Wojtyła santo subito? Il caso Maciel e altre ombre

Hans Küng
da: “Karol Wojtyła, Il grande oscurantista”, MicroMega, aprile 2011

Ritorniamo a trent’anni fa, quando nel 1980 Giovanni Paolo II venne in visita in Germania. Durante una grande manifestazione svoltasi a Monaco il 26 novembre Barbara Engl, rappresentante dell’Unione dei giovani cattolici tedeschi, rivolse al papa alcune domande, infrangendo il protocollo che non consentiva di interrogare il pontefice: «Santo Padre, nella Vostra predica avete parlato già diffusamente delle cose che ci toccano.

Ai giovani riesce però spesso difficile comprendere la Chiesa nella Repubblica Federale di Germania, perché hanno l’impressione che essa resti timorosamente aggrappata alle situazioni esistenti, che accentui di nuovo maggiormente le differenze tra le due grandi confessioni invece di sottolinearne i punti in comune, che reagisca alle domande dei giovani relative ad amicizia, sessualità e vita di coppia con troppi divieti e che la loro ricerca di comprensione e dialogo trovi poche risposte. Molti non riescono a capire perché la Chiesa continui a essere irremovibile sulla questione del celibato, nonostante vi sia un calo di vocazioni. Oggi ci sono troppi pochi padri spirituali per i giovani; molti chiedono se non sia possibile una maggiore partecipazione delle donne in ambito ecclesiastico» (notizia dell’Agenzia di stampa tedesca del 21 novembre 1980).

Questa giovane, che in seguito dovette patire parecchio all’interno della Chiesa per la sua coraggiosa azione, aveva espresso quanto pensava la gioventù cattolica tedesca: «Abbiamo discusso questi problemi nell’assemblea generale dell’Unione dei giovani cattolici tedeschi. Poco tempo fa si è parlato di amicizia, sesso e vita di coppia». Tuttavia aggiunse: «Con una parte degli ecclesiastici è molto difficile discutere di queste cose. Ma ci sono padri spirituali che vanno proprio nella nostra stessa direzione».

E il papa? Tacque imbarazzato. A domande del genere, così fondamentali per la religiosità cattolica, che toccano soprattutto le giovani generazioni, non seppe dare una risposta né allora né in seguito. E la regia ufficiale fece in modo che il papa non dovesse più confrontarsi con domande scomode in nessuna occasione. I numerosi viaggi, le encicliche e le lettere pastorali non riuscirono comunque a far cambiare idea alla maggior parte dei cattolici sulle controverse questioni relative al senso della dottrina romana.

Quando poi Joseph Ratzinger celebrò il 6 aprile del 2005 in piazza San Pietro la messa funebre per il defunto papa polacco, alcuni seguaci del papa provenienti appartenenti ai «Movimenti» srotolarono in modo ben concertato dei giganteschi striscioni inneggianti «Santo subito!» e urlarono tale motto anche attraverso i megafoni. Da nuovo pontefice Joseph Ratzinger sostenne la campagna di canonizzazione dichiarando alla folla riunita in piazza San Pietro quel che certo non avrebbe mai osato dire da teologo, ovvero che vedeva Giovanni Paolo II vegliarli dall’alto della sua finestra celeste. Appena due mesi dopo, non rispettando il termine di cinque anni prescritto dal diritto canonico, papa Benedetto XVI avviò il processo di beatificazione. E già nel dicembre del 2005 riconobbe al suo predecessore le virtù eroiche, atto necessario per la beatificazione. Il progetto era di proclamarlo beato il 16 ottobre 2010, nel trentaduesimo anniversario della sua elezione a pontefice.

Ma cinque anni dopo la sua morte al Vaticano iniziarono a serpeggiare dei dubbi legati alla crisi innescata dai casi di abuso commessi da ecclesiastici: anzitutto molti si ricordavano ancora di come il cardinale pedofilo viennese Hans Hermann Groër, successore del grande cardinale König, fosse stato coperto per molto tempo da papa Wojtyła, anche se la Conferenza episcopale austriaca ne aveva considerata provata la colpa. Il papa protesse per troppo tempo anche un altro amico austriaco, il vescovo di St. Pölten Kurt Krenn, che si dimise soltanto quando, dopo i racconti di seminaristi e loro superiori che parlavano di atti omosessuali, fu esposto a una fortissima pressione pubblica. E poi il papa, suscitando l’irritazione di numerosi cattolici americani, nominò arciprete della basilica di Santa Maria Maggiore, una delle quattro chiese principali di Roma, il cardinale Bernard Law, che per via degli scandali sugli abusi sessuali aveva dovuto ritirarsi dalla sua diocesi di Boston/Massachussets. La fedeltà di vassallo sembrava giustificare per questo papa qualsiasi mancanza e qualsiasi colpa.

