La curia di Francesco, paradiso delle multinazionali

Sandro Magister
http://chiesa.espresso.repubblica.it

Sarà pure “povera e per i poveri” la Chiesa sognata da papa Francesco. Intanto però il Vaticano sta diventando il Paese di Bengodi delle più pregiate e costose fabbriche al mondo di sistemi organizzativi e finanziari.

L’ultima arruolata è la leggendaria McKinsey & Company, con l’incarico di sfornare “un piano integrato per rendere l’organizzazione dei mezzi di comunicazione della Santa Sede maggiormente funzionale, efficace e moderna”. Quanto basta per seminare il panico tra gli addetti ai lavori, che negli ultimi tempi in Vaticano non sono diminuiti ma aumentati, in un crescendo di confusione.

A padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa e portavoce ufficiale, è stato aggiunto un “senior communications adviser” nella persona del giornalista americano Greg Burke, membro dell’Opus Dei, con un ufficio in segreteria di Stato.

Per non dire dei due addetti stampa che il presidente dell’Istituto per le Opere di Religione, Ernst von Freyberg, si è portato a Roma la scorsa primavera dalla sua Germania, Max Hohenberg e Markus Wieser, entrambi della Communications & Network Consulting.

Poi c’è la Radio Vaticana diretta dallo stesso Lombardi, con 30 milioni di dollari di passivo annuo e con tanti giornalisti quanti ne servivano una volta per trasmettere in onde corte nelle lingue e nelle regioni più remote del globo, ma ora in sovrannumero.

C’è “L’Osservatore Romano”, altra voragine di costi con le poche migliaia di copie giornaliere della sua edizione principale.

C’è il Centro Televisivo Vaticano, che fa buoni incassi grazie all’esclusiva mondiale delle immagini del papa ma deve fronteggiare spese proibitive con la Sony e altre grandi firme per la modernizzazione delle tecnologie.

E poi ancora c’è il pontificio consiglio per le comunicazioni sociali, un carrozzone burocratico che avrebbe dovuto fare lui il lavoro ora affidato alla McKinsey, ma evidentemente non ne è stato ritenuto capace.

In questo disordine si è capito da un pezzo che papa Francesco preferisce fare di testa sua. Delle tre sue interviste che più hanno fatto rumore, due le ha date ai gesuiti de “La Civiltà Cattolica” e una al superlaico fondatore de “la Repubblica”, senza che né padre Lombardi né Burke né altri vi avessero a che fare.

Altra firma di grido reclutata dal Vaticano è il Promontory Financial Group, con sede centrale a Washington. Da maggio, una dozzina di suoi operatori si sono installati nei locali dello IOR e passano al setaccio ad uno ad uno i conti dell’istituto, in caccia di operazioni illecite. Altrettanto fanno con i conti dell’APSA, l’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica.

Non solo. Dirigenti di spicco di Promontory fanno parte ormai in pianta stabile del vertice dello IOR. Era di Promontory Rodolfo Marranci, il nuovo direttore generale della “banca” vaticana. E sono divenuti senior adviser dello IOR Elizabeth McCaul e Raffaele Cosimo, capi rispettivamente delle sedi di New York e per l’Europa di Promontory. Da oltre Atlantico viene anche Antonio Montaresi, chiamato a dirigere l’ufficio rischi, un ruolo che nello IOR prima non esisteva.

Un’analoga moltiplicazione dei ruoli e del personale interessa in Vaticano anche l’Autorità di Informazione Finanziaria, creata alla fine del 2010 da Benedetto XVI, oggi diretta dallo svizzero René Brülhart, costosa star internazionale in materia, e prossima a raddoppiare il suo staff.

A certificare i bilanci dello IOR c’è la Ernst & Young, alla quale il Vaticano ha ora affidato anche la verifica e l’ammodernamento delle attività economiche e della gestione del governatorato del piccolo Stato.

E a un’altra blasonata multinazionale, la KPMG, è stato chiesto di allineare agli standard internazionali la contabilità di tutti gli istituti ed uffici con sede nella Città del Vaticano.

A dispetto della decantata trasparenza, nulla trapela sui costi di questi ricorsi ad operatori esterni, costi che si presumono ingenti, in particolare quelli a carico dello IOR.

