Italiani, analfabeti religiosi. Un rapporto racconta il “concorso di colpa” chiesa-stato

Luca Kocci
Adista Notizie n. 18/2014

Italiani, popolo di cattolici e di analfabeti religiosi, verrebbe da dire leggendo i dati e gli interventi del primo Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia, curato da Alberto Melloni (Il Mulino, pp. 512, 38€) e presentato a Roma lo scorso 2 maggio, nella sala Zuccari del Senato, in un incontro a cui hanno partecipato, fra gli altri, Giuliano Amato, il politologo valdese Paolo Naso e il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Nunzio Galantino, oltre allo stesso Melloni.

Quello dell’analfabetismo religioso non è un problema di scarse conoscenze “nozionistiche” sulle religioni, e in particolare sul cristianesimo, che pure il Rapporto evidenzia presentando i risultati delle risposte ad alcuni quesiti base: il 79% della popolazione si definisce cattolico, ma più di un italiano su quattro (26,4%) pensa che la Bibbia sia stata scritta da Mosè e più di un su cinque (20,4%) è convinto che invece l’autore sia Gesù; solo il 30% è in grado di mettere nel giusto ordine cronologico Noè, Abramo, Mosè e Gesù; appena un italiano su 100 conosce tutti i Dieci comandamenti e più della metà (51,2%) non sa chi li ha dettati. Ma è un problema culturale ben più profondo, che in ultima analisi ha a che fare con la stessa democrazia, dal momento che la storia italiana è saldamente intrecciata alle dinamiche religiose e che Stato e Chiesa sono due entità formalmente e costituzionalmente autonome e separate ma inevitabilmente condizionate l’una dall’altra, sia che si tratti di “massimi sistemi” che di piccole questioni quotidiane. Per cui la non conoscenza del fatto religioso – al di là, ovviamente, dell’adesione o meno ad una fede – costituisce una seria ipoteca alla comprensione piena del passato e del presente.

L’analfabetismo religioso «non nasce dal nulla», ma è «parte integrante della storia italiana», sostiene Melloni. Le ragioni sono «di lungo periodo» ed affondano le radici «in una perdita di strumenti che risale nella sua stratificazione più profonda all’epoca post-tridentina». Cause antiche e diverse, quindi, con responsabilità sia da parte dello Stato che della Chiesa. La sintesi di questo “concorso di colpa” può essere ben rappresentato dalla soppressione delle facoltà di teologia dalle università pubbliche, «frutto del perverso concerto fra un laicismo sciocco che credeva di espungere così l’oscurantismo dalla società escludendone la madre dalle università – spiega Melloni – e di un clericalismo cieco che pensava di migliorare la qualità del clero monopolizzando nei seminari una preparazione più devota e meno intellettuale». Ma anche da quell’ora di «religione cattolica» – un controsenso lessicale, sostiene Melloni, perché «il cattolicesimo non è una religione, nemmeno nella propria autodefinizione, ma se mai una confessione appartenente al cristianesimo come esperienza di fede» – insegnata nelle scuole statali ma gestita dalle curie diocesane che non solo non ha ridotto la portata dell’analfabetismo religioso, ma lo ha anzi aumentato (e all’Irc sono dedicati diversi saggi del volume).