Ciò risulta evidente in maniera sconcertante negli scandali scoppiati intorno al fondatore e storico leader della congregazione dei Legionari di Cristo (fondata nel 1941), il messicano padre Marcial Maciel Degollado, che per decenni fu a capo della congregazione e fu un protetto speciale di Giovanni Paolo II. Questo fervente cattolico, difensore del celibato, conduceva una ben mascherata doppia vita. Aveva rapporti intimi con due donne benestanti, Bianca Gutierrez Lara e Norma Hilda Baños, e da queste unioni nacquero tre figli. Ma il papa polacco durante i suoi viaggi in Messico poteva contare sul loro aiuto e questo spiega come mai Karol Wojtyła abbia intrapreso il suo primo viaggio all’estero all’inizio del 1979 proprio in Messico, facendone seguire altri quattro in questo paese ufficialmente molto laico, sempre in compagnia di Maciel che organizzava abilmente l’accoglienza del pontefice da parte di folle esultanti.

Sono passati trent’anni da quando le prime accuse contro Maciel giunsero fino a Roma:
– Nel 1976 furono rivolte le prime lamentele a papa Paolo VI.
– Nel 1978 Karol Wojtyła fu eletto papa e ben presto abolì di nuovo la semplificata dispensa dal celibato che il suo predecessore aveva reso possibile.
– Nel 1989 i vescovi americani mandarono a Roma degli esperti di diritto canonico per ottenere il permesso di ridurre allo stato laico i preti pedofili senza doverli sottoporre a un processo speciale a Roma, ma Giovanni Paolo II lo negò.
– Nel 1990 il biografo del papa George Weigel, vicino a Giovanni Paolo II, dell’Institute on Religion and Public Life di Washington (d’ispirazione conservatrice) tacque del tutto nel primo volume della sua biografia sugli scandali sessuali già affiorati. Quando poi negli anni Novanta la cosa diventò di dominio universale, anche Weigel si decise finalmente a parlare in senso critico degli scandali relativi agli abusi, ma riconducendoli tuttavia al «mysterium iniquitatis» ovvero al «mistero del male».
– Nel 2002 Giovanni Paolo II fu costretto a occuparsi personalmente del problema degli abusi sessuali, dopo che lo scandalo aveva assunto dimensioni sempre più vaste nell’arcidiocesi di Boston. Ma il suo incontro con i cardinali americani nell’aprile del 2002 non portò a nessuna chiara individuazione delle responsabilità di papa e cardinali.
– Il 7 gennaio del 2011 Jason Berry, che nel frattempo aveva scritto diversi articoli sullo sviluppo degli scandali, pubblicò sul National Catholic Reporter un lungo articolo contro George Weigel intitolato «Whitewashing John Paul’s Culpability» ovvero «Come lavare la colpa di Giovanni Paolo II». Sul The Tablet del 22 gennaio 2011 Michael Walsh, il curatore dell’Oxford Dictionary of Popes, concludeva il suo articolo critico sulla progettata beatificazione con la seguente considerazione: «I papi hanno ripreso la tradizione degli antichi imperatori romani che solevano idolatrare i loro predecessori».

Nel suo libro intervista del 2010 Luce del mondo l’ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e oggi papa Benedetto XVI fa notare che le congregazioni vaticane competenti hanno reagito «tardi e con molta lentezza» allo scandalo degli abusi. Non c’è da stupirsi, tanto più che delle foto mostrano Giovanni Paolo II già molto anziano benedire pubblicamente Maciel poggiandogli la mano sulla fronte. E il 15 marzo del 2005 il papa, ormai moribondo, rivolse un esplicito saluto ai Legionari di Cristo presenti in piazza San Pietro (soprannominati in Vaticano i «Milionari di Cristo» per la loro potenza economica).

