Valutare senza complessi

Daniele Garrone*
www.riforma.it

Com’è noto, i protestanti non soltanto non riconoscono per sé l’autorità del papa, ma ritengono che l’istituzione del papato sia un ostacolo alla cattolicità, cioè all’universalità della chiesa di Gesù Cristo, e che i connotati monarchici assoluti che l’hanno fin qui caratterizzata siano in aperta contraddizione con le visioni dei ministeri attestati nel Nuovo Testamento. Questo, però, è solo un aspetto della questione.

I papi e il papato della Chiesa di Roma esistono nella storia e su questo sfondo vanno valutati, senza ideologismi, senza complessi e con un senso di solidarietà fondato sulla vocazione cristiana, comune a tutte le chiese.

Senza l’atteggiamento – temo assai diffuso tra noi evangelici – di prescindere dal profilo – colto nei suoi discorsi e nelle sue decisioni – di ogni papa, per limitarsi a dire che qualunque cosa dica o faccia, il problema è che è papa.

Tutti dicono che un anno non basta a trarre valutazioni e a fare previsioni, ma certo non si possono non cogliere motivi di interesse, scorgere novità e anche nutrire speranze.

Papa Francesco riveste la più alta carica gerarchica della Chiesa di Roma, ma ha introdotto cambiamenti che certamente non possono essere valutati come semplice cosmesi né ridotti al personale stile di un «parroco».

A fronte della novità epocale dell’emeritazione di un pontefice, destinata ad avere ricadute inevitabili sull’istituzione stessa, il profilo di papa Bergoglio va colto, e apprezzato, in tutta la sua rilevanza: si sono messe giustamente in luce la scelta del nome, certamente programmatico, lo stile di vita, dall’abbigliamento alla residenza, l’immediatezza pastorale del suo rapporto con i fedeli «fratelli e sorelle», lo stile per nulla paludato, ma diretto e franco dei suoi interventi pubblici, spesso con digressioni «a braccio». Personalmente sono colpito dalla sostanza biblica ed evangelica (libertà, grazia, perdono, speranza…) dei suoi discorsi che ho avuto modo di ascoltare o leggere, sempre pronunciati con l’atteggiamento di chi intende riscoprire il senso della vocazione cristiana nel mondo di oggi.

Penso ad esempio alla felice formulazione dell’Angelus di domenica 9 marzo: di fronte alle tentazioni Gesù non argomenta con Satana, ma si rifugia nella Parola di Dio. Oppure all’immagine usata con i partecipanti al convegno ecclesiale della diocesi di Roma (17 giugno 2013): se il pastore del Vangelo lascia le 99 pecore per cercare quella perduta, le chiese spesso si limitano a pettinare e accarezzare l’unica pecora che hanno, avendo lasciato disperdere le 99… Credo che questa aperta e serena sollecitudine per la sostanza del messaggio biblico ci debba trovare solidali… anche se viene dal papa!

Certamente la sua elezione ha voluto essere una risposta ai seri problemi che affliggono la Chiesa di Roma e che il suo predecessore non era in grado di affrontare. Un papa non è soltanto un predicatore o un pastore, ma su di lui incombono atti di governo. Non credo che la scelta del card. Bergoglio sia stata ingenua o che si sia ritenuto che egli stesso fosse ingenuo.

E anche qui dobbiamo cogliere con attenzione e interesse – direi anche con spirito solidale – i passi che ha incominciato a muovere per la riforma della sua chiesa, che è appunto la sua e non la nostra: penso alla riforma dello Ior e alla gestione finanziaria, all’interpellazione sui temi della famiglia, ai progetti di riorganizzazione della Curia romana, alle scelte che potrà effettuare sulla collegialità, sul ruolo dei laici, all’impronta che ha iniziato a dare e che potrà accentuare nell’ermeneutica del Concilio Vaticano II.

È ancora presto per dire quale impronta papa Francesco darà al rapporto con le altre chiese cristiane e con le religioni, ma anche qui ciò che sappiamo del suo impegno come vescovo in questi ambiti suscita interesse. Non si tratta però solo di attendere e vedere: mentre ci stiamo preparando al cinquecentenario della Riforma del 1517, la nostra prospettiva ecumenica nei confronti della chiesa di Roma deve essere la stessa, chiunque sia papa? La storia concreta, con le sue figure e i suoi profili, non interpella anche noi? Io credo di sì.

* professore di Antico Testamento alla Facoltà valdese di teologia. L’articolo è stato pubblicato sul notiziario Nev – Notizie evangeliche, n. 11/2014.

