Prima volta papale: a sorpresa, Bergoglio scomunica i mafiosi

Luca Kocci
il manifesto, 22 giugno 2014

Papa Francesco scomunica pubblicamente ‘ndranghetisti e mafiosi. Le parole sono state pronunciate ieri pomeriggio da Bergoglio – in visita pastorale in Calabria, a Cassano allo Jonio, la piccola diocesi guidata dal neosegretario della Cei, mons. Galantino – durante la messa all’aperto celebrata nella piana di Sibari. «La ‘ndrangheta è adorazione del male e disprezzo del bene comune», è un male che «va combattuto e allontanato», ha detto il pontefice, secondo il quale anche la Chiesa «deve sempre di più spendersi perché il bene possa prevalere». Quindi la scomunica: «Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati».

È la prima volta che un papa pronuncia la parola «scomunica» rivolgendosi ai mafiosi. Non lo avevano fatto né Wojtyla nella Valle dei templi di Agrigento né Ratzinger. Si è trattato di un “fuori programma”, poiché nei testi ufficiali «sotto embargo» distribuiti poco prima della celebrazione quel passaggio non c’era. È stato aggiunto successivamente dallo stesso Bergoglio.

Le parole non bastano e non risolvono la lunga storia di silenzi, omissioni e relazioni ambigue fra Chiesa e mafie. Per restare in Calabria, per esempio, nell’ottobre del 2009, Caterina Condello e Daniele Ionetti, figli di due ritenuti fra i più importanti esponenti dei clan reggini, hanno celebrato il loro matrimonio nella cattedrale di Reggio Calabria con tanto di benedizione papale su pergamena firmata da papa Ratzinger. Oppure i legami stretti, e di antica data, della ‘ndrangheta con il santuario della Madonna di Polsi a San Luca in Aspromonte, spesso luogo di riunione dei capi-mafia. E nello scorso aprile la storica processione dell’Affruntata di Sant’Onofrio è stata annullata dal vescovo dopo che il Comitato per l’ordine e la sicurezza aveva deciso che le statue sarebbero state portate da volontari della Protezione civile per evitare infiltrazioni mafiose (ma va ricordato anche l’impegno antimafia di alcuni vescovi e soprattutto di molti parroci spesso oggetto di minacce e intimidazioni).

Tuttavia le parole hanno un valore simbolico importante, soprattutto in un contesto sociale e culturale in cui i padrini guidano le processioni e ricevono talvolta benedizioni ecclesiastiche. E quindi, messe in fila, la beatificazione di don Puglisi “martire di mafia” lo scorso anno, la partecipazione di Bergoglio alla veglia per le vittime delle mafie promossa a marzo da Libera di don Ciotti e ora la «scomunica» degli ‘ndranghetisti offrono strumenti per marcare le distanze. Anche se silenzi, omissioni e collusioni non cesseranno per miracolo.

Durante la visita, Bergoglio ha incontrato i detenuti del carcere di Castrovillari, fra cui il padre di Cocò Campolongo, il bambino di tre anni ucciso in un regolamento di conti tra clan a Cassano allo Jonio insieme al nonno ed alla sua compagna. Ed è tornato a parlare dei problemi dei penitenziari: il «rispetto dei diritti fondamentali» dei detenuti e la necessità di «un impegno concreto delle istituzioni per un effettivo reinserimento nella società». «Quando questa finalità viene trascurata – ha detto il papa –, la pena degrada a uno strumento di sola punizione e ritorsione sociale, dannoso per l’individuo e per la società».