Francesco, una normalità che fa clamore

Raffaele Garofalo
Adista n. 2 del 18/01/2014

La singolare intervista di Eugenio Scalfari a papa Francesco su Repubblica e quella di Andrea Tornielli su La Stampa offrono spunti di riflessione che lo stesso papa tornerà ad approfondire.

Bergoglio sta aprendo il cuore anche a chi pensa di averlo chiuso a doppia mandata alla Chiesa. 40 anni fa, usare il linguaggio e compiere i gesti di Francesco voleva dire, per la Chiesa di allora, “favorire il lassismo”, “screditare la propria dignità e quella dell’Istituzione”. Indossare una semplice tunica bianca, e non una casula broccata d’oro per celebrare i riti, equivaleva, più o meno, ad “attentare alla sacralità” della liturgia. Impastare il cemento per restaurare la chiesa «non era dignitoso» per un parroco, diceva un vescovo. «Curare le ferite in un ospedale da campo» mostrandosi comprensivi verso i peccatori, anche quelli “pubblici”, i divorziati risposati, gli omosessuali, significava dare scandalo più delle persone avvicinate. Sostenere che il sesso è creato per la riproduzione della specie ma anche per la mutua manifestazione d’amore nella coppia, voleva dire essere licenziosi. Ritenere un diritto dell’individuo porre termine alla propria esistenza quando la vita non ha più la dignità che Dio le ha attribuito creandola significava (e significa tuttora) essere complici di assassinio.

I preti che parlavano e si comportavano in tal modo pagavano un prezzo abbastanza alto. Anche essi erano convinti di essere in un campo di battaglia, secondo la metafora di Francesco, per curare le ferite dell’umanità. Ferite che spesso procura la Chiesa stessa con le sue leggi insostenibili. La dignità di figli di Dio rifiuta ogni paternalismo, anche spirituale. Non vive una vita cristiana dovendosi appellare continuamente alla “misericordia” e al “perdono” di Dio. Il cristiano deve poter vivere tranquillo con la propria coscienza liberato dai «grossi pesi posti sulle sue spalle».

La pastorale esemplare e confortante di Francesco, le parole e i gesti dovranno essere ben presto l’anima di una “nuova teologia” a favore dell’essere umano. Le cure immediate del primo soccorso si dovranno tradurre in una terapia duratura ed efficace. Quanti un tempo parlavano e agivano come papa Bergoglio non chiedono di essere “riabilitati”. Ora è la Chiesa che si sta riabilitando con questo papa. Una Chiesa più fedele al Vangelo è la rivalsa più appagante. Per l’umanità. I cristiani sono fiduciosi che il cambiamento continuerà anche dopo Bergoglio. Non verranno altri papi dall’Est, dall’Ovest o dalla fine del mondo ad interrompere il provvidenziale cammino iniziato. Come avvenne dopo Giovanni XXIII!

Un tema appena sfiorato nelle interviste di Francesco è stato quello scottante dell’impegno politico della Chiesa. Bergoglio afferma che «la Chiesa non si occuperà di politica», «le istituzioni politiche sono laiche per definizione e operano in sfere indipendenti», il loro «rapporto è convergente solo per aiutare il popolo».

Tuttavia una religione senza politica sarebbe una fuga dai problemi dell’essere umano e dalla speranza di cambiamento che si impone alla società. Cristo non fu al di sopra delle parti, dichiarò beati i poveri e minacciò i ricchi. Nel Vangelo Maria esalta un Dio che rovescia i potenti dai loro troni, innalza gli umili, rimanda i ricchi a mani vuote, colma di beni chi ha fame. Un Dio schierato che rende difficile ai ricchi l’ingresso nel Regno dei Cieli con l’efficace metafora della gomena o del cammello.

Accennando alla teologia della liberazione, Bergoglio confessa la sua stima per quei teologi che «erano credenti e con un alto concetto di umanità». Tuttavia «davano un seguito politico alla loro teologia». È vero. Difendevano i diritti delle loro popolazioni oppresse dai regimi dittatoriali di quei Paesi. Francesco ricorda una sua professoressa, comunista, che stimava molto, «una persona coraggiosa e onesta» che gli era stata di grande aiuto. «Fu poi arrestata, torturata e uccisa dal regime dittatoriale allora governante in Argentina». Non potrà essere santificata perché non credeva nel Dio cattolico.

Anche due gesuiti della Provincia argentina furono arrestati e torturati. Tanti giovani desaparecidos venivano reclamati invano dalle loro mamme in Plaza de Mayo. Bambini orfani dei genitori scomparsi furono sottratti con la forza alle famiglie per essere affidati ai militari del regime. Un abominio e un genocidio che quelle madres e quelle abuelas continuano a piangere. Né la Chiesa di Roma né quella argentina alzarono la voce contro la dittatura, è l’accusa di quelle donne disperate.

