Quelle persone normali che fanno la differenza. Una lettura del Vangelo di Giovanni

Claudia Fanti
Adista Documenti n. 23 del 21/06/2014

Un elogio delle persone comuni, quelle che non copriranno mai incarichi di prestigio, che non vivranno mai momenti di gloria, che, tutt’al più, saranno conosciute solo per via indiretta, per la loro relazione con qualcuno di celebre. E che, tuttavia, fanno la differenza nella vita di quanti le circondano, anche solo offrendo amicizia, anche solo dicendo la parola giusta nel momento opportuno. Quelle che, per parafrasare Etty Hillesum, riescono a essere un balsamo per le ferite altrui. È a loro che rivolge un pensiero commosso il teologo e vescovo episcopaliano John Shelby Spong, il quale, tra i personaggi del Vangelo di Giovanni a cui ha dedicato la sua attenzione nel suo ultimo libro – Il quarto Vangelo. Racconti di un mistico ebreo (Massari editore, Bolsena, 2013, pp. 382, euro 20; v. Adista n. 35/13) -, individua in Andrea, noto soprattutto per essere il fratello del tanto più “importante” Pietro, proprio «il patrono della gente comune». Descritto da Giovanni come un intermediario senza meriti eccezionali, ma grazie a cui «le cose normali diventano grandi intorno a lui», Andrea rappresenta, per il teologo episcopaliano, «un possibile modello da seguire», tanto più che a nessuno «mancano i requisiti» per svolgere il ruolo da lui ricoperto: «Ricordatevi – scrive Spong – di un momento importante nel vostro cammino e soffermatevi su chi era con voi in quell’istante, chi vi ha detto la parola giusta che vi ha fatto scegliere una strada anziché un’altra, determinando il corso della vostra vita. Questa figura cruciale non è stata per caso una persona comune?». Di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, l’intervento di Spong, pubblicato dal portale dei cristiani progressisti spagnoli Atrio, il 2 giugno scorso.

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L’importanza delle persone comuni

John Shelby Spong

In questi ultimi anni, lavorando al mio libro Il quarto Vangelo. Racconti di un mistico ebreo, sono rimasto incantato dal modo in cui l’autore presenta i personaggi dei suoi racconti. Vi sono più figure memorabili nel quarto Vangelo che in qualsiasi altro libro del Nuovo Testamento. Negli altri vangeli, Tommaso non è altro che un nome tra tanti nella lista dei discepoli; nel Vangelo di Giovanni, invece, diventa uno scettico che dà persino origine all’espressione “Sei incredulo come Tommaso”. Allo stesso modo, il Vangelo di Giovanni introduce molti altri personaggi di cui sembra che nessun altro autore evangelico abbia sentito parlare: Natanaele, Nicodemo, il “discepolo amato”, la samaritana presso il pozzo, il cieco dalla nascita, lo storpio della piscina di Betzaeta e Lazzaro. Sono figure così ben delineate che non solo hanno reso indimenticabili gli eventi che le riguardano, ma hanno fatto anche pensare che si tratti di figure simboliche più che di personaggi storici, in quanto sembrano rappresentare, nel Vangelo di Giovanni, differenti tipi di risposte a Gesù. Quando si legge a fondo il quarto Vangelo, si nota come ogni personaggio rimandi a un tipo diverso di personalità e come vi siano abbastanza tipi da permettere a ognuno di identificarsi con qualcuno di essi. Voglio ora soffermarmi su uno di questi personaggi, presentandolo come un possibile modello da seguire, almeno per alcuni. Il suo nome è Andrea e io lo chiamo “il patrono della gente comune”.

Fino all’apparizione del quarto Vangelo, il Nuovo Testamento diceva di Andrea solo che era fratello di Simon Pietro, il quale appariva sempre come il leader. Di modo che il ruolo di Andrea si definiva soltanto indirettamente: lo si conosceva, soprattutto, per essere il fratello di un personaggio più famoso. Come avviene spesso alle donne, conosciute, nel nostro mondo ancora patriarcale, soprattutto come spose dei loro mariti, e a volte ai figli, noti solo in rapporto ai loro genitori famosi. È questo che è avvenuto ad Andrea ed è questo che avviene alle persone comuni, che si conoscono solo se sono in relazione con una persona nota.

