Fuori le teologhe dall’apartheid di M.Perroni

Marinella Perroni
Leggendaria, gennaio 2014

Il magistero di papa Francesco invita al dialogo: apre il discorso, non lo chiude; dà la parola, non la toglie. Non è difficile, quindi, trovare temi dei quali si vorrebbe conversare più ampiamente con lui per misurare convergenze e anche, perché no?, possibili distanze. Per continuare, comunque, a cercare insieme di coniugare fedeltà al Vangelo e verità della vita. Tra i tanti temi aperti dal magistero che quotidianamente Francesco esercita in parole e gesti, ne scelgo tre.

1. Il primo riguarda il carattere stesso del suo magistero, dal quale risulta con tutta evidenza uno spostamento di accento dalla dottrina alla prassi, dalla definizione dell’ortodossia del pensiero alle esigenze dell’ortoprassi della vita. Francesco riprende con forza la grande tradizione profetica anticotestamentaria che Gesù ha confermato e ha portato a compimento e che la predicazione apostolica ha tradotto in insegnamento etico: la dottrina e il culto trovano senso compiuto solo nell’orizzonte dell’impegno per la giustizia, cioè nel momento in cui “l’orfano e la vedova” – “i poveri” – vengono riconosciuti come criterio stesso della fedeltà alla Legge perché essi sono, innanzi tutto, criterio fondamentale dell’agire di Dio. I “poveri” non sono soltanto i beneficiari della carità, ma sono la norma che regola e misura l’identità stessa della chiesa e di ciascun credente. Elemosina e misericordia, tra loro pressoché sinonimi, divengono così normativi e, come recita il Salmo 85, amore e verità, insieme a giustizia e pace, si incontrano e si baciano.

Dalle conferenze episcopali ai consigli parrocchiali, dalle congregazioni religiose alle facoltà teologiche, tutti allora sono interpellati: quali le conseguenze di questo spostamento del baricentro magisteriale per la vita delle chiese? Non soltanto rispetto alla loro “agenda”, ma soprattutto rispetto a come annunciare il Vangelo, pensare la fede, celebrare la comunione: nulla può essere più come prima.

2. Un secondo tema può sembrare di interesse molto limitato, ma apre invece a conseguenze di ampia gittata. Nella Evangelii Gaudium Francesco ribadisce il diniego all’ordinazione sacerdotale delle donne, ma lo correda con alcune importanti affermazioni (n. 104). Dopo aver riconosciuto che le domande profonde, indotte dalle rivendicazioni dei diritti da parte delle donne, rappresentano per la Chiesa una sfida che non può essere facilmente elusa, papa Francesco conferma che non va messa in discussione l’esclusività del sacerdozio unicamente maschile, ma aggiunge anche che identificare troppo la potestà sacramentale con il potere può diventare motivo di particolare conflitto nonché, poco più avanti, che il sacerdozio non implica un’esaltazione che lo collochi in cima a tutto il resto.

Queste parole non rimandano forse a una discussione sul processo di declericalizzazione della Chiesa, resosi ormai indispensabile per arrivare alla sua tanto attesa riforma? La questione dell’ordinazione delle donne non va infatti isolata, ma va considerata all’interno di una profonda revisione dell’intera struttura ministeriale della chiesa, in modo tutto particolare del sacerdozio e, con esso, del rapporto tra sacro e potere.

3. Infine, più che una postilla. Quale riconoscimento Francesco intende dare al lavoro teologico di tante donne che ormai da decenni hanno affrontato, con acutezza e lucidità, tutte le grandi questioni in modo che la prospettiva di genere le affrancasse da forme di insana astrattezza e le restituisse alla verità della vita? Il Papa parla spesso “della donna” e richiede che la Chiesa tutta si faccia carico di un ripensamento coraggioso sulla sua presenza e il suo ruolo ecclesiali: quanto è disposto a mettersi egli stesso all’ascolto di una tradizione teologica, quella “delle donne”, che da diversi decenni ha ormai acquisito la consistenza di un vero e proprio ministero di ricerca e di insegnamento? Riconoscerà diritto di parola a tutte le donne che, non soltanto dentro la chiesa, hanno contribuito, spesso al prezzo di grande fatica ed esclusione, a ragionare su un modo finalmente inclusivo di intendere l’umano? La sfida è molto alta perché comporta di affrancare pienamente la riflessione sulle donne da nuove forme di apartheid e da vecchi e nuovi monopoli ideologici.