E il cattolicesimo, largamente maggioritario, «non ha avuto alcun effetto nel far crescere una consapevolezza intellettuale, una conoscenza critica ed una elaborazione giuridica delle questioni». I risultati, elenca Melloni, sono evidenti: ignoranza totale della Bibbia, «produzione di idee fantasiose sulla struttura dottrinale o cultuale» della fede cattolica, superficialità con cui si leggono le “altre” fedi. È quella «fede light» – così la chiama mons. Galantino – che spesso è stata preferita a quella «fede adulta» più problematica, meno rassicurante, ma sicuramente più incisiva. «Il preoccupante tasso di analfabetismo religioso registrato dal Rapporto penso che, almeno in parte, sia anche il frutto amaro ma evidente di un sentimento religioso che poggia su tracce cristiane infantilistiche, anche nel linguaggio e nelle immagini, che rivelano tutta la loro inadeguatezza e tutta la loro marginalità rispetto a ciò che conta nel “mondo adulto”», spiega il segretario generale della Cei. «Un mondo adulto che domanda sempre di più al credente di saper “dare ragione della speranza” che lo anima e che innerva le sue progettualità; un mondo adulto che, proprio per questo, domanda contenuti di fede da adulti». E, chiarisce Galantino, «quelli che chiamo “contenuti di fede da adulti” sono il contrario o comunque sono “altro” rispetto al pacchetto di dogmi e comandamenti, semmai anche conosciuti a memoria, ma senza che abbiano un impatto vero sulla capacità di giudizio e di scelta dell’uomo. I contenuti di fede da adulti sono quelli che, radicati nel dato rivelato, permettono di formarsi e di avere una coscienza critica e una sensibilità capace di capire e di apprezzare le differenze, senza demonizzarle né volerle necessariamente omologare».

Un’analisi su cui concorda anche Paolo Naso, interpellato dal settimanale delle Chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi Riforma (9/5). «L’analfabetismo religioso degli italiani ha radici antiche, probabilmente connesse con la prevalenza di una spiritualità devozionale e convenzionale piuttosto che di una fede consapevole maturata nel confronto con la Bibbia. Per superare questo deficit che viene da lontano, allora, non ci sono scorciatoie agevoli: c’è un problema che riguarda la scuola, ovviamente, e sarebbe interessante se se ne parlasse con serenità ma anche con severità dati i risultati che abbiamo di fronte. Ma c’è anche un problema delle università, così come c’è una gigantesca questione che riguarda l’informazione religiosa, vittima di un complesso vaticanocentrico che nasconde abissali ignoranze sul mondo cristiano così come sulle altre tradizioni. E c’è una responsabilità delle comunità religiose stesse che oggi faticano a comunicare, persino al loro interno, i contenuti essenziali della loro identità. Smarrite anche loro, forse, tra le nebbie di questo anomalo pluralismo secolarizzante».

Il Rapporto – a cui hanno contribuito 31 specialisti di vari ambiti (Paolo Branca, Roberto Cipriani, Fulvio De Giorgi, Francesco Margiotta Broglio, Paolo Naso, Valerio Onida, Enzo Pace, Flavio Pajer, Brunetto Salvarani, Piero Stefani e altri) – offre una panoramica a 360 gradi dell’entità, della qualità, delle caratteristiche, dei luoghi e delle ragioni dell’analfabetismo religioso e presenta i principali ambiti dove intervenire: la scuola, la legislazione sulla libertà religiosa e la ricerca. Un intervento che è anche mons. Galantino, parlando alla sua “ditta” come avrebbe detto don Lorenzo Milani, ad incoraggiare: rischia di essere «sterile l’atteggiamento di chi si ferma ai numeri e alle analisi» senza però «andare un poco più in là» per tentare di «avviare risposte credibili agli interrogativi legittimi provocati da quei numeri e da quelle percentuali». Ma è «sterile, anzi oltremodo dannoso, l’atteggiamento di chi, di fronte a dati e percentuali che mostrano il limite di certe prassi di evangelizzazione e di testimonianza, si arrocca su posizioni tipiche di chi è sopraffatto dalla “sindrome da accerchiamento”, che porta ad attivare soltanto difese ad oltranza e diversivi di ogni genere». Si tratta allora di «prendere l’iniziativa», affinché «l’esperienza religiosa non si riduca a uno sfondo anonimo a cui si presta un’attenzione interessata o peggio sospetta, fatta di “narrazioni” su Gesù e accompagnate da buoni sentimenti, tutti comunque assolutamente irrilevanti per la vita che conta».