Preti pedofili. Per i vescovi non c’è obbligo di denuncia

Luca Kocci
il manifesto, 29 marzo 2014

Il vescovo ha il «dovere morale», ma non «l’obbligo giuridico» di denunciare alla magistratura i preti pedofili. Nelle “Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici”, approvate della Conferenza episcopale italiana a gennaio, vidimate dal Vaticano, e rese pubbliche ieri – al termine dei lavori del Consiglio permanente della Cei –, trova conferma quanto già era noto: i vescovi italiani hanno preferito non mettere nero l’obbligo di informare l’autorità civile sui casi di violenza o abuso sessuale sui minori commessi dai preti. Ovviamente nulla vieta che possano farlo. Tuttavia non c’è «obbligo». Sostituito da un «dovere morale», forse dall’alto valore etico, ma sicuramente meno stringente e vincolante.

Le Linee guida stabiliscono come i vescovi debbano procedere. Nel momento in cui abbiano notizia «di possibili abusi in materia sessuale nei confronti di minori ad opera di chierici» sottoposti alla loro giurisdizione – ovvero appartenenti alla loro diocesi – dovranno avviare un’indagine interna per verificare la veridicità delle notizie. Se fossero false, il caso verrebbe archiviato. Se invece risultassero fondate, si andrà avanti, fino all’eventuale processo canonico. Durante l’indagine “l’imputato” – il prete presunto colpevole – dovrà essere informato delle accuse e dell’indagine nei suoi confronti, perché possa difendersi. E frattanto dovrà essere “isolato”: «Il semplice trasferimento del chierico risulta generalmente inadeguato, ove non comporti anche una sostanziale modifica del tipo di incarico», precisano le Linee guida.

Il prete riconosciuto colpevole potrà subire due tipi di condanne: «Misure che restringono il ministero pubblico in modo completo o almeno escludendo i contatti con minori»; oppure, nei casi più gravi, la «dimissione dallo stato clericale». In circostanze particolari, la diocesi potrà trasferire il procedimento direttamente in Vaticano, affidandolo alla Congregazione per la Dottrina della Fede (l’ex Sant’Uffizio). Oppure la stessa Congregazione potrà decidere di avocare a sé la causa, fino al giudizio finale.

La «cooperazione del vescovo con le autorità civili» è «importante», ma non necessaria. Anzi le Linee guida precisano che «i vescovi sono esonerati dall’obbligo di deporre o di esibire documenti in merito a quanto conosciuto o detenuto per ragione del proprio ministero», come da accordi concordatari. «Eventuali informazioni o atti concernenti un procedimento giudiziario canonico possono essere richiesti dall’autorità giudiziaria dello Stato, ma non possono costituire oggetto di un ordine di esibizione o di sequestro». «Nell’ordinamento italiano – puntualizzano le Linee guida – il vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico, salvo il dovere morale di contribuire al bene comune, di denunciare all’autorità giudiziaria statuale» i preti pedofili. Insomma i panni sporchi, se si lavano, si lavano in famiglia.

«Il vescovo non è tenuto, in base alla legge italiana, a deferire il prete accusato all’autorità giudiziaria. Lo sapevamo già. Ma se questo obbligo non è previsto dalla legge, poteva però essere un impegno vincolante a carico del vescovo che le Linee guida decidevano unilateralmente», commenta il portavoce di Noi Siamo Chiesa, Vittorio Bellavite. «Il testo inoltre non prevede l’istituzione di alcuna autorità indipendente che sia il primo punto di riferimento per le vittime, come è avvenuto invece in tante altre Conferenze episcopali. Quindi tutto come prima. Sorde e cieche sono le guide del nostri vescovi. Sorde perché, chiuse nella difesa della loro casta, non hanno ascoltato nessuno dei tanti, vittime e altri, che hanno cercato di interloquire e di proporre ragionevolmente, a partire da diritti violati. Cieche perché non vedono, non vogliono vedere, la situazione come si è manifestata, anche nel nostro Paese, negli ultimi anni».