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Una critica protestante sul primo anno di papa Francesco

Bill Tammeus
Ncronline.org, 19 marzo 2014 (traduzione: www.finesettimana.org)

Giungendo verso la fine della sua recente serie di sermoni “Jesus, the Pope and a Protestant Walk
into a Bar”, il nostro pastore si è sentito obbligato a bilanciare tutte le lodi che aveva espresso nei
confronti di papa Francesco con almeno una breve lista di divergenze con il pontefice.
Così Paul Rock ha chiesto a molti amici, me compreso, di dirgli non le cose che ci piacevano di
Francesco, che sono molte, ma ciò che ci ha dato fastidio nel suo primo anno di pontificato.
Vi racconto ciò che ho detto a Paul, pur riconoscendo che non spetta a noi protestanti dire ai
cattolici come comportarsi, che cosa credere o come organizzare la loro vita ecclesiale. Abbiamo
già abbastanza problemi a farlo per noi stessi, dopo tutto. Ecco qui dunque la mia lista (senza la
ovvia e consistente rimostranza che continuiamo a non essere accolti a ricevere la comunione nelle
chiese cattoliche).

Primo: fino ad ora, Francesco non ha né ripudiato né mitigato la dichiarazione vaticana pubblicata
quando Joseph Ratzinger, ora papa emerito Benedetto XVI, era prefetto della Congregazione per la
Dottrina della Fede. Quel documento, Dominus Iesus, dice che la chiesa cattolica è l’unica vera
chiesa e che le altre “non sono chiese in senso proprio”. Noi protestanti (ed altri non-cattolici)
troviamo questa posizione insopportabile, ma, come ho detto a Paul, se Francesco suggerisse che è
ora di ripensare il succo di quel documento, alcuni cattolici lo attaccherebbero ancor più di quanto
non stiano già facendo. Anche se mostrare flessibilità su quelle affermazioni certamente gli
procurerebbe molto amici non-cattolici.

Secondo: fino ad ora, benché abbia detto di non essere in grado di giudicare qualcuno che sia gay,
non ha fatto nulla, che noi sappiamo, per abrogare la parte della Sezione 2358 del Catechismo della
Chiesa cattolica che dice che “tendenze omosessuali profondamente radicate” sono “oggettivamente
disordinate”. Certo, ci sono ancora dei dibattiti perfino tra gli scienziati circa le cause
dell’omosessualità, ma ora non c’è quasi alcun dubbio – salvo tra alcune persone che distorcono la
Bibbia – che essere gay non è una scelta. La Chiesa dovrebbe essere in prima linea nell’accogliere
tutte le persone nell’abbraccio del Vangelo di Gesù Cristo – e “tutte” è proprio un termine inclusivo.
Definire l’orientamento sessuale di qualcuno “oggettivamente disordinato” non supera quel test.
Terzo: fino ad ora, la speranza che le donne possano un giorno essere ordinate prete è ancora un
sogno irrealizzabile. Ma, come ho detto a Paul, siamo giusti: uno non può cambiare nel giro di una
notte una chiesa molto lenta nell’adattarsi. Ciò che, a mio avviso, Francesco potrebbe fare su questo
argomento, tuttavia, è esprimersi chiaramente sulla questione, ancora discussa dai cattolici, se papa
Giovanni Paolo II ha dichiarato infallibilmente che le donne non saranno mai preti. Se Francesco
dovesse porsi dalla parte di coloro che ritengono che Giovanni Paolo non stesse parlando ex
cathedra e che quindi non stava esprimendo su questo un insegnamento infallibile (e
presumibilmente irreversibile), darebbe alle donne una grande speranza. Il che, naturalmente, si
risolverebbe in ulteriori attacchi a Francesco da persone che non intendono mai neppure
immaginare donne-preti.

Paul ha citato questi tre argomenti nel sermone conclusivo della sua serie, ma non ha detto nulla
relativamente all’ultimo punto che gli avevo indicato, e cioè:
Francesco non ha fatto ciò che gli avevo suggerito in una lettera aperta dalle colonne di questo
giornale. Gli avevo scritto di rimuovere il vescovo Robert W. Finn della diocesi cattolica di Kansas
City-St. Joseph, Mo., perché era stato ritenuto colpevole in tribunale della mancanza di riferire alle
autorità governative su un prete sospetto di abuso sessuale su un bambino. Francesco si farebbe
molti amici in tutto il mondo e soprattutto in Kansas City se facesse questo – procurandosi al
contempo alcuni ulteriori nemici.

Anche se noi protestanti non abbiamo il diritto di dire ai cattolici che cosa credere e come operare,
in fondo è divertente pensarci. Mi domando quali ambiti di divergenze i cattolici a loro volta
potrebbero esprimere a noi e su di noi protestanti, in spirito di amore e onestà ecumenici