Il mondo ricorda un altro papa, difensore dei diritti umani nei paesi dell’Est. Papa Wojtyla in Cile si affacciava al balcone accanto a un dittatore sanguinario che si proclamava cattolico, Pinochet. Una sorta di tacito riconoscimento. Le Chiese tacciono per “prudenza”, si ripete lungo la Storia, ma la prudenza, nei regimi dittatoriali sanguinari, è ugualmente una “politica”. Prudenza di comodo, non evangelica. I teologi della liberazione furono condannati da due papi. Il loro schierarsi fu una “imprudenza”, cristianamente doverosa.

Nell’intervista a La Stampa Bergoglio è stato più esplicito nell’esprimere un giudizio sull’ideologia marxista: «È sbagliata». Certo, sono sbagliati i sistemi totalitari sorti su quella ideologia. Ma non può essere sbagliata l’idea dell’uguaglianza tra gli esseri umani, della giustizia, della liberazione delle subalterne sfruttate. Sono temi dalla radice cristiana. La Bibbia è un continuo ritornello di un Dio che libera il suo popolo dalla schiavitù. Eppure in casa cristiana potremmo dire che sono sbagliate le scomuniche, i roghi, i bavagli imposti a teologi e a religiosi di avanguardia. È sbagliata la Curia, è perverso lo Ior che ricicla denaro sporco, sono sbagliati i prelati in lotta di potere che fanno del servizio alla Chiesa un trampolino per le proprie ambizioni. Ma per questo non diremo mai che è sbagliato il cristianesimo.

Bergoglio paga il suo contributo al marxismo riconoscendo che molti comunisti da lui incontrati sono brave e oneste persone. Tuttavia la professoressa che ha ricordato e tanti altri come lei non adoravano il Dio del Tempio di Gerusalemme né quello del monte Garizim. Per Francesco la fede nel Dio del Catechismo è una forte discriminante. Un samaritano del mondo moderno potrà mai salvarsi?

Francesco afferma di accettare solo la Dottrina sociale della Chiesa, a cui unicamente dà credito e intende fare riferimento. Quella dottrina nasce con la Rerum Novarum del 1891, più di 50 anni dopo le prime lotte operaie. Con quell’enciclica, per la prima volta, la Chiesa prendeva coscienza delle «mutate relazioni tra padroni e operai», dell’«essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà», di essere «di estrema necessità venir in aiuto e senza indugio e con opportuni provvedimenti ai proletari», denunciava che «le istituzioni e le leggi venivano allontanandosi dallo spirito cristiano, e che, a poco a poco, gli operai rimanevano soli e indifesi in balia della cupidigia dei padroni». Quel testo ricalcava fedelmente i temi delle lotte affrontate dai movimenti dei lavoratori. Perfino il linguaggio tradiva l’eco dei manifesti di metà ‘800. La Chiesa riscopriva che «l’operaio ha diritto alla giusta ricompensa». Una grossa conquista, considerando che quando i movimenti dei lavoratori, in tutta Europa, rivendicavano stipendi adeguati e maggiore dignità per chi lavorava nelle fabbriche e nelle campagne, la Chiesa condannava quelle manifestazioni e predicava il rispetto dell’ordine costituito. Non stava dalla parte dei poveri.

Il movimento operaio è stato un forte stimolo alla Chiesa per riscoprire la sua missione di vicinanza agli ultimi. Dopo secoli, si prendeva coscienza che la Carità non era solo la beneficenza, l’elemosina di san Vincenzo de’ Paoli ma, soprattutto, il riconoscimento dei diritti delle persone, il rispetto della dignità dell’essere umano. La beneficenza umilia chi la riceve e denuncia lo stato di ingiustizia di chi è in grado di farla.

Francesco sta offrendo la speranza di un reale cambiamento che è solo all’inizio. La sua simpatia riempie il cuore. Si può essere fiduciosi che restituirà la Parola a quei teologi ridotti al silenzio per aver dato «un seguito politico alla loro teologia». In occasione del Giubileo del 2000 il cardinale di Buenos Aires dichiarò pubblicamente che la Chiesa argentina doveva chiedere perdono per non aver difeso adeguatamente i diritti dei cittadini conculcati durante la dittatura. Una ammissione che rafforza la speranza riposta in lui. Richiamando il profeta Isaia, il Vangelo fa annuncio di «liberazione dei prigionieri». Anche la Chiesa è prigioniera. Di se stessa. Lo dice, giornalmente, il papa stesso.

* Prete, Pacentro (Aq)