Francia: il dibattito sul fine vita divide governo e chiesa cattolica

Ingrid Colanicchia
Adista Notizie n. 4 del 01/02/2014

Se l’anno scorso era stato il matrimonio gay a porre su fronti contrapposti governo e Chiesa cattolica francesi, quest’anno è la volta delle questioni legate al fine vita. Da più di un anno infatti il governo guidato da François Hollande ha aperto il dibattito in materia ventilando la possibilità per la Francia di entrare nel novero dei Paesi in cui è lecito ricorrere ad eutanasia e/o suicidio assistito. Prima ha assegnato il compito di studiare il quadro legislativo a una commissione presieduta da Didier Sicard, ex presidente del Comité national d’éthique, la quale, nel Rapporto consegnato nel dicembre 2012, ha optato per la cautela, raccomandando in primo luogo una migliore applicazione della legge del 2005 relativa ai diritti del malato (la legge Leonetti).

Poi, come prevede la legge, Hollande – il quale ha sottolineato che, «malgrado gli apporti innegabili della legge Leonetti, la legislazione non permette di rispondere all’insieme delle legittime preoccupazioni espresse dalle persone affette da malattie gravi e incurabili» – ha investito della questione il Comité consultatif national d’Ethique pour les sciences de la vie et de la santé (CCNE) che nel luglio 2013 ha reso note le sue conclusioni. In buona sostanza il Comitato ha sollecitato un miglioramento delle cure palliative, ha riconosciuto il diritto, in alcuni casi, a una sedazione terminale, ma si è espresso negativamente – anche se con qualche distinguo interno – rispetto all’ipotesi di legalizzare eutanasia e suicidio assistito, auspicando un dibattito pubblico nazionale sul tema.

Nel dicembre scorso è arrivato poi il parere della Conferenza cittadina organizzata dal CCNE – composta da 18 persone scelte per rappresentare al meglio la diversità della popolazione francese – la quale ha concluso auspicando la legalizzazione del suicidio assistito e, pur dicendosi contraria all’introduzione dell’eutanasia, si è detta favorevole a un’«eccezione di eutanasia» per quei casi particolari, senza altra soluzione, per cui non si possa ricorrere al suicidio assistito.

In febbraio Hollande riceverà quindi il rapporto finale del CCNE basato sulle indicazioni di tali consultazioni e dei dibattiti organizzati dai comitati di riflessione etica a livello regionale, in vista della presentazione di un progetto di legge entro la fine dell’anno. Chiaro quindi che chi guarda con terrore a una simile evoluzione abbia cominciato ad affilare le armi.

Così, il 15 gennaio scorso, il Consiglio permanente della Conferenza episcopale francese ha diffuso una dichiarazione nella quale sottolinea che la questione «è troppo grave per non agire con prudenza». «La nostra società cerca di “schivare la morte” e riduce la vicinanza con chi sta per morire», scrivono i vescovi. «Essa potrebbe essere così portata a prendere decisioni inumane. È dunque importante chiarire il vocabolario e gli scopi perseguiti. Nessuno può provocare deliberatamente la morte, fosse anche su richiesta di una persona gravemente ammalata, senza trasgredire un divieto fondamentale. “Non ucciderai”, resta un requisito morale fondamentale di ogni società e, per i credenti, un comandamento di Dio. È il fondamento di ogni vita sociale rispettosa degli altri, specialmente dei più vulnerabili». «Il suicidio – proseguono i vescovi francesi – al giorno d’oggi è spesso presentato come “un’ultima libertà”. Ma allo stesso tempo ci si allarma, giustamente, dell’elevato tasso di suicidi, soprattutto tra i giovani e gli anziani». «Come possiamo giudicare necessario aiutare alcune persone ad affrontare un episodio di difficoltà per evitare l’irreparabile e, allo stesso tempo, incoraggiare e assistere altre persone nella loro volontà di morire? Chi dovrebbe decidere quale vita è degna di essere vissuta e quale no?». «La nostra profonda convinzione – concludono i vescovi francesi – è che un cambiamento legislativo non possa avere come obiettivo che quello di rendere più manifesto il rispetto dovuto a ogni persona in fin di vita. Cosa che passa per il rifiuto dell’accanimento terapeutico, dell’atto di uccidere, così come per lo sviluppo delle cure palliative».

Più sfumata la posizione della Fédération protestante de France, che raggruppa la maggior parte delle Chiese e associazioni protestanti francesi, la quale se da un lato considera «pericolosa la depenalizzazione dell’eutanasia e la sua introduzione nella legislazione», dall’altro ritiene che si possa prendere «sul serio la possibilità, in casi estremi, di rispondere alla domanda del paziente di un’assistenza medica per porre termine alla propria vita». «Attraverso questa assistenza medica si esprimerebbe non solo il riconoscimento della dignità e della volontà del paziente, ma anche e soprattutto la piena solidarietà dell’intero corpo sociale che accompagna uno dei suoi membri fino alla fine». «Ma una legge non potrà mai rispondere a ogni singolo caso e si può immaginare che continueranno a persistere situazioni in cui gli operatori sanitari penseranno in coscienza che soddisfare la richiesta di una persona che vuole morire sia l’unica soluzione. Se è importante che questa resti una trasgressione alla legge – proseguono – lo è ancor di più l’attenzione alla singolarità di ogni situazione e l’accompagnamento dei pazienti, del loro entourage, dei medici e del personale sanitario in questi momenti in cui la coscienza di ciascuno è interrogata».

Più o meno la stessa linea adottata lo scorso anno da una delle realtà della Fédération protestante de France, la Chiesa protestante unita di Francia – nata dalla fusione tra la Chiesa riformata e la Chiesa evangelico-luterana – che in un testo sul fine vita approvato a conclusione del suo primo Sinodo nazionale (maggio 2013) si rifiuta di «pronunciare una parola definitiva su una questione che tocca la sfera ultima e più intima di ogni vita», incoraggiando le Chiese all’accompagnamento di ciascuno, quale che sia la sua scelta (v. Adista Documenti n. 24/13).