Tuttavia, per quanto si viva in una cultura di eroi, credo che, se il mondo va avanti, è perché si sostiene sulla gente normale. Leggendo la storia della Seconda Guerra Mondiale, si potrebbe pensare che gli Stati Uniti abbiano combattuto e vinto con tre soli soldati: Eisenhower, MacArthur e Patton. Tuttavia, tutti sanno che a combattere le guerre non sono i generali ma i soldati, i quali lottano, si dissanguano e muoiono restando anonimi. Prima del Vangelo di Giovanni, Andrea era una persona comune identificata solo per la sua relazione con un altro. Il quarto Vangelo aggiunge invece tre racconti brevi ma significativi alla sua scarna biografia, che acquista così un peso specifico.

Nel primo capitolo, ci viene detto che è stato Andrea, una persona normale, a portare suo fratello da Gesù. È stato lui, quindi, a far sì che esistesse Pietro, l’uomo che doveva diventare il primo leader della comunità cristiana e pertanto la sua figura più nota.

Nel sesto capitolo, è Andrea a condurre Gesù dal ragazzo con cinque pani e due pesci. Considerando le dimensioni della moltitudine (migliaia di persone a cui dare alimento), quello che si offriva era appena una goccia in un oceano. Andrea, tuttavia, comprende che il dono di una persona non è mai così piccolo o insignificante da non poter essere di aiuto e considera necessario, pertanto, valorizzare l’offerta così come si presentava. E, in base al racconto, Gesù prende questo dono, lo moltiplica e lo utilizza per alimentare la moltitudine.

Nel dodicesimo capitolo, leggiamo che un gruppo di greci era venuto in cerca di Gesù. Secondo la norma ebraica, erano “gentili”, gente impura, non circoncisa, che non osservava né la dieta kosher né la Torah, cioè la Legge. Ciononostante, Andrea diventa la loro guida verso Gesù, non essendoci per lui alcun compito che non meriti di essere realizzato. Cosicché, attraverso gli oscuri vicoli di Gerusalemme, Andrea li conduce nel luogo in cui si trovava Gesù. È lo stesso momento in cui Giovanni lo presenta nell’atto di annunciare: «È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo», per poi proseguire: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me e allora il mondo saprà chi sono», cioè saprà cosa significa “Dio”.

Una volta ancora, Andrea è l’intermediario che agisce sempre come una persona normale, ma grazie a cui le cose normali diventano grandi intorno a lui. A nessuno mancano i requisiti per svolgere questo ruolo. Ricordatevi di un momento importante nel vostro cammino e soffermatevi su chi era con voi in quell’istante, chi vi ha detto la parola giusta che vi ha fatto scegliere una strada anziché un’altra, determinando il corso della vostra vita. Questa figura cruciale non era per caso una persona comune?

UN RICORDO PERSONALE

Pur correndo il rischio di risultare un po’ esibizionista, permettetemi di raccontare un episodio personale che a mio giudizio chiarisce bene il ruolo delle persone normali. Mio padre morì quando avevo dodici anni e, poiché mia madre non aveva finito la scuola, fu difficile per lei prendere il posto di mio padre alla guida della famiglia. Per questo non tardammo a cadere in una situazione di grande precarietà. Per circa due anni, fui un adolescente smarrito e insicuro. Allora, senza alcuna iniziativa da parte mia, qualcuno apparve nella mia vita. La mia chiesa a Charlotte, in North Carolina, scelse un nuovo rettore. Era il 1946, la Seconda Guerra Mondiale era finita e il nuovo rettore era appena uscito dalla Marina, doveva aveva servito come cappellano su una portaerei nel Sud del Pacifico. Non so come venne scelto, ma so che tale scelta cambiò il corso della mia vita.

