Via l’ideologia dai temi etici

Gian Guido Vecchi
Corriere della Sera 11 maggio 2014

«Lo sguardo proprio del cristiano sulla vita morale fiorisce dall’esperienza gratuita della
misericordia» dice il cardinale Pietro Parolin. «Per questo i discorsi sulle questioni etiche che non
tengono conto di tale sorgente, o che addirittura dileggiano la misericordia facendone la caricatura e
etichettandola come “buonismo”, non colgono mai le dinamiche proprie innescate nel mondo dai
fatti annunciati nel Vangelo».

Sempre più, eminenza, si parla di temi come le unioni civili o la comunione negata ai divorziati
risposati, Francesco ha parlato di un tempo e di un’occasione, un kairós di misericordia , ma che
cosa vuol dire affrontare questi temi, oggi, con misericordia?

«Significa che si parte dalle persone concrete, che si tenta di dare riposta alle situazioni concrete»,
sorride il cardinale. «Altrimenti il rischio è di fare ideologia».

Francesco ha scelto come suo Segretario di Stato un fine diplomatico che è anche «un pastore con
l’odore delle pecore», Parolin arriva al Lingotto in clergyman e parla al pubblico di lettori delle
«parole del Papa»: un «disgelo comunicativo» scandito da termini come tenerezza e misericordia,
verità e giustizia. Nel Salone ha citato una frase di Bergoglio: «La predicazione morale cristiana
non è un’etica stoica, una mera filosofia pratica né un catalogo di peccati ed errori». Chiaro che ci
siano resistenze, nella Chiesa c’è chi paventa stravolgimenti della «dottrina». Ma la questione
riguarda piuttosto l’atteggiamento, lo stile: «Sì, è così. Prima c’è la fede, dopo la morale. La morale
cristiana si comprende solo dentro a una visione di fede. Perché altrimenti diventa solo un insieme
di precetti e comandi, mentre è una adesione a qualcosa che ci precede», spiega al «Corriere» il
cardinale.

Il Papa ripete che «il centro è Gesù, non la Chiesa», la quale deve per questo «uscire da se stessa».
Le parole e lo stile di Francesco riflettono questa necessità?

«L’affetto che cresce intorno al Papa, di tanti credenti e non credenti che si sentono toccati nel loro
cuore dalle sue parole e dai suoi gesti, è in qualche modo la prima verifica che è proprio così. La
Chiesa esce da se stessa non per sforzo o per progetto, ma per seguire Gesù. Questa è la dinamica
propria della natura della Chiesa, che non vive di luce propria, come dicevano già i Padri dei primi
secoli», osserva il Segretario di Stato.

«Quando non riflettono questa dinamica, anche le iniziative e gli organismi ecclesiali possono
trasformarsi in realtà autoreferenziali. Così si alimentano i pregiudizi di chi identifica la Chiesa con
tutti gli altri apparati di potere operanti nel mondo e applica alle azioni e alle espressioni della
Chiesa chiavi di lettura esclusivamente politiche».

La stessa riforma della Curia voluta da Francesco, del resto, «ha come scopo il servizio: la Curia
deve essere uno strumento efficace a favore di tutta la Chiesa e un modello nel senso del servizio.
Vivere l’autorità e il potere come servizio».

Padre Antonio Spadaro, al Lingotto, ricordava una frase di Bergoglio: «Non occorre parlare tanto,
ma parlare con la vita». Il cardinale annuisce: «Questo è l’essenziale, anche in diplomazia».
Il prossimo viaggio del Papa in Terrasanta «ha una dimensione pastorale e religiosa, ma speriamo
possa avere ricadute benefiche anche a livello politico, anzitutto nel senso di una ripresa decisa dei
negoziati tra israeliani e palestinesi e di un ritorno di attenzione sulla Siria: temo che il conflitto
finisca con l’essere dimenticato, bisogna riprendere le trattative sapendo che una soluzione militare
non porterà a nulla».

La «conversione cui ci richiama Francesco, credenti e non credenti», è al fondo «la centralità di
ogni uomo e ogni donna», ha ricordato al pubblico. Non è solo questione di stile. «Amore e povertà
senza giustizia non colmano la misura di grazia promessa dal Vangelo. A che servirebbe una Chiesa
magari più austera, ma che non impegnasse i suoi membri a lavorare giorno per giorno, nella
concretezza delle situazioni, per restituire ai poveri, e ancor più ai miseri e ai dannati della terra, la
loro dignità — anche economica — di cittadini del mondo che vivono del proprio lavoro?».

Parolin richiama il sermo humilis di Agostino, «anche oggi è il modulo espressivo più consono a
una Chiesa che vuole essere amica degli uomini e delle donne del suo tempo». Colloquialità,
vicinanza. Perché «la verità cristiana non è una conoscenza raggiunta con sforzo e riservata a
congreghe di iniziati che poi la sequestrano come loro possesso».

Alla fine, eminenza, qual è la caratteristica essenziale della predicazione di Francesco?

«Tanti gesti e tante parole del Papa suggeriscono a tutti, con insistenza, che lo sguardo di Gesù per ognuno di
noi è di misericordia e di tenerezza, non a caso tra le parole più usate dal Vescovo di Roma. Così
Francesco ci ripete ogni giorno che Gesù vuole il nostro bene, che può abbracciare oggi le nostre
attese, le nostre domande, può sollevarci dalle nostre cadute, guarire le nostre ferite, abbracciare e
compiere, al di là della nostra immaginazione, il desiderio di felicità che ci accomuna tutti»,
conclude il cardinale.

«Il Papa, soprattutto, descrive come accade anche oggi di poter incontrare Cristo, e quali sono gli
effetti di questo incontro, che possiamo sperimentare nelle nostre vite. La dinamica è la stessa degli
incontri descritti nel Vangelo. Francesco ci racconta con fatti e testimonianze concrete come anche
oggi Cristo “passa per la città operando il bene per tutti”. Anche chi non crede si sente interpellato
da queste promesse buone. Così cadono tante ostilità e fioriscono nuove, inattese prossimità».