Educare alla diversità? Bagnasco non vuole. Silenzio del finto “rivoluzionario” Bergoglio

Alessandro Baoli
http://cronachelaiche.globalist.it/

Il cardinal Bagnasco sta sempre all’erta, pronto a cogliere ogni piccola minaccia ai privilegi ecclesial-cattolici che gli è stato ordinato di difendere. In questo caso si tratta del predominio ideologico sulla scuola. E si capisce, l’educazione – quindi il sistema scolastico – è troppo importante per mollare la presa e lasciarla ai “nemici”.

E’ accaduto, come saprà chi segue queste vicende, che i volumetti informativi Educare alla diversità a scuola, commissionati dall’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) all’istituto A. T. Beck e destinati alla diffusione nelle scuole pubbliche (dalla primaria alla secondaria di secondo grado) attraverso gli insegnanti che ne vorranno fare uso, sono stati oggetto della peggiore propaganda cattolica, quella cui siamo abituati da sempre.

Qualcuno ha messo in relazione una recente prolusione di Bagnasco con l’uscita di quegli opuscoli: l’ex ordinario militare è ricorso al consueto terrorismo semantico, paventando sfaceli per il mondo intero come se quei volumetti – e altre meritorie iniziative simili nel recente passato – fossero davvero giunti sulle cattedre. Cosa che non è ancora avvenuta e che grazie a questo attacco non avverrà mai. A latere, Bagnasco ha battuto cassa come sempre, chiedendo ancora soldi per le scuole cattoliche.

E dire che l’iniziativa era volta semplicemente ad informare gli studenti dell’esistenza di forme familiari diverse da quelle tradizionali, con l’obiettivo non secondario di frenare il bullismo omofobico nella scuola e di conseguenza nella società. E senza ricorrere a una fantomatica propaganda ideologica (da che pulpito: ecco il metodo cattolico del ribaltamento della realtà), come ha accusato Bagnasco, che vorrebbe le nuove generazioni custodite al sicuro sotto una campana di vetro.

Il tutto nel silenzio complice del finto “rivoluzionario” Bergoglio. «Chi sono io per giudicare?», ha detto il papa tempo fa a proposito delle persone omosessuali. «Non sei proprio nessuno, infatti», avrebbero dovuto rispondergli i giornalisti, se non fossero stati così presi dalla deferenza. Il problema non è il “giudizio” del papa, il problema è la violenza quotidiana che la sua Chiesa compie a danno dei non omologati.

Sarebbe oggettivamente molto facile ribattere punto su punto alla logorroica prolusione di Bagnasco, mettendo a nudo l’ipocrisia di cui è infarcita, ma sarebbe esercizio inutile e sicura perdita di tempo. Il problema sta altrove, ed è è la malattia che colpisce da sempre la società italiana: l’indifferenza, l’incapacità di cogliere la natura e la gravità di quello che ci accade e l’attitudine storica a chinare il capo di fronte a ogni potere.

In Spagna, per fare un esempio, masse di cittadini sono sempre pronte a scendere in piazza per difendere quel po’ di diritti (sacrosanti) che hanno ottenuto nel corso degli anni, a cominciare dalla recente mobilitazione contro il tentativo governativo di restaurazione anti-abortista. Abbiamo visto masse imponenti persino in Turchia e in alcuni paesi arabi, dove pure uno penserebbe che nessuno sappia cosa vuol dire laicità. Ovunque, tranne che in Italia, paese popolato da gente notoriamente indolente, fin troppo.

Qui il grosso dell’opinione pubblica sembra anestetizzata. Ci vorrebbe qualcosa o qualcuno capace di risvegliare la bella addormentata: si deve forse arrivare alla conversione forzata, a un indottrinamento opprimente di tipo orwelliano, al matrimonio coatto e alla procreazione obbligatoria, perché questo popolo si svegli, senza farsi impressionare dalla stolida accusa di laicismo?

Già il termine “laicismo” è una storpiatura. In un quadro paradossale come quello italiano, è la declinazione dispregiativa di una realtà che dovrebbe essere neutra oltre che acquisita: la laicità c’è o non c’è, non ha senso accusare chicchessia di volerne troppa o di perseguire quella “sbagliata”.

Ma siamo in Italia, patria del paradosso, e così i porporati hanno sempre pronta l’accusa di “laicismo”, e appena ritengono che serva la sfoderano come una sciabola, agitandola contro tutti quelli che minacciano la loro posizione di privilegio in spregio al principio di laicità ben chiarito nella Costituzione. Fino a chiudere il cerchio e dare un senso al vocabolo: perché questo non è un paese laico, quindi la laicità va perseguita e, ove conquistata, difesa giorno per giorno. Noi, come questa vicenda insegna, dobbiamo partire dalla sua conquista.

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Come educo mia figlia al di fuori della fede

Jim Mulholland
Leaving your religion traduzione di Flavia Vendittelli

Anni fa, quando ero un pastore dei giovani, ho letto un articolo su una rivista pastorale giovanile che affermava che l’85 per cento di tutti i cristiani accettava Cristo prima di compiere diciotto anni. Sulla base di queste statistiche, incoraggiava gli operatori della pastorale giovanile a raddoppiare i propri sforzi per salvare ragazzi e bambini. Una volta andati al college o iniziato ad esplorare il mondo, i maggiorenni hanno ben poche possibilità di diventare religiosi.

All’epoca, pensavo che questa fosse una tragedia. Quando insegnavo dottrina religiosa ai bambini, non l’ho mai visto come indottrinamento. Come persona religiosa, avevo la responsabilità di crescerli nella fede. Anche se l’ortodossia teologica prevede un’età entro la quale i bambini non sono moralmente responsabili, ogni genitore cristiano era radioso quando il figlio o la figlia accettava Cristo. Niente più pressione. Il loro destino eterno era assicurato.

