Un’autocelebrazione che non è un modello

Aldo Maria Valli
www.europaquotidiano.it

Quattro papi in piazza: due viventi e due sugli altari. Ciò che si vedrà domenica 27 aprile non ha precedenti nella storia. Un’immagine inedita destinata ad avere ripercussioni a più livelli: come il papato vede se stesso, come è vissuto dai fedeli, come è visto dal mondo. Ma anche un’occasione per riflettere, in generale, sul ruolo assunto dal papa e dal papato ai nostri giorni. Un ruolo che in passato non è mai stato così centrale.

Tra san Pietro e Francesco sono 266 (più o meno, e comunque tralasciando gli antipapi) gli uomini che hanno proclamato di essere l’uno il successore dell’altro e che sono stati generalmente riconosciuti tali. Alcuni sono stati santi, altri peccatori; alcuni mediocri, altri grandissimi. Tra loro troviamo persone di ogni estrazione, cultura e nazionalità: nobili, ex schiavi, aristocratici, contadini; greci, siriani, africani, spagnoli, francesi, olandesi, tedeschi, un inglese, un polacco, un argentino, però nessun portoghese, irlandese o americano del Nord. Quasi tutti al momento dell’elezione erano preti, ma ci sono state eccezioni, e non tutti sono stati eletti a Roma.

La figura del papa, così come la vediamo e la intendiamo oggi, è molto diversa da come è stata nel passato. Alcune funzioni oggi date per ovvie, come nominare vescovi e scrivere encicliche, non lo erano affatto qualche secolo fa (per esempio, le encicliche papali, come noi le conosciamo, esistono solo da un secolo e mezzo). L’istituzione apparentemente più tradizionale ha fatto del cambiamento il suo connotato distintivo. Forse è per questo che, più volte sull’orlo del baratro, il papato si è immancabilmente ripreso ed è ancora vivo.

La storia dei papi non coincide con quella del cristianesimo e del cattolicesimo, che è molto più ampia. Oggi però è difficile ammetterlo, perché negli ultimi cent’anni il papato ha giocato un ruolo sempre più centrale e predominante, e non solo nel mondo cattolico. È una sovraesposizione del tutto inedita rispetto al passato. Nel 1200 si poteva benissimo essere cristiani senza neppure sospettare che esistesse un’istituzione come il papato.

Ma anche quattrocento o trecento anni fa il papa non era per nulla centrale nell’autorappresentazione dei cattolici. Il papa per lunghi secoli non è stato menzionato in alcuna preghiera, e nel catechismo è apparso solo a partire dal sedicesimo secolo. Nemmeno l’invenzione della stampa (metà del 1400) ha illuminato molto di più la figura papale. A farlo sono stati in realtà i mass media moderni: pellicola, radio, televisione, e ora internet. Tanto che ai nostri giorni è impossibile pensare al cattolicesimo senza pensare al papa.

Francesco ha detto che la presenza di un papa emerito deve far riflettere la Chiesa, lasciando intendere che quello di Benedetto è destinato a diventare solo il primo caso di una nuova era nella quale gli emeriti diventeranno a poco a poco una presenza abituale. Ci abitueremo a declinare la parola papa al plurale e avremo due o anche tre papi viventi, con ulteriore interessamento dei mass media. Ma ne avremo anche sempre di più sugli altari?

Francesco non sembra essere di questa idea quando dichiara che non gli piacciono i cristiani trionfalisti, troppo propensi a celebrare se stessi, e predica una Chiesa povera. La grande autocelebrazione di domenica prossima non sembra quindi destinata, almeno sulla carta, a diventare un modello, ma in realtà chi può dirlo? Dentro il Vaticano la spinta ad autocelebrarsi è sempre forte: è rassicurante e garantisce appagamento, in tutti i sensi. E Francesco stesso, che ha fatto dell’umiltà e della semplicità il suo codice di interpretazione del papato, deve guardarsene.

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Roncalli e Wojtyla santi: cronache dal Medioevo

Cecilia M. Calamani
www.cronachelaiche.it

Alla vigilia della doppia canonizzazione, che renderà santi i già beati Angelo Roncalli e Karol Wojtyla, il sindaco romano Marino prevede un esborso dalle casse comunali di circa otto milioni di euro, assicurando che lo straordinario gettito non si tradurrà in nuove tasse a carico dei cittadini della capitale.