Solo negli ultimi giorni di vita del papa il cardinale Ratzinger avviò una nuova indagine su Maciel e già il 26 maggio 2005, cinque settimane dopo la sua elezione, ordinò da papa il ritiro di Maciel dalla vita pubblica e lo dimise dalla direzione dei Legionari. Ma un anno più tardi la Congregazione per la dottrina della fede rinunciò esplicitamente a un procedimento di diritto canonico contro il farabutto, per motivi di salute. Maciel morì due anni dopo. Una «visita apostolica» alla congregazione (con i suoi circa 800 preti e 2.500 seminaristi in 22 paesi) da parte di cinque cardinali confermò tuttavia le accuse di un «comportamento oggettivamente immorale». Nonostante ciò non fu deciso di sciogliere la congregazione dei Legionari di Cristo, bensì unicamente di «riformarla».

L’estrema titubanza nel procedere contro gli abusi sessuali e in particolare la gestione fallimentare del caso Maciel sono considerati tra gli esperti la vera ragione del perché in Vaticano siano iniziati a emergere dubbi sulla questione del «Santo subito». Sotto il pontificato di Giovanni Paolo II «i rustici e combattivi Legionari di Cristo – accanto all’elitario Opus Dei – assursero a una delle più potenti cordate nell’apparato della curia. Disponendo entrambi d’ingenti risorse aiutarono volentieri il pontefice. Giovanni Paolo II non si stancò mai di elogiarli, insieme a gruppi analoghi, definendoli «primavera e speranza della Chiesa», benché fosse a conoscenza degli abusi su minori imputabili a Maciel. Wojtyła tacque e ostacolò» (H. Oschwald, «Der Freund und Kinderschänder», Publik-Forum, n. 19/2010).

Wojtyła dovrebbe comunque essere proclamato beato il 1° maggio 2011, benché il miracolo di guarigione dovuto all’intercessione del papa polacco, il cui accertamento è necessario per la beatificazione, sia alquanto controverso. I medici dubitano infatti che la suora francese che poco dopo la morte di Giovanni Paolo II sarebbe inspiegabilmente guarita dal Parkinson abbia mai sofferto veramente di quella malattia.

In curioso contrasto con tale carenza di miracoli ai fini della propria beatificazione sta la massa di beatificazioni compiute dal papa stesso, il quale credeva evidentemente molto ai miracoli. Le 1.338 beatificazioni e le 482 canonizzazioni decise durante il suo pontificato sono più del doppio dell’insieme di quelle avvenute durante i pontificati degli ultimi quattro secoli. Giovanni Paolo II trascurava volentieri lo studio dei documenti, ma amava sopra ogni cosa comparire in pubblico.

Era convinto di poter rafforzare con simili cerimonie la devozione popolare, anche se molto spesso si trattava di santi di singoli ordini o comunità religiose, ed era sicuramente anche consapevole di quanto lucrose fossero per il Vaticano le beatificazioni e le canonizzazioni, benché ciò trapelasse poco all’esterno. Un affare lucroso non soltanto per via delle molte schiere supplementari di pellegrini, ma anche per via degli alti costi del processo: una comunità religiosa, come mi ebbe a raccontare uno dei suoi superiori, rinunciò a una beatificazione per poter investire altrimenti le molte migliaia di euro richieste per il processo.

Papa Benedetto XVI lasciò subito tutti i processi di beatificazione in mano ai prefetti della Congregazione per le cause dei santi, riservando per sé solo le canonizzazioni. Egli rinunciava così però a qualsiasi riforma di questo processo alquanto problematico. Infatti è ben noto che in questo uso risalente al Medioevo – Innocenzo III, sicuro del proprio potere, nel 1200 aveva riservato al papa tutte le canonizzazioni – si sono insinuati gravi abusi. «E se questo fosse proprio il modo per rianimare la Chiesa malata?», si è pensato.

Queste manifestazioni sono diventate sempre più un’occasione di autorappresentazione per il pontefice e sono state sfruttate per fini politici legati agli ordini e alla Chiesa. Si sono contestate le canonizzazioni del papa dell’infallibilità Pio IX e del papa antimodernista Pio X. Ad alcuni apparve scandalosa la canonizzazione di Padre Pio, figura ambigua che risultò aver manipolato le sue presunte «stimmate di Cristo», e del fondatore dell’Opus Dei Josemaría Escrivá dalla dubbia santità. Ma qualsiasi cosa accadesse, da parte dell’episcopato non è mai giunta alcuna parola di monito o di biasimo.