All’epoca, se qualcuno avesse insinuato che i bambini non sono evolutivamente in grado di prendere decisioni consapevoli sul credo religioso, non avrei capito. Tu indottrinavi i bambini quando erano più malleabili, garantendo la loro osservanza alle tue credenze e pratiche religiose, perché li amavi. Questo indottrinamento, anche se non appropriato da un punto di vista laico, era l’equivalente religioso di una vaccinazione. Stavi proteggendo i tuoi bambini da idee ed esperienze che li potevano distruggere, da scelte e azioni che li potevano condannare all’inferno. Fare altrimenti era irresponsabile.

Ora che sono non religioso, cerco di tenere a mente la motivazione religiosa. Ricordo quella madre che quando ho pubblicamente abbandonato la fede nell’inferno, mi ha rimproverato per aver minacciato uno degli strumenti usati per crescere i suoi bambini. Ha detto: «Senza la minaccia dell’inferno, come si aspetta che possa crescere un bambino morale?» Questa donna non era un genitore negligente e abusante. In realtà, all’interno della sua rete religiosa, era una madre esemplare. Anche se assillata dall’inferno, la sua prima preoccupazione era di crescere un bambino morale. Questa è la preoccupazione quando le persone contestano la mia decisione di abbandonare la religione chiedendo: «E sua figlia, Ella?»

Per alcuni, la mia decisione di allontanare mia figlia di sei anni dalla religione è profondamente preoccupante, pari a camminare su una corda tesa sulle cascate del Niagara con mia figlia seduta sulle spalle. Rischio molto di più della mia dannazione. Quando rispondo che il credo religioso è qualcosa che Ella può scegliere – se lo desidera – una volta maggiorenne, si preoccupano di come possa diventare una persona morale.

Di nuovo, cerco di tenere a mente il mio indottrinamento. Mi è stato insegnato che senza insegnamento religioso lo sviluppo morale è problematico, se non impossibile. Questo pregiudizio è stato difficile da abbandonare per me. Dato che il mio apprendistato morale è avvenuto in un contesto religioso, era difficile immaginare di crescere bambini senza quel sostegno. Cosa poteva mai sostituire i Dieci comandamenti, il Discorso della montagna, la regola d’oro e le parabole di Gesù? Questa ansia può spiegare perché molti genitori, anche se hanno perso interesse nella religione, spesso si rivolgono alle comunità religiose della loro infanzia quando diventano genitori. Non sanno dove altro andare.

Le mie ansie di genitore sono finite quando ho capito che la religione non ha il monopolio della moralità. In realtà, è sempre più evidente che la coercizione esterna inibisce, invece di incoraggiare, la crescita di adulti responsabili e moralmente consapevoli. La moralità si sviluppa quando i bambini imparano a capire le scelte e le conseguenze, quando capiscono che la bontà è essa stessa la ricompensa. Questa moralità è insegnata meglio, non da istituzioni, ma dalle persone che i bambini rispettano di più – i loro genitori. Il nostro compito come genitori non è garantire il loro indottrinamento, ma aiutarli a riflettere sulle scelte e decisioni che affrontiamo ogni giorno. Se lo facciamo bene, impareranno a prendere le decisioni giuste.

Questo cambiamento di approccio può essere molto liberatorio per un genitore. Non dobbiamo avere tutte le risposte. Non dobbiamo proteggere i bambini da idee alternative. Consentire loro di esplorare, creare, riflettere, fare errori e alla fine scegliere la propria strada non è irresponsabile. È un atto d’amore e di rispetto. Quando pongono domande difficili, rispondere che non lo sappiamo e chiedere il loro parere consente loro di accogliere un mondo in cui la certezza non è più il valore più alto.

Dà anche loro il modo di formare una propria opinione. Questo non significa che non diamo mai la nostra. Se mia figlia Ella chiede che opinione ho di lei, non le dirò che è nata nel peccato, incapace di scegliere il buono e destinata alla distruzione senza l’intervento divino. Non le darò una mappa con ogni singolo passo dalla culla alla tomba disegnato con inchiostro indelebile. Non le toglierò la possibilità di scoprire – a volte attraverso deviazioni dolorose – la sua strada.

Invece, dirò ad Ella che siamo tutti nati con una bussola morale, o almeno con quella capacità. Le insegnerò le massime morali che attraversano i confini culturali e religiosi. Le leggerò i lavori del Dr. Seuss, Shel Silverstein e Mo Willems. Sono saggi e – a differenza di molti scritti religiosi – adatti alla sua età. Le farò leggere il libro di Kathryn Otoshi, One, ogni volta che farà fatica a difendersi o a trattare gli altri con compassione. Parlerò ad Ella di persone come Sojourner Truth, Rosa Parks, Dr. Martin Luther King, Jr. e Nelson Mandela. Le farò sentire la musica di Rodriguez e Tracy Chapman.

Farò tesoro dei momenti in cui prende decisioni difficili e giuste e le terrò la mano quando sceglie male. Celebrerò la sua libertà di diventare una persona autonoma, con l’esempio e non l’indottrinamento di sua madre e mio. E, se un giorno Ella dovesse ritenere che la religione soddisfa i suoi bisogni e risponde alle sue domande, saprò che anche questa è una sua scelta. Non ho ambizioni sul suo sviluppo morale. Sono ansioso di vedere ciò che Ella diventerà, liberata dai miei vincoli. L’obiettivo della buona genitorialità non è fare dei nostri figli un’imitazione di noi stessi. È lasciare loro lo spazio per superarci in conoscenza, cortesia e autenticità. Questa è la mia speranza per Ella.