Sulla famiglia c’è ancora molto da capire. Le teologhe spagnole rispondono al questionario per il sinodo

Eletta Cucuzza
Adista Notizie n. 5 del 08/02/2014

«Consideriamo molto positivo il fatto che papa Francesco abbia chiesto il parere a tutte le Chiese locali e abbia sollecitato tutti i credenti a intervenire». Inizia così la risposta al questionario sulla famiglia per il Sinodo del prossimo ottobre elaborata dall’Associazione delle Teologhe spagnole (Ate) e resa nota il 20 gennaio scorso. Complimenti a Francesco, dunque, ma critiche inesorabili al magistero ecclesiastico. I cui documenti in materia sono ritenuti dalla «maggioranza dei credenti», scrivono le teologhe, «lontani, irreali, autoreferenziali, compilati con un linguaggio ampolloso e vuoto». «Gli ostacoli» alla loro ricezione «non sono tanto i fattori culturali», quanto «quelli che si incontrano nella stessa struttura ecclesiale», ovvero agli autori «manca l’esperienza e il coinvolgimento nella vita familiare». Nei documenti, poi, si ricorre ad «un uso decontestualizzato delle citazioni della Scrittura», troppo letterali, finendo col «tradire lo spirito della buona notizia del vangelo, come quando ci si appella al vangelo per proibire il divorzio in ogni caso».

Quale natura?

La “legge naturale”, invocata dal magistero a proposito del matrimonio e della famiglia “tradizionali”, è una categoria che deve essere «discussa e rivista», e «sostituita con una più adeguata che includa la capacità e l’iniziativa umana, posta da Dio nell’essere umano, e la presenza divina nella sua creazione». «Il matrimonio è una istituzione che è cambiata nel tempo», e «all’inizio il cristianesimo ha accettato le forme culturali di matrimonio di ogni luogo». Mentre «nei documenti ecclesiali e nelle prassi pastorali» si trova «un’idea troppo chiusa e stretta di quella che è e deve essere la famiglia». Che oggi è di diversi tipi, con pregi e difetti rilevabili in ognuno di essi, ma in tutti è possibile la trasmissione dei valori evangelici sensibilizzando i figli sulle «necessità dei più sfavoriti», a partire dal fatto che «il miglior modo di trasmettere la fede è l’esempio di coppie che si amano e si aprono agli altri». E poi «ci sono situazioni di violenza o incomprensione che spingono e consigliano lo scioglimento del vincolo matrimoniale. Sarebbe bene facilitare una situazione che consenta di ricrearsi una vita». E certo, è l’osservazione pregnante delle teologhe spagnole, «non si possono negare i sacramenti alle persone divorziate e risposate quando questo non si fa con gli stupratori, i dittatori e i truffatori».

Per quanto riguarda i matrimoni fra persone dello stesso sesso, «se crediamo nella grazia del sacramento – affermano in breve – non lo si può negare a chi lo chiede, soprattutto visto che diciamo che Dio è amore e l’amore generatore di vita di molte coppie delle stesso sesso è evidente».

Un’idea arcaica della sessualità

Sull’«apertura dei coniugi alla vita», l’enciclica Humanae vitae di Paolo VI è uno dei testi che «più ha allontanato i cattolici dal magistero». Che invece «dovrebbe avere maggiore fiducia nell’adultità e nella generosità delle coppie e non immischiarsi della loro coscienza». Il problema, osservano, è che «il magistero continua ad avere una concezione negativa della sessualità» legata solo alla procreazione». «La sessualità è parte dell’essere umano – spiegano – e contribuisce alla sua pienezza». «Sicuramente alcune coppie rifiutano di avere figli, ma al contempo sono moltissime quelle che fanno grandi sforzi per averne». Eppoi «la fecondità non è solo fisica; la pienezza che deriva dalla vita di coppia, nella quale la sessualità è un elemento fondamentale e non solo un mezzo per procreare, si espande in molte forme verso il bene di molti, della società».

E i femmincidi?

La vita familiare è spesso a rischio a causa sia della povertà («le politiche neoliberiste, che pesano sui più deboli, rendono molto difficile il lavoro dei genitori per dare una casa, un’educazione e un’istruzione degna ai loro figli»), sia della «violenza machista le cui vittime principali sono le donne e i bambini». La Chiesa «deve denunciare e lottare contro questo male» e «rivedere tutte le sue catechesi, riti, preghiere, ecc. che giustificano o legittimano queste condotte». E allora «sorprende – è la postilla finale – che le domande [del questionario] non facciano riferimento alle donne e neanche alluda alla violenza che si esercita contro di loro all’interno delle famiglie (sono centinaia in ogni nazione ogni anno). L’impressione – concludono le teologhe – è che il questionario sia stato fatto dal punto di vista dei maschi».