Una Via crucis “sociale” per papa Francesco

Luca Kocci
il manifesto, 18 aprile 2014

Sarà una Via cru­cis con­trad­di­stinta dai temi sociali quella che, come da tra­di­zione, si svol­gerà que­sta sera al Colos­seo. Papa Fran­ce­sco, che pre­sie­derà la ceri­mo­nia, ha infatti deciso di affi­dare la reda­zione dei testi di rifles­sione per le 14 «sta­zioni» della Via cru­cis – imme­dia­ta­mente pub­bli­cate dalla Lev – a mon­si­gnor Gian­carlo Bre­gan­tini, un pas­sato da prete ope­raio, poi per 13 anni (dal 1994 al 2007) vescovo anti ‘ndran­gheta a Locri, attual­mente alla guida della dio­cesi di Cam­po­basso e pre­si­dente della Com­mis­sione della Cei per i pro­blemi sociali e il lavoro, la giu­sti­zia e la pace.

E Bre­gan­tini ha scelto di rileg­gere il rac­conto della morte di Gesù – que­sto rie­voca la Via cru­cis dei cat­to­lici – attra­verso la cro­naca e l’attualità: dalle ingiu­sti­zie sociali pro­dotte dalla crisi eco­no­mica e dal libe­ri­smo sel­vag­gio all’immigrazione, dal dramma della Terra dei fuo­chi alle ingiu­sti­zie della deten­zione in car­cere.

Le croci che oggi pesano «sulle spalle dei lavo­ra­tori» si chia­mano «pre­ca­rietà, disoc­cu­pa­zione, licen­zia­menti, un denaro che governa invece di ser­vire, spe­cu­la­zione finan­zia­ria, sui­cidi degli impren­di­tori, cor­ru­zione, usura», scrive mon­si­gnor Bre­gan­tini, che inco­rag­gia alla «lotta per il lavoro» e alla par­te­ci­pa­zione poli­tica, «cer­cando di uscire insieme dai pro­blemi».

Una cita­zione di don Lorenzo Milani quest’ultima – «Il pro­blema degli altri è uguale al mio. Sor­tirne tutti insieme è la poli­tica. Sor­tirne da soli è l’avarizia», scri­veva il priore di Bar­biana – un cui testo, Espe­rienze pasto­rali, che pochi mesi dopo la sua pub­bli­ca­zione nel 1958 venne giu­di­cato «inop­por­tuno» e «riti­rato dal com­mer­cio» per ordine del Sant’Uffizio allora gui­dato dall’ultraconservatore car­di­nale Otta­viani, è stato ria­bi­li­tato pro­prio in que­sti giorni dalla Con­gre­ga­zione per la dot­trina della fede.

Le «disu­mane con­trad­di­zioni» del car­cere e le con­di­zioni di vita dei dete­nuti gli altri temi forti delle rifles­sioni di Bre­gan­tini. Il car­cere è «dimen­ti­cato» e «ripu­diato dalla società civile», scrive il vescovo, che denun­cia «le assur­dità della buro­cra­zia, le len­tezze della giu­sti­zia» e il «sovraf­fol­la­mento» che si con­fi­gura come una vera e pro­pria «dop­pia pena», «un dolore aggra­vato, un’ingiusta oppres­sione, che con­suma la carne e le ossa».

E in que­ste con­di­zioni «alcuni, troppi!, non ce la fanno». Evi­dente il rife­ri­mento ai sui­cidi dei dete­nuti in car­cere: 42 nel corso del 2013 (ma 1.067 ten­tati sui­cidi e 6.902 atti di auto­le­sio­ni­smo, rife­ri­scono i dati di Anti­gone), già 11 in que­sti primi tre mesi del 2014. Ma il car­cere è anche uno stigma dif­fi­cil­mente eli­mi­na­bile: «Quando un nostro fra­tello esce – aggiunge –, lo con­si­de­riamo ancora un ex-detenuto, chiu­den­do­gli così le porte del riscatto sociale e lavo­ra­tivo».

Nei com­menti di Bre­gan­tini ci sono poi gli immi­grati, con l’invito a «non chiu­dere la porta a chi bussa chie­dendo asilo, dignità e patria». Le donne vit­time della vio­lenza dei maschi («pian­giamo su que­gli uomini che sca­ri­cano sulle donne la vio­lenza che hanno den­tro» e sulle donne «schia­viz­zate dalla paura e dallo sfrut­ta­mento», ma «non basta bat­tersi il petto», ammo­ni­sce, biso­gna agire).

E i bam­bini vit­time di abusi, «ingiu­sta­mente coperti», e uccisi dai «tumori pro­dotti dagli incendi dei rifiuti tos­sici»: è la Terra dei fuo­chi. Intanto ieri pome­rig­gio papa Ber­go­glio ha cele­brato la messa del gio­vedì santo nella Chiesa della Fon­da­zione don Gnoc­chi, una strut­tura che acco­glie disa­bili gravi. E 12 di loro — fra cui un musul­mano di nazio­na­lità libica — sono stati i pro­ta­go­ni­sti della tra­di­zio­nale «lavanda dei piedi».

Lo scorso anno, pochi giorni dopo la con­clu­sione del Con­clave che lo elesse papa, toccò ai gio­vani dete­nuti del car­cere mino­rile di Casal del marmo. In attesa delle grandi folle dei pros­simi giorni con la Pasqua e con le cano­niz­za­zioni, il 27 aprile, dei due papi: Gio­vanni XXIII e Gio­vanni Paolo II. L’abbuffata media­tica è assicurata.

