Quel che resta del cattolicesimo

Alessandro Baoli
www.cronachelaiche.it

Terminato il grande festival dell’idolatria cattolica, a metà tra un sabba, una Woodstock di serie B e un gigantesco spot commerciale con numerose guest star, i media hanno mostrato i quintali di immondizia lasciati dal pubblico dei fedeli – ottocentomila le presenze stimate – a ricoprire le strade di Roma.

In realtà, quello che resterà di questa giornata, per tutti quelli che non sono interessati alle dinamiche interne alla religione cattolica, è soprattutto la celebrazione del peggio della bassa cucina vaticana, che fa politica e poco altro da duemila anni: una Chiesa che ha bisogno di dare feticci e simboli, inclusi pontefici presunti “moderni” che non si sottraggono ai selfie coi fedeli, in pasto alle masse per contrastare la secolarizzazione che avanza e mantenere un livello accettabile di credito e influenza sulla vita pubblica, è una Chiesa morta, che tradisce lei per prima il messaggio che dovrebbe trasmettere: verità (nel senso di non-menzogna), tolleranza, “amore”.

A un certo punto della cerimonia, ieri si è materializzato anche Robert Mugabe, al quale Bergoglio – che aveva già ricevuto nelle scorse settimane il presidente dell’Uganda, che ha promulgato una legge feroce contro gli omosessuali – per non essere da meno dei suoi predecessori ha stretto la mano senza alcuna remora.

Già: santificare due pontefici che in vita hanno frequentato e benedetto feroci e sanguinari dittatori, stroncato la teologia della liberazione (stare concretamente dalla parte degli ultimi e non dei ricchi e potenti non è quello che dovrebbe fare ogni cristiano?), e “tutelato” gli stupri compiuti da decine migliaia di preti pedofili in tutto il mondo (il Crimen sollicitationis, documento che di fatto ha “secretato” per 40 anni l’attività di protezione dei sacerdoti pedofili, è stato promulgato dal papa “buono” ed è stato rinnovato dal collega polacco nel 2001), è una macchia che resterà per sempre sui due pontefici attuali, quello emerito e quello in carica.

Con in più la curiosa contraddizione che un neo santo, Woytjla, ha attuato una contro riforma fattiva della politica dell’altro neo santo, Roncalli: la politica reazionaria, misogina, omofoba di Giovanni Paolo II di fatto smentisce, essendo uguale e contraria, quella conciliare di Giovanni XXIII (e già il Concilio Vaticano secondo certo non è stato la Rivoluzione francese!).

Ma la coerenza non è obbligatoria nemmeno sotto la cupola di San Pietro, e a quanto pare neanche i fans osannanti del cattolicesimo-spettacolo se ne curano: come accade in politica, ieri in piazza i sostenitori entusiasti (le centinaia di migliaia di convenuti nella capitale per la doppia canonizzazione) hanno dimostrato di somigliare – e di meritarsi – alle gerarchie ecclesiali.

E’ vero che ogni grande evento lascia il luogo dove si è svolto in pessime condizioni di pulizia (in questo caso c’è da aggiungere che la città di Roma è molto sporca già di suo), ma l’immondizia che lastricava le strade della capitale ieri è stata soprattutto un’ottima immagine simbolica di dove la Chiesa ha sempre tenuto la spiritualità vera e propria, e la figura di Cristo come raccontata nei vangeli: sotto le scarpe.