Bergoglio e la balcanizzazione della chiesa Usa

Matteo Matzuzzi
Il Foglio 6 maggio 2014

L’orizzonte verso il quale la chiesa degli Stati Uniti si sta dirigendo, consapevolmente o meno, è
quello della balcanizzazione. Il vescovo redentorista Joseph Tobin, capo della diocesi di
Indianapolis e fino al 2010 segretario della congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le
società di vita apostolica – fu rimandato a casa per qualche divergenza di troppo con l’allora
prefetto dell’ex Sant’Uffizio, William J. Levada, sull’affaire delle suore ribelli recentemente
richiamate all’ordine dal cardinale Müller – dipinge un quadro della situazione ecclesiastica
americana da notte dei lunghi coltelli. E’ come se la chiesa avesse preso a prestito gli schieramenti
tipici della politica, ha detto nel suo intervento alla annuale assemblea teologica che ha avuto luogo
al Saint Vincent College, a Latrobe (Pennsylvania).

“Siamo alla balcanizzazione, i cattolici americani sono divisi tra ala destra e ala sinistra, tra progressisti e tradizionalisti, tra fazioni che si puntano il dito contro”. E questo, ha aggiunto, “arreca un grave danno alla vita religiosa, perché ci mette sulla difensiva. Ci sentiamo sempre in dovere di difenderci dagli altri schieramenti”. La conseguenza, ha spiegato l’arcivescovo di Indianapolis, è che l’episcopato americano si sta concentrando troppo sulle beghe interne, allontanandosi dalla comprensione dei problemi reali, dalle nuove priorità indicate da Francesco nel suo primo anno di pontificato. E proprio qui si tocca un nervo scoperto: il rapporto tra le gerarchie statunitensi e il nuovo vescovo di Roma.

Mons. Tobin ha ammesso che “diversi vescovi stanno avendo difficoltà a comprendere lo stile di leadership adottato da Bergoglio”. L’elezione del gesuita argentino, sottolinea ancora il presule, ha
rappresentato un qualcosa di “dirompente” per l’episcopato fino allo scorso novembre guidato da
Timothy Dolan, cardinale arcivescovo di New York e capofila del fronte dei cosiddetti “conservatori muscolari” ancora maggioranza in terra americana, in attesa della scelta – attesa entro la fine dell’anno – del successore del cardinale Francis George (gravemente malato) a Chicago: “Ho parlato con un paio di vescovi e mi hanno detto che ci sono alcuni loro confratelli e sacerdoti molto scoraggiati dal Papa, perché li sta sfidando”, ha detto ancora il prelato redentorista. La resistenza, dunque, c’è.

L’autorevole National Catholic Reporter (d’orientamento liberal) parla apertamente di “lotte”
interne, iniziate tutte dopo l’avvento di Francesco. “Il suo è un modo diverso di portare avanti la
missione evangelica della chiesa”, aggiunge mons. Tobin, e qualcuno ancora fatica a mettersi in
cammino sul percorso indicato dal Papa che chiede ai pastori di non ossessionare i fedeli con la
trasmissione di una “moltitudine disarticolata di dottrine” e di evitare di parlare sempre e solo dei
cosiddetti princìpi non negoziabili. C’è ben altro da trasmettere al popolo di Dio, a cominciare dalla
gioia del Vangelo, è solito dire Francesco.

Non tutti i vescovi – in grande maggioranza di formazione wojtylana e ratzingeriana – sono però pronti a riorientare la propria agenda sulle nuove priorità indicate da Bergoglio, ossia di organizzare più marce in periferia tra gli ultimi e meno in città verso i palazzi della politica. Si tratta del cosiddetto “problema americano” del Papa gesuita, la difficoltà a farsi comprendere in un paese che conosce poco, che è lontano dal “teatro operativo” dove ha scelto di dirigere la sua attenzione, il sud del mondo – nel primo concistoro per la creazione di nuovi cardinali, nessuna porpora è andata alla chiesa statunitense, benché i pretendenti non mancassero.

Sono poche, tuttavia, le voci di quell’episcopato a levarsi per esprimere perplessità sul nuovo corso.

Anche l’arcivescovo pellerossa di Filadelfia, il conservatore Charles Chaput, ha preferito abbassare i toni dopo una serie di commenti pubblici poco concilianti nei confronti del Pontefice argentino.
Dopo aver esordito dicendo che “nell’ala destra della chiesa in parecchi non avevano accolto con piacere l’elezione al Soglio petrino del cardinale Jorge Mario Bergoglio”, mons. Chaput si rammaricava per i silenzi di Francesco riguardo la necessità di tutelare la vita dal concepimento alla fine naturale e per la sua scarsa “combattività” nel difendere il matrimonio tradizionale. In un messaggio pubblicato sul sito della diocesi da lui guidata, sul finire della scorsa estate, osservava poi che “il diritto alla vita non è semplicemente una priorità. E’ la questione fondamentale su cui poggia l’intera architettura della battaglia in difesa della dignità umana”.