“Sì alla comunione ai divorziati… ma qualcuno vuole fermare il Papa”

Paolo Rodari
Repubblica, 11 marzo 2014

“La Chiesa può trovare una nuova strada affinché un divorziato risposato, dopo un periodo penitenziale, venga riammesso ai sacramenti. La mia non è una posizione lassista, bensì che intende riconoscere come tramite la penitenza chiunque può ricevere clemenza e misericordia. Ogni peccato può essere assolto. Infatti, non è immaginabile che un uomo possa cadere in un buco nero da cui Dio non possa più tirarlo fuori”.

A ridosso delle Mura leonine, nell’abitazione del cardinale tedesco Walter Kasper (il più anziano elettore a partecipare al recente conclave), fa mostra di sé il volume “Il Vangelo della famiglia” (Queriniana), che contiene il testo integrale della Relazione introduttiva tenuta dal porporato all’ultimo concistoro di fine febbraio.

Eminenza, mentre scrive che occorre rafforzare la famiglia propone un approccio più tollerante verso le famiglie in difficoltà. In merito, pensa che la dottrina possa cambiare?
“La dottrina non può essere cambiata. Tuttavia, a parte il fatto che esiste uno sviluppo della dottrina che va sempre tenuto in considerazione, e cioè l’evidenza che essa non è una laguna stagnante quanto un fiume che scorre, una tradizione che vive insomma, occorre anche distinguere bene fra ciò che è dottrina e ciò che invece è disciplina. Tutti i Concili ecumenici prima del Vaticano II hanno fatto questa differenza fondamentale, riconoscendo che la disciplina può cambiare quando le situazioni mutano. In merito ai divorziati risposati, ad esempio, fra il Codice del 1917 e il nuovo del 1983 ci sono sviluppi nella disciplina importanti. E, dunque, oggi si può ulteriormente fare nuovi passi in merito. Del resto è il Papa a chiedere dibattito, anche se c’è chi vuole fermarlo”.

Chiedere nuove soluzioni per i divorziati risposati è contro l’insegnamento della Chiesa?
“Non è contro la morale né contro la dottrina, ma piuttosto afavore di un’applicazione realistica della dottrina alla situazione attuale. La Chiesa non deve mai giudicare come se avesse in mano una ghigliottina, piuttosto deve sempre lasciare aperto il varco alla misericordia, una via d’uscita che permetta a chiunque un nuovo inizio”.

“Misericordia” è il titolo di un suo recente libro che papa Francesco ha citato durante il primo Angelus dopo l’elezione. Come mai?
“Gli donai una copia prima del conclave. Mi disse: “Misericordia, questo è il nome del nostro Dio”. Che significa che il concetto era centrale per lui già prima del conclave: la misericordia come il centro del cristianesimo. E al primo Angelus ha come voluto ribadire il concetto, dopo la lettura del mio libro che penso abbia fatto proprio durante il conclave stesso”.

La Chiesa ha bisogno di più misericordia?
“L’amore è il centro del Vangelo e anche dell’Antico Testamento dove Dio placa continuamente la propria giusta e santa ira e manifesta al suo popolo, nonostante la sua infedeltà, la propria misericordia affinché abbia una nuova possibilità di conversione. Dall’Esodo ai Salmi il Dio dell’Antico Testamento è “misericordioso, lento all’ira e grande nell’amore””.

Prima del conclave riteneva Jorge Mario Bergoglio papabile?
“L’esito del conclave era un’incognita per tutti, questa volta credo più di altre volte. Sono entrato senza sapere cosa sarebbe successo. Dentro la Sistina ho avuto da subito la sensazione che qualcosa di fortemente spirituale stesse accadendo. Anche molti altri cardinali mi hanno confermato la medesima percezione. Forse erano le preghiere dei fedeli per noi, fatto sta che a me, come a molti altri, è sembrato che a un certo punto lo Spirito Santo abbia voluto direcon forza la sua. Prima di entrare non era chiaro se la maggioranza dei cardinali si sarebbe indirizzata su una scelta così “altra”, diciamo dirompente. E, invece, così è stato: un conclave di fatto rapido, con una maggioranza che ha scelto via via il nome di Bergoglio. Una scelta anche nel segno della cattolicità, del riconoscimento che l’Occidente e l’Europa avevano bisogno di aria fresca, della voce di un mondo in grande espansione. Il cristianesimo in Europa fatica, mentre in altre parti del mondo è più vivo. Giusto ripartire guardando oltre”.

Che fase si è aperta nella Chiesa con l’elezione di Francesco?
“Penso che si sia definitivamente aperta la fase della piena ricezione del Vaticano II. L’idea di una Chiesa povera per i poveri, infatti, tanto cara a Francesco, è già presente nei testi del Concilio, seppure per anni il tema sia stato poco sviluppato”.

Cosa pensa della rinuncia di Benedetto XVI?
“Con la rinuncia egli non è più Papa nel senso giuridico. Anche se io stesso, quando lo incontro, continuo a chiamarlo Santo Padre come è giusto che sia. Vedo oggi la sua rinuncia come un gesto molto umile. Dopo il Vaticano II abbiamo imparato ad avere nelle nostre diocesi i vescovi emeriti. E ora abbiamo imparato anche ad avere un Papa emerito a cui è subentrato a tutti gli effetti un successore. Anche nella società civile è così: un ex presidente della Repubblica, ad esempio, continua a essere chiamato “signor presidente” seppure non sia più in carica. Benedetto, poi, tutto vuole essere tranne che un secondo Papa. E, anzi, il rapporto che mi sembra si sia instaurato con Francesco è un esempio per tutti i vescovi su come ci si debba relazionare nei confronti dei propri predecessori e viceversa. Ho grande stima di Ratzinger e amicizia. Qualche giornale in passato ha giocato a contrapporci, mentre non ci sono mai state divergenze fra noi, soltanto accenti teologici in parte, ma mai del tutto, diversi. Tutto sono tranne che l'”alter ego” di Benedetto XVI”.