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Nel volto dell’oppresso, quello di Gesù

Ingrid Colanicchia
Adista notizie n°16, 26 aprile 2014

È il volto del carcerato, di chi ha perso il lavoro, delle donne, del migrante che mons. Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Boiano e presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, ha scelto per tratteggiare il volto del Gesù della Passione nel corso delle meditazioni della Via Crucis del venerdì santo, il 18 aprile scorso al Colosseo, affidategli da papa Francesco.

Un cammino di dolore, intessuto di speranza e redenzione. Le croci di oggi. Da portare assieme. Mons. Bregantini ci mette subito di fronte alle nostre responsabilità e, nel ricordare il consumarsi della sbrigativa condanna di Gesù – che «raccoglie le facili accuse, i giudizi superficiali tra la gente, le insinuazioni e i preconcetti che chiudono il cuore e si fanno cultura razzista, di esclusione e di “scarto”» –, ci invita a chiederci se sapremo fare qualcosa di diverso, se «sapremo avere una coscienza retta e responsabile, trasparente, che non volga mai le spalle all’innocente, ma si schieri, con coraggio, in difesa dei deboli, resistendo all’ingiustizia e difendendo ovunque la verità violata».

In questa salita al Golgota, per Bregantini è impossibile non partire dalla crisi economica e dal lavoro. Quel peso che grava sulle spalle di Gesù e che lo fa barcollare è «anche il peso di tutte le ingiustizie che hanno prodotto la crisi economica, con le sue gravi conseguenze sociali: precarietà, disoccupazione, licenziamenti, un denaro che governa invece di servire, la speculazione finanziaria, i suicidi degli imprenditori, la corruzione e l’usura, con le aziende che lasciano il proprio Paese. Questa – ci dice l’arcivescovo – è la croce pesante del mondo del lavoro, l’ingiustizia posta sulle spalle dei lavoratori. Gesù la prende sulle sue e ci insegna a non vivere più nell’ingiustizia, ma capaci, con il suo aiuto, di creare ponti di solidarietà e di speranza, per non essere pecore erranti né smarrite in questa crisi».

Cade Gesù sotto il peso della croce, ma «in questa caduta, in questo cedere al peso e alla fatica, Gesù si fa ancora una volta Maestro di vita. Ci insegna ad accettare le nostre fragilità, a non scoraggiarci per i nostri fallimenti, a riconoscere con lealtà i nostri limiti». E ci insegna anche ad «accogliere la fragilità degli altri; a non infierire su chi è caduto, a non essere indifferenti verso chi cade. E ci dà la forza di non chiudere la porta a chi bussa alle nostre case, chiedendo asilo, dignità e patria. Consapevoli della nostra fragilità – ci dice mons. Bregantini – accoglieremo tra noi la fragilità degli immigrati, perché trovino sicurezza e speranza».

È solo Gesù mentre percorre il suo ultimo pezzo di strada: accerchiato, circondato dalla violenza, ma solo. Come soli, circondati e accerchiati sono i detenuti delle nostre carceri: luoghi «lontani, dimenticati, ripudiati dalla società civile», tra «le assurdità della burocrazia» e «le lentezze della giustizia». «Doppia pena – ci ricorda ancora Bregantini – è poi il sovraffollamento: è un dolore aggravato, un’ingiusta oppressione, che consuma la carne e le ossa. Alcuni, troppi!, non ce la fanno… E anche quando un nostro fratello esce, lo consideriamo ancora un “ex-detenuto”, chiudendogli così le porte del riscatto sociale e lavorativo».

Davanti alla morte scopriamo chi siamo. Sono le donne a illuminare gli ultimi passi di Gesù come «fiaccole accese lungo la via del dolore». «Donne di fedeltà e di coraggio, che non si lasciano intimorire dalle guardie né scandalizzare dalle piaghe del buon Maestro. Sono pronte a incontrarlo e a consolarlo. Gesù è lì davanti a loro. C’è chi lo calpesta mentre si accascia a terra sfinito. Ma le donne sono lì, pronte a donargli quel palpito caldo che il cuore non può più frenare. Esse lo guardano prima da lontano, ma poi si fanno vicine, come fa ogni amico, ogni fratello o sorella, quando si accorge della difficoltà che vive la persona amata». Ed è ancora una donna, Maria, sua madre, prostrata sul suo corpo senza vita, incatenata in un abbraccio totale a Lui, a mostrarci che «la morte non spezza l’amore».

«La morte ci disarma – dice Bregantini all’ultima stazione – ci fa capire che siamo esposti a un’esistenza terrena che ha un termine. Ma è davanti a quel corpo di Gesù, deposto nel sepolcro, che prendiamo coscienza di chi siamo. Creature che, per non morire, hanno bisogno del loro Creatore. Il silenzio che avvolge quel giardino ci permette di ascoltare il sussurro di una brezza leggera: “Io sono il Vivente e sono con voi” (cfr. Esodo, 3, 14). Il velo del tempio è squarciato. Finalmente vediamo il volto del nostro Signore. E conosciamo in pienezza il suo nome: misericordia e fedeltà, per non restare mai confusi, nemmeno davanti alla morte, perché il Figlio di Dio fu libero in mezzo ai morti (cfr. Salmi, 88, 6)».