Comunque la si metta, si tratta di soldi pubblici tolti ad altre spese e destinati a finanziare un evento che riguarda solo una parte della popolazione italiana, i fedeli ortodossi, a loro volta solo una parte di quelli che si professano cattolici. Perché tutto ciò non scandalizzi come dovrebbe l’opinione pubblica, media inclusi, è uno dei misteri italiani.

Cosa succederebbe, per assurdo, se i pastafariani, gli adepti del parodistico culto di adorazione dello Spaghetto volante, organizzassero in piazza del Popolo una spaghettosa cerimonia con i fondi comunali? La risposta è scontata. Tutti i culti hanno pari dignità per lo Stato italiano, ma uno è più “dignitoso” degli altri.

Il problema però non è solo il finanziamento di un evento riservato a pochi con i soldi della collettività. Sommerso dai risvolti logistici e folcloristici della doppia canonizzazione, che riporterà Roma dal terzo millennio dritta al Medioevo, c’è un aspetto ancor più sconcertante: il messaggio antiscientifico che il processo di canonizzazione contiene endemicamente in sé. E che viene trasmesso urbi et orbi con il sostegno economico delle istituzioni pubbliche.

Ci vogliono almeno due miracoli ufficialmente riconosciuti per essere proclamati santi dalla Chiesa di Roma. Nel caso particolare, si tratta di due guarigioni “inspiegabili” attribuite a Wojtyla e una a Roncalli, quest’ultimo esentato dal riconoscimento del secondo miracolo pro gratia, una facoltà riservata al pontefice in carica per accelerare i tempi di canonizzazione.

Una guarigione viene ritenuta miracolo dalla Chiesa quando una commissione di medici (cattolici, neanche a dirlo) afferma che non se ne intravedono spiegazioni razionali. A questo punto il tutto passa all’approvazione di teologi, vescovi e cardinali che, di fronte alla parola della “scienza”, ufficializzano la soprannaturalità dell’evento.

Naturalmente non sono Roncalli o Wojtyla ad aver guarito le tre persone, ma dio stesso tramite l’intercessione dei due papi. I quali, una volta santi, potranno essere ufficialmente venerati dai fedeli affinché intercedano per la loro salute e per quella dei propri congiunti.

Cosa ci sia di diverso da chi promette guarigioni miracolose bevendo bicarbonato o indossando un amuleto magico non si capisce. Eppure, questi ultimi sono ritenuti ciarlatani e nessuna istituzione pubblica si sognerebbe di finanziarli.

Ma il peggio del messaggio antiscientifico deve ancora arrivare. Il fatto che un fenomeno, di qualsiasi natura, risulti “inspiegabile” significa poco o nulla se non che le conoscenze scientifiche del momento non ne consentono la giusta interpretazione. Si sta parlando, è ovvio, di eventi ripetibili del cui accadimento c’è prova. Un esempio su tutti è quello della superconduttività, un fenomeno fisico che permette il passaggio di corrente elettrica senza dissipazione in alcuni materiali.

Osservato fin dall’inizio del Novecento, fu scientificamente spiegato solo cinquant’anni più tardi. In ambito medico succede lo stesso: le guarigioni “inspiegabili” del cattolicesimo in realtà sono catalogate come “spontanee”. Un motivo ci sarà, ma non lo si conosce. E d’altronde, al contrario della fisica, in medicina c’è un elemento ulteriore, per lo più ancora sconosciuto, che complica il tutto: la psiche. Basti solo pensare agli effetti benefici del placebo, ufficialmente accettati dalla comunità scientifica mondiale.

E torniamo alla fede. Coincidenza (o credenza) vuole che quando una guarigione spontanea riguarda un fervente credente, magari raccolto in adorazione di un’immagine come le tre donne “salvate” dai due papi, allora si tratta di miracolo.

Il che offende la scienza e il suo metodo, ne scredita l’attendibilità e soprattutto induce a pensare che la terapia medica sia solo la triste alternativa all’intervento divino (o all’amuleto, o al bicarbonato, o alla congiuntura astrale). E tutto ciò il 27 aprile arriverà nelle case delle persone in diretta nazionale da piazza san Pietro, finanziato da denaro pubblico.

La libertà di culto (superstizione inclusa) è un diritto inviolabile di ogni persona, ci mancherebbe. Ma non può diventare pubblica offesa al progresso e alla scienza. O almeno non in nome, e con i soldi, di uno Stato laico.