irregolari” si accompagna, sottolinea, quello dei sacerdoti che, lacerati tra la norma da applicare e la vicinanza alla condizione umana, vivono sulla loro pelle il conflitto tra legge e Vangelo. Per questo, aggiunge il teologo morale Petrà, «in molte diocesi italiane e straniere esistono percorsi di accompagnamento dei divorziati risposati». Ma lo scoglio della legge permane.

Cosa dice la parola?

La riflessione sull’indissolubilità del matrimonio prende le mosse dai Vangeli di Marco e Matteo e dalle lettere di Paolo. Ma le letture richiedono costantemente interpretazioni e contestualizzazioni che, nel corso della storia, hanno prodotto visioni (e regolamentazioni) differenti anche dentro la stessa Chiesa di Roma. Di tutte le applicazioni del suggerimento evangelico all’indissolubilità del matrimonio, e di tutte le eccezioni rinvenibili nelle Scritture, rendono conto gli autori del dibattito, fino al suggerimento conclusivo della biblista Marinella Perroni: «Dovremmo usare molta accortezza e prudenza quando facciamo ricorso ai brani delle Scritture. È pericoloso utilizzare in maniera disinvolta dei versetti che si riferiscono a questioni precise e a contesti precisi, per trovare risposta a nodi teologici e pastorali di 2.000 anni dopo». E conclude: forse, queste risposte «dobbiamo cercarle altrove, specialmente nell’atteggiamento di misericordia che Gesù ha avuto nei confronti dei suoi simili».

Dal Vangelo alla legge

Il Medioevo ha trasformato un invito evangelico in una norma giuridica, e le cose sono rimaste invariate fino ai giorni nostri. Secondo il teologo morale Giannino Piana, è però necessario distinguere tra «norme-precetto» – come i comandamenti «che hanno un carattere imperativo-negativo» – e «norme escatologico-profetiche», più aperte, che mirano all’ideale di perfezione «e che stimolano il credente a un cammino di permanente conversione». L’approccio escatologico-profetico appartiene, ad esempio, al mondo protestante, che considera il vincolo matrimoniale «Vangelo e non legge». Ed è anche, conclude, «l’opinione della stragrande maggioranza degli esegeti cattolici», che desiderano una Chiesa più evangelica e meno normativa, che accolga la persona con la sua storia, e capace anche di accettare, aggiunge Petrà, che «i matrimoni falliscono, anche quelli dei cattolici, perché siamo umani!».

Verso il Sinodo

La “conversione” è prima di tutto culturale e il cammino non è certo breve: innanzitutto la Chiesa, secondo i cinque, deve abbandonare il controllo sulla sessualità; poi dovrebbe imparare a considerare l’amore – e non l’atto fisico procreativo – come fondamento dell’unione; ancora, dovrebbe pensare il divorzio alla stregua della morte, una sorta di “morte morale” che liberi le persone è consenta loro di ricominciare a vivere, anche nella comunione ecclesiale. La Chiesa cattolica potrebbe infine recuperare la tradizione ortodossa che ammette le seconde nozze a determinate condizioni.Il prossimo Sinodo sarà, secondo Jesus, il banco di prova di tante suggestioni. Ma con quale spirito le gerarchie dovrebbero affrontarlo? Perroni suggerisce al papa di aprire i lavori chiedendo «perdono a tutti quelli che per questa disciplina della Chiesa hanno sofferto in modo terribile». Secondo Petrà poi «la Chiesa dovrebbe prendere atto che i matrimoni falliscono. È ora di fare i conti con il principio di realtà». Superare le palesi contraddizioni è invece l’imperativo secondo Arzuffi: «Qualcuno scherzosamente mi ha suggerito che, invece di divorziare, avrei potuto ammazzare mia moglie, tanto poi, con una buona confessione, tutto si sarebbe sistemato. Una provocazione oltre i confini dell’assurdo, che rivela però le contraddizioni insite in questo modo di concepire l’indissolubilità e che mette in discussione un certo modo di essere Chiesa».