L’arcivescovo di Montevideo chiede perdono ai gay: la chiesa vi ha ferito

Eletta Cucuzza
Adista Notizie n. 17 del 10/05/2014

L’Uruguay approva in via definitiva, dopo vari passaggi parlamentari fra Camera e Senato, la legge che riconosce il matrimonio gay, e l’arcivescovo di Montevideo, mons. Daniel Sturla, cosa fa? In nome della Chiesa cattolica chiede perdono agli omosessuali per «le ferite causate alla comunità lgbt» e afferma che non avrà problemi a battezzare i loro figli, «sempre che i genitori si impegnino ad educarli nella fede». È successo il 14 aprile durante un incontro – definito «storico» dai media uruguayani che hanno dato alla notizia rilievo da prima pagina – fra vescovo e dirigenti di collettivi gay e transessuali, dopo il sì definitivo del Senato alla legge (10 aprile).

Secondo quanto riferito dal giornalista e attivista lgbt Omar Salsamendi, presente alla straordinaria riunione, il vescovo ha detto che nella condizione omosessuale non c’è nulla di «contraddittorio né con la fede né con i dogmi della Chiesa». Il giornalista ha rilevato che «l’aspetto importante di questo incontro è stato che il vescovo ha preso l’iniziativa e a chiesto perdono a nome della Chiesa cattolica alla comunità lesbica, gay, bisessuale e transessuale per le offese ricevute da questa con le parole e i discorsi tenuti nel corso del tempo».

Il riferimento sarebbe al precedente vescovo di Montevideo, il conservatore mons. Nicolás Cotugno, che, per esempio nel 2008, aveva dichiarato che i gay «sono malati e devono andarsi a curare su un’isola» e che ha dato vita ad una decisa campagna mediatica contro l’equiparazione del matrimonio omosessuale a quello etero; e anche al presidente della Commissione episcopale Famiglia e Vita e vescovo di Minas, mons. Jaime Fuentes, che, intervistato il 7 febbraio scorso dall’agenzia argentina Aica, ha detto che l’Uruguay si trova «nel mezzo di una tempesta ideologica» e che il governo ha compiuto «quattro passi verso l’abisso» con le leggi (alcune approvate, altre in discussione) sul matrimonio gay, l’aborto, la fecondazione assistita, la liberalizzazione della marijuana.

C’è un «sostrato ideologico individualista» che nega il «riferimento trascendente» e che insegna che «ognuno può essere felice a modo suo, che la verità sull’uomo è quella che ognuno sceglie per sé».

Anche mons. Sturla non approva il matrimonio gay; solo che, ha precisato parlando con i giornalisti prima di Pasqua in merito alla sua richiesta di perdono, «la Chiesa è una casa dalle porte aperte, nella quale tutti gli esseri umani devono sentirsi ben accolti e far parte della comunità a partire dalla situazione personale», «non siamo una riserva di santi, il luogo dei perfetti». E in un’intervista rilasciata al quotidiano uruguayano El País, il 16 febbraio, subito dopo la sua nomina ad arcivescovo della capitale, riaffermando di essere «contrario alla legge sul matrimonio gay», ha aggiunto che però «quello che vale è la dignità umana al di là della condizione omosessuale.

Io difendo la famiglia, costituita da un uomo e una donna, difendo queste famiglie generose nella trasmissione della vita, e al tempo stesso sento un enorme rispetto per le persone che formano una coppia omosessuale». Se «è un errore chiamarla matrimonio», se «è un errore permetter loro l’adozione, capisco però che si cerchino soluzioni legali». Comunque ormai è legge, ha osservato, perciò «ora si guardi avanti». Come nel caso della legge sull’aborto. «L’importante è che la Chiesa si impegni a curare le ferite della società, che continui difendere la vita del concepito, dal primo istante fino alla morte naturale».

Per quanto riguarda la legalizzazione della marijuana, la posizione di mons. Sturla è più sfumata: «È un tema complesso. Di per sé è una droga e dunque cosa cattiva. Ma dopo aver ascoltato gli argomenti pro e contro, sinceramente, non ho un’opinione precisa. Credo che i promotori abbiano la buona intenzione di mettere un freno al narcotraffico, e proteggere i nostri giovani. La legge non è certo perfetta, ma capisco che bisogna pur cercare dei modi per salvare i nostri giovani».