Quest’uomo era diverso da qualunque altro ministro o sacerdote che avessi conosciuto. Aveva solo 32 anni. Un fatto che, di per sé, già rompeva con la mia idea di come dovesse essere un uomo di Chiesa, dal momento che tutti coloro che avevo conosciuto erano molto più anziani. (…). In secondo luogo, indossava scarpe di pelle bianche. Non avevo mai conosciuto un sacerdote che non le portasse nere e con i lacci. In terzo luogo, guidava una Ford decappottabile e io credevo che i sacerdoti guidassero solo carri funebri. E, per ultimo, aveva una moglie incredibilmente bella e io pensavo che le spose dei ministri fossero sempre severe, vestissero rigorosamente di marrone scuro o di blu marino e raccogliessero i capelli in una crocchia. Quella donna invece era elegante e indossava gioielli e fumava persino sigarette con un lungo bocchino dorato. (…). Mi sentii così profondamente attratto da quella coppia da offrirmi per fare qualunque cosa che mi permettesse di frequentarla. Per questo ero l’unico chierichetto disposto a servire messa alle 8 di mattina. Per quanto non fossi molto competente, di certo ero devoto.

Il nuovo rettore apparteneva all’ala più cattolica della Chiesa episcopaliana, e credeva che non si potesse fare la comunione senza aver digiunato dalla mezzanotte precedente. Lo preoccupava che un po’ di pane tostato non digerito potesse corrompere il corpo di Cristo ricevuto nell’eucarestia. Cosicché dovevo presentarmi a digiuno. Tuttavia, all’epoca, ogni mattina, dovevo distribuire il Charlotte Observer in circa 150 case. Ciò significava che dovevo alzarmi alle 4.30, andare a prendere i giornali e poi, con il cestino della bicicletta pieno, consegnarli agli abbonati. Arrivavo a casa alle 6.45, giusto in tempo per farmi una doccia, vestirmi e prendere l’autobus fino alla chiesa in centro, dove servivo come chierichetto alle 8. Assolutamente affamato, ma disposto a osservare il digiuno. Nella liturgia del Libro delle Preghiere Comuni del 1928, che si utilizzava allora nella mia chiesa, c’era una preghiera “per tutta la Chiesa di Cristo”. Occupava due pagine, e mi ricordava la misericordia di Dio: entrambe sembravano infinite. Inevitabilmente, prima che la preghiera finisse, cominciavo a sentirmi male, a provare nausea e un senso di soffocamento. (…).

Malgrado tale debolezza (del mio corpo e del mio servizio di chierichetto), il rettore continuò a contare su di me. Quando la messa terminava, io e quest’uomo andavamo in un ristorante vicino per chiacchierare e fare colazione. Non ricordo di cosa parlassimo, ma so che, in tutta la mia vita di adolescente, queste furono le uniche occasioni in cui un adulto parlò con me. Molti mi dicevano cose o parlavano vicino a me, ma solo lui parlava con me, ascoltando addirittura le mie idee acerbe e ponendomi domande perché chiarissi il mio pensiero. Era qualcosa di semplice, qualcosa di molto normale, ma fu qualcosa di enormemente importante e vivificante per quel ragazzo di quindici anni, solitario e smarrito. Io adoravo quell’uomo e volevo assomigliargli il più possibile. Divenne il modello della mia vita e fu così che incontrai la mia vocazione sacerdotale: nella mia relazione con lui.

Quest’uomo fu una grande persona? Un grande sacerdote? Per me sì, ma non così lo giudicò il mondo, che lo ritenne un uomo normale con debolezze normali. Quando partii da Charlotte per iniziare la mia formazione universitaria, egli lasciò la nostra chiesa e divenne rettore di una chiesa in Louisiana, dove cadde nell’alcolismo. Peggiorò così tanto che alla fine gli tolsero il sacerdozio. Morì pensando di essere, professionalmente, un fallito. Ma fu una persona vitale e cambiò la mia vita. La verità è che fu solo un uomo normale che, semplicemente, dedicò un po’ di tempo a parlare con un adolescente smarrito. Una cosa che avrebbe potuto fare chiunque, ma che fece soltanto lui. Fu per me un “Andrea”. La maggioranza di noi non è fatta di generali che vincono battaglie né di dirigenti con importanti cariche politiche. È possibile che non si diventi capi né di una piccola attività né di una grande impresa, ma che si faccia la differenza, una profonda differenza, nella vita di quelli che ci circondano e per di più nel modo più normale, solo mostrandosi sensibili, solo offrendo la nostra amicizia, solo dicendo una parola giusta nel momento opportuno. Tutti possiamo essere come Andrea, il santo patrono della gente comune.