La grazia genera gioia

Fulvio Ferrario
www.riforma.it

Il commento giornalistico protestante a un documento pontificio si sviluppa solitamente secondo uno schema semplice e consolidato: esposizione del testo, apprezzamento di alcuni aspetti, annotazioni critiche. Senza pretendere di sfuggire a questa regola, ne darò un’interpretazione assai libera, per due ragioni: a) il documento è talmente lungo e articolato che riassumerlo in breve significherebbe, in pratica, trascriverne l’indice e in tal modo banalizzarlo; b) può essere suggestivo, per una volta e dato il tema, che la chiesa evangelica si ponga anzitutto in ascolto dell’insegnamento di questo autorevole fratello, applicandolo a se stessa. Le inevitabili chiose critiche saranno contenute al minimo, anche perché sono ovvie.

Un centro, due coordinate. L’intero documento si sviluppa intorno a un punto centrale, articolato secondo due coordinate.

Il centro. L’evangelizzazione è il cuore della missione della chiesa. Si tratterebbe di un’ovvietà, se l’esperienza di tutte le chiese non mostrasse il contrario, che cioè al centro della loro vita è il tran tran della sopravvivenza, sovente declinato sul registro della gestione delle beghe interne, di varia natura. Ben venga, dunque, il richiamo, visto anche che le Chiese valdesi e metodiste si preparano a vivere una settimana di evangelizzazione che, nelle intenzioni, dovrebbe costituire il paradigma delle altre cinquantuno dell’anno. Le due coordinate: a) l’accento cade sul carattere evangelico dell’evangelizzazione, cioè sulla buona notizia, presentata mediante la nozione di gioia. L’«Esortazione apostolica» si diffonde ampiamente sulla critica agli aspetti considerati deteriori della cultura contemporanea, dall’idolatria del denaro (tema notoriamente caro a Francesco) alla «tristezza individualistica». È essenziale, tuttavia, che la comunità evangelizzatrice non si rinchiuda in un atteggiamento di contrapposizione, bensì che ponga in primo piano l’aspetto gioioso della missione. È evidente la sintonia tra questa sottolineatura pontificia e lo spirito che anima settori amplissimi del cristianesimo evangelico soprattutto nel Terzo Mondo (che però, come è noto, abita anche molto vicino a noi). b) L’impegno missionario è il criterio per la conversione della chiesa, per indicare la quale è utilizzata otto volte (secondo il calcolo del mio computer) la parola «riforma». Noi che ci apprestiamo a celebrare il giubileo della Riforma, quella che effettivamente si è verificata, potremmo utilmente prendere in parola il pontefice romano, facendo della proclamazione del messaggio della Riforma il criterio delle iniziative celebrative. Non ho nulla contro gli approfondimenti storiografici né contro la sempiterna ricerca delle radici protestanti della modernità, della laicità, della società aperta e quant’altro. La Riforma, però, ha riformato la chiesa per dire che Dio, in Gesù Cristo, è pura grazia e per questo il mondo è stato trasformato. E il papa ha ragione: la grazia genera gioia. Quale grazia, quale gioia, genera oggi l’evangelo? Per me, la domanda del giubileo del 2017 è questa. Celebrarlo ecumenicamente non significa correre dietro a qualche cardinale per avere da lui una visita o una benedizione, bensì cercare, insieme al papa, perché no, e a chiunque voglia farlo, di ascoltare il gioioso messaggio della grazia di Dio. E poi, appunto, è ora di chiedersi in che senso tale messaggio riforma le strutture elefantiache e anchilosate delle nostre microscopiche chiese.

Predicazione e catechesi. I paragrafi sull’«omelia» e sulla catechesi andrebbero utilmente discussi in dettaglio. Non potendo farlo in questa sede, mi limito a ricordare il titolo anteposto ai par. 163-168: «Una catechesi kerygmatica e mistagogica». In parole più semplici: concentrata sul nucleo dell’annuncio e tesa a introdurre nella vita cristiana e nei suoi simboli. Al di là dei contenuti concreti che tale programma assume nella prospettiva del papa, mi sembra importante l’accento su una visione contenutistica della catechesi. Nessuno vuole, ovviamente, censurare l’aspetto pedagogico, ma esso è funzionale a un obiettivo che resta prioritario anche se, oggi, è spesso mancato, soprattutto con i giovani (diverse sono le nostre esperienze nella catechesi degli adulti): formare membri di chiesa. Ancora più terra-terra: poche idee, ma chiare, sostanziate di vita (anche semplice, a esempio: la domenica si va al culto) e orientate, tanto per cominciare, al piccolo cabotaggio della nostra realtà comunitaria. L’annuncio dell’orizzonte infinito del Regno comincia infatti da lì.

Un orientamento «pratico»? Di «Maria, la Madre dell’evangelizzazione» (?! ricorda la Maria «donna eucaristica» di Giovanni Paolo II) parleremo un’altra volta, così come delle indicazioni su ecumenismo e dialogo interreligioso, in linea di massima condivisibili, ma anche piuttosto generali. Il testo, nell’insieme, riflette l’impressione di questi primi mesi di pontificato di Francesco: apparentemente, la «dottrina» è in secondo piano, rispetto alla «prassi». Francesco appare convinto che attardarsi in precisazioni teologiche rappresenti una perdita di tempo. Detto così, suona bene, visto che è difficile negare che le chiese abbiano un gran bisogno di sostanziosa prassi evangelizzatrice. Resta il fatto che la fede cristiana si esprime in un linguaggio, che ha bisogno anche di dottrina. Di solito chi non la tematizza tende, consapevolmente o meno, a farne passare una implicita (ma non troppo: la madre dell’evangelizzazione, appunto, e simili), ma non per questo meno stagliata: è un punto sul quale l’attuale pontefice sembra ancora dover offrire qualche chiarimento.