Il parlamentino della Cei alle prese con le “provocazioni” di Francesco

Eletta Cucuzza
Adista Notizie n. 5/2014

Una relazione light quella con cui il card. Angelo Bagnasco ha aperto la sessione invernale del Consiglio permanente della Cei (27-30 gennaio). Leggera nel senso che è più breve di altre sue (quelle di Ruini, poi, erano sempre lunghe almeno il doppio), trattando velocemente, ma non superficialmente, questioni quali:

– la scuola cattolica: «Non possiamo – per ragioni di giustizia – non rilevare ancora una volta la grave discriminazione per cui, nel nostro Paese, da un lato si riconosce la libertà educativa dei genitori, e dall’altro la si nega nei fatti, costringendoli ad affrontare pesi economici supplementari», e in questa direzione il cardinale di Genova ha annunciato «un evento pubblico per sabato 10 maggio in Piazza San Pietro», al quale il papa «ha dato non solo la sua approvazione, ma ha assicurato la sua personale presenza»;

– la famiglia: poco più di un riferimento alle risposte al questionario sulla famiglia, indirizzate alla segreteria del Sinodo del prossimo ottobre, della cui elaborazione complessiva i vescovi prenderanno visione;– il lavoro: «Facciamo appello affinché la voce dei senza lavoro, che sale da ogni parte del Paese, trovi risposte più efficaci in ogni ambito di responsabilità. Non è ammissibile che i giovani, che sono il domani della Nazione, trovino la vita sbarrata perché non trovano occupazione».

– politica e “valori non negoziabili”: in realtà questi temi non sono presenti nella relazione del card. Bagnasco. Il quale si limita ad una constatazione: «Il dibattito sulla riforma dello Stato, nei suoi diversi snodi, è certamente necessario – ha affermato – ma auspichiamo che ciò non vada a scapito di ciò che la gente sente più bruciante sulla propria pelle, e cioè il dramma del lavoro: la povertà è reale!». Affronta piuttosto il livello socio-culturale della crisi politica che il Paese attraversa, dando fiducia e sollecitando a dar fiducia: «Vogliamo testimoniare la bontà e serietà che impastano il nostro popolo, e che ispirano largamente l’ethos profondo della gente, delle famiglie, di tante istituzioni. L’Italia non è una palude fangosa dove tutto è insidia, sospetto, raggiro e corruzione. No. Dobbiamo tutti reagire ad una visione esasperata e interessata che vorrebbe accrescere lo smarrimento generale e spingerci a non fidarci più di nessuno. A questo disegno, che lacera, scoraggia e divide – e quindi è demoniaco –, non dobbiamo cedere nonostante esempi e condotte disoneste, che approfittano del denaro, del potere, della fiducia, perfino della debolezza e delle paure della gente: nulla deve rubarci la speranza nelle nostre forze se le mettiamo insieme con sincerità».

Uno Statuto per l’autonomia

La brevità della prolusione del card. Bagnasco è probabilmente anche dovuta al fatto che all’ordine del giorno dei lavori del Parlamentino ci sono due particolari temi che devono essere discussi prima di poter essere definiti: su di essi il cardinale di Genova non poteva che limitarsi a cenni. Sono, come preannunciava il comunicato della Cei sull’apertura dei lavori del Consiglio permanente, «un primo esame dell’esito delle consultazioni delle Conferenze Episcopali Regionali sulle indicazioni di Papa Francesco in merito a una migliore valorizzazione delle stesse» e «le modalità di nomina delle diverse figure della Presidenza», cioè presidente e segretario, ancora su sollecitazione di Francesco.

Il papa infatti da mesi spinge per una collegialità effettiva, e dunque per un rafforzamento delle gruppi episcopali regionali, e per una maggiore assunzione di responsabilità da parte dell’episcopato italiano, unico al mondo le cui massime cariche sono state finora scelte dai pontefici – d’altronde il papa è Primate d’Italia – e non indicate dall’assemblea dei vescovi. I quali, nei decenni, l’hanno anche fatto qualche tentativo di superare una siffatta “minorità”, ma hanno finito col metterci una pietra sopra: ricorda il vaticanista Luigi Accattoli (Corriere della Sera, 27/1) che «nel 1966 e nel 1983 erano stati i vescovi a segnalare l’opportunità che fosse riconosciuta all’assemblea la facoltà di scelta e in ambedue i casi dal Vaticano si era fatto sapere che il Papa (nel primo caso era Paolo VI, nel secondo Giovanni Paolo II) intendeva “riservarsi” quella facoltà».

Non deve essere stata piccola perciò la sorpresa dell’episcopato italiano di fronte all’invito di papa Francesco a rivedere invece regole e ruoli. Invito reso più pressante da altre inattese decisioni “francescane” di un certo peso (e qualcuna non proprio nel rispetto dell’autonomia della Chiesa italica): il sollevamento di mons. Crociata (contestualmente nominato vescovo di Latina) dalla carica di segretario della Cei; l’insediamento in questo stesso ruolo – ma ad interim, ovvero fino alla sessione straordinaria della Cei di novembre – del vescovo di Cassano allo Ionio, mons. Nunzio Galantino, uomo non “di vertice”; e il sorprendente cardinalato a mons. Gualtiero Bassetti, vescovo di Perugia, sede non cardinalizia, e non, per esempio, a Cesare Nosiglia, vescovo della sede cardinalizia di Torino.

Per dare corpo alle raccomandazioni del papa, non restava, ha detto Bagnasco, che «rivisitare lo Statuto dell’episcopato italiano», a 14 anni dalla sua formulazione. «Come segno della passione con cui abbiamo accolto il compito affidatoci, in questi giorni prenderemo in esame il ricco materiale pervenuto, frutto della riflessione che le sedici Conferenze episcopali regionali hanno fatto a partire dal foglio di lavoro; decideremo, quindi, come procedere per un lavoro attento e proficuo, svolto con la necessaria ponderazione».

I bene informati sostengono che, sulla nomina del presidente, in Cei l’indirizzo maggioritario guardi alla cosiddetta “terza via”: sottoporre al papa una rosa di nomi scelti collegiamente, fra i quali poi sarà egli a decidere. Una soluzione che può apparire tanto pilatesca quanto rispettosa della primazia papale in Italia. Ma sia quale sia la determinazione finale, sembra che i vescovi non vogliano lasciare nulla alla buona volontà, ma metter tutto nero su bianco, nello Statuto.