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Chiesa e pedofilia: i vescovi italiani non denunciano nessuno

Federico Tulli
http://cronachelaiche.globalist.it/

A proposito di tempi biblici. La Conferenza episcopale italiana ha pubblicato oggi la versione definitiva del documento approvato il 22 maggio 2012 e sbandierato allora come svolta epocale dalla Chiesa: le “Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici”.

Il testo predisposto dalla Cei sulla base delle indicazioni della Congregazione per la dottrina della fede non sposta di una virgola quanto reso noto nell’assemblea di due anni fa riguardo il punto cardine del documento: non c’è nessun obbligo giuridico per i vescovi di denunciare alla magistratura italiana i presunti casi di pedofilia, «salvo – si legge nel testo – il dovere morale di contribuire al bene comune». È bene precisarlo nel caso in cui a qualcuno venisse il dubbio che in questi due anni la Cei si sia posta il problema di smussare codesta presa di posizione che già allora destò sconcerto. Lo stessa reazione che suscitano oggi le parole pronunciate dal cardinal Bagnasco per giustificare questa scelta: «Non è assolutamente un no alla denuncia – osserva lucidamente il presidente dei vescovi italiani -, ma risponde a un’attenzione verso le vittime, i loro sentimenti, i loro drammi interiori e risponde a ciò che i genitori ritengono meglio per il bene dei propri figli e della famiglia. Per noi – conclude Bagnasco – l’obbligo morale è ben più forte e cogente dell’obbligo giuridico, ne è il presupposto e impegna la Chiesa a fare tutto il possibile per le vittime». Cioè nulla.

Personalmente sarei rimasto sorpreso se i “nostri” vescovi avessero cambiato idea poiché, per cultura, sono convinti di poter agire al di fuori e al di sopra di qualsiasi legge terrena e di poter-dover rispondere solo a Dio (o a chi per lui: il papa) degli eventuali peccati commessi. Perché – è bene ricordarlo – anche la reticenza celata dietro il segreto professionale, o la complicità con dei criminali spostati di parrocchia in parrocchia, per loro, sempre peccati sono. Cosa del resto sottolineata poco meno di due mesi fa dalla Commissione Onu sui diritti del fanciullo nelle osservazioni conclusivesulla relazione presentata a Ginevra dalla Santa Sede per giustificare circa 20 anni di politiche vaticane inadeguate o inesistenti, volte a contrastare e prevenire gli abusi di matrice clericale.

L’iter delle Linee guida è stato lungo e articolato nonostante siano rimaste invariate nella loro essenza. Con lettera circolare del 3 maggio 2011, sulla base delle Nuove norme introdotte da Benedetto XVI un anno prima, la Congregazione per la dottrina della fede fornì le indicazioni “ufficiali” da seguire per i casi di abusi sessuali perpetrati da chierici ai danni di minori, invitando le Conferenze episcopali a predisporre su questa base, entro maggio 2012, delle proprie «linee guida», che tenessero “in considerazione le situazioni concrete delle giurisdizioni appartenenti alla Conferenza episcopale”. La prima bozza delle Linee guida Cei fu presentata e discussa nel corso del Consiglio Permanente di settembre 2011; successivamente, tenuto conto delle indicazioni emerse nel dibattito, è stato preparato il testo delle Linee guida che ha ricevuto l’approvazione del Consiglio Episcopale Permanente della Cei nella sessione di gennaio 2012 e dell’Assemblea Generale nel maggio 2012. Questo testo – che come si legge sul sitodella Chiesa cattolica italiana non presenta carattere giuridicamente vincolante e quindi non necessita della recognitio della Santa Sede – è stato trasmesso alla Congregazione per la dottrina della fede con lettera del 27 maggio 2012 . Con successiva comunicazione del 7 maggio 2013, la stessa Congregazione trasmise alla Cei alcune osservazioni e suggerimenti. Nel recepirli, la Cei ha provveduto a rivedere le disposizioni del testo originario e a riformulare i periodi segnalati così come richiesto. Il testo così rivisto è stato presentato al Consiglio permanente della Cei del gennaio 2014 e quindi trasmesso alla Congregazione con comunicazione del 13 febbraio 2014.