Come non bastasse, la “banca” vaticana ha dovuto coprire con 3,6 milioni di euro una parte del debito di 28,3 milioni, accertato dalla Ernst & Young, della giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro.

E con una decina di milioni di euro ha dovuto colmare metà della voragine lasciata nella diocesi di Terni dal suo ex vescovo Vincenzo Paglia, attuale presidente del pontificio consiglio per la famiglia.

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Rapporto Ior sul contrasto al riciclaggio

Luca Kocci
il manifesto, 23 gennaio 2014

All’indomani del nuovo ordine di arresto per mons. Nunzio Scarano, l’ex dirigente dell’Apsa (il “ministero del tesoro” di Oltretevere) accusato di riciclaggio dalla Procura di Salerno, l’Istituto per le opere di religione (la banca vaticana) pubblica un documento che fa il punto sulle politiche per la trasparenza e il contrasto al riciclaggio adottate fin dal primo trimestre del 2013, quando c’era ancora papa Ratzinger.

I significati di questo atto sono almeno due. Da un lato si marca la distanza dalla “mela marcia” Scarano, che per i suoi movimenti avrebbe usato proprio i conti correnti aperti presso lo Ior (congelati già a luglio, in occasione del primo arresto) grazie ai quali avrebbe “ripulito” oltre sei milioni di euro di provenienza illecita. Tanto che si puntualizza che la banca vaticana «ha ordinato un’indagine interna dettagliata sui fatti e sulle circostanze intorno ai conti in questione e ha presentato gli esiti alle autorità vaticane di competenza». E dall’altro si rafforza la nuova strategia comunicativa della trasparenza, avviata in estate con l’apertura del sito internet dello Ior nel quale sono stati pubblicati documenti di un certo rilievo, a partire dal rapporto annuale 2012. Quello del 2013 – informa la nota – sarà diffuso «intorno alla metà del 2014».

L’obiettivo è senz’altro quello di dimostrare che lo Ior è riformabile, anche per sedare le “parole in libertà” che attribuivano a papa Francesco l’intenzione di chiuderlo. E di continuare a mandare segnali a Moneyval, l’organismo di vigilanza del Consiglio d’Europa sulle normative antiriciclaggio degli Stati, che a dicembre ha espresso un giudizio positivo sui progressi di Oltretevere e che ha dato tempo alla Santa Sede fino a dicembre 2015 prima di decidere se ammettere o no il Vaticano nella white list dei Paesi virtuosi, da cui è ancora escluso.

Va comunque detto che qualche passo avanti in questo settore c’è stato. Il rapporto pubblicato ieri ne sintetizza alcuni, a cominciare dalla verifica dei clienti: sono stati controllati 10mila conti su un totale di 18-19mila – l’esame dovrebbe terminare entro l’estate – e ne sarebbero stati chiusi più di mille (questo però il rapporto non lo dice) appartenenti a clienti privati. Non necessariamente per «sospetta violazione delle norme contro il riciclaggio», precisa la nota dello Ior, ma perché non appartenenti alle uniche categorie ammesse, ovvero «istituzioni cattoliche, ecclesiastici, dipendenti o ex dipendenti dello Stato della Città del Vaticano titolari di conti per stipendi e pensioni, ambasciate e diplomatici accreditati presso la Santa sede».

Sono stati poi definiti criteri più restrittivi e potenziati i sistemi informatici per la «prevenzione» e il «contrasto al riciclaggio». I rapporti con le banche italiane sono ancora interrotti – vennero congelati dalla Banca d’Italia nel 2010, dopo l’avvio delle inchieste per riciclaggio –, infatti lo Ior «intrattiene relazioni con circa 35 banche di tutto il mondo». Ma il Vaticano, dopo che le autorità avranno vagliato le nuove norme contro il riciclaggio, «è pronto a riprendere le relazioni con le istituzioni finanziarie italiane».

Nelle prossime settimane la Commissione sullo Ior nominata da Bergoglio dovrebbe concludere il proprio lavoro, anche perché della banca vaticana si dovrebbe parlare nella prossima riunione (a febbraio) degli “otto saggi” scelti dal papa, il quale la scorsa settimana ha rinnovato la commissione cardinalizia di vigilanza, estromettendo il card. Bertone. E forse allora si capirà meglio in quale direzione andrà lo Ior.