Strasburgo conferma: i docenti di religione sono agli ordini dei vescovi

Raffaele Carcano, segretario Uaar
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Sono pagati dallo Stato. Ci si attenderebbe pertanto che lo Stato abbia voce in merito all’assunzione e al licenziamento dei docenti di religione cattolica, ma non è così: le decisioni spettano esclusivamente ai vescovi, e lo Stato non ci deve mettere becco. Accade in Spagna e, in seguito a un’autorevole sentenza della Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, vale anche per l’Italia, dove vige una disciplina analoga. La sentenza ha sancito che l’autonomia della Chiesa è prioritaria rispetto non solo allo Stato “pagatore”, ma anche alle opinioni dell’individuo, confermando così che l’ora di religione è uno spazio confessionale in cui l’insegnamento deve essere tassativamente conforme alla dottrina cattolica. Il provvedimento, va detto, è passato di stretta misura: è stato decisivo il voto del giudice italiano Guido Raimondi, che già votò a favore della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche in occasione del ricorso presentato dalla socia Uaar Soile Lautsi.

I fatti. Nel 1991 Antonio Fernández Martínez era in pratica già un ex sacerdote: si era sposato civilmente e aveva avuto dei figli. Fu tuttavia chiamato a ricoprire l’incarico di docente di religione. Nel 1997 apparve su un giornale spagnolo un articolo, corredato da una sua foto, di sostegno al Meceop (Movimento per il celibato opzionale), in cui si criticavano le posizioni della Chiesa cattolica su famiglia e sessualità. La Chiesa reagì accordandogli la dispensa dal celibato (chiesta ormai trent’anni prima) motivandola, Codice di diritto canonico alla mano, con lo “scandalo” provocato. Soprattutto, chiese e ottenne dal ministero dell’educazione la sua rimozione dall’insegnamento. Fernández Martínez presentò ricorso. Sconfitto nelle aule spagnole si rivolse a Strasburgo, che nel 2012 respinse il suo ricorso con sei voti contro uno. Ora la conferma, definitiva. La sentenza sostiene che non è irragionevole che la Chiesa si attenda una particolare fedeltà dagli insegnanti di religione, dato che costoro possono essere considerati come suoi rappresentanti. Perché ogni divergenza di opinioni tra la dottrina e chi la insegna può causarle “un problema di credibilità”. Pertanto, sostiene la Corte, la libertà della Chiesa di poter scegliere rappresentanti di propria fiducia deve essere preservata, ed è del resto riconosciuta dall’accordo tra lo Stato spagnolo e la Santa Sede stipulato nel 1979.

Gli otto giudici contrari hanno diffuso un parere di minoranza, che evidenzia come uno Stato non può venir meno agli impegni sottoscritti con la Convenzione europea sui diritti dell’uomo a causa di obbligazioni contratte con realtà non statali. Tale è infatti la condizione del ministero spagnolo: può scegliere gli insegnanti di religione soltanto tra quelli selezionati dall’autorità ecclesiastica. L’autonomia delle comunità religiose non deve poi essere considerata assoluta, e tale da interferire nella vita privata e familiare delle persone: a maggior ragione se si tratta di insegnanti alle dipendenze del ministero e con un contratto con esso. Il ministero non ha nemmeno valutato la possibilità che Fernández Martínez, oggi settantasettenne, potesse continuare a lavorare per il sistema educativo statale.

Va detto che in Italia avrebbe potuto farlo: la legge 186/2003, infatti, stabilì non solo le modalità per l’entrata in ruolo degli insegnanti di religione, ma anche il loro passaggio ad altro incarico se non riscuotono più il gradimento del vescovo. Una doppia arma in mano alla Cei: le consente di evitare ricorsi legali e, nel contempo, di immettere propri quadri nella scuola italiana. Una contraddizione evidente, ma non certo l’unica, se si pensa che persino la sentenza della Corte Costituzionale che nel 1989 riconobbe la laicità quale supremo principio costituzionale, stabilendo che non vi è alcun obbligo di frequentare né l’ora di religione, né l’ora alternativa, ha sancito la compatibilità con uno stato laico dell’insegnamento – pagato con fondi pubblici – di una (sola) confessione religiosa.

La Corte di Strasburgo, come già per il crocifisso, ha dunque scelto di riconoscere agli stati membri il margine di apprezzamento: sono in pratica liberi di violare la Convenzione sui diritti dell’uomo in nome della propria autonomia organizzativa. Come per il crocifisso, le ragioni addotte non sono certo spirituali: uno stato che decidesse di insegnare il satanismo godrebbe delle medesime prerogative. Ma è una ben magra soddisfazione: l’imposizione per via politica della propria dottrina si conferma la strada maestra scelta dalla Chiesa cattolica. Anche l’unica efficace, parrebbe.

Alla luce di tale sentenza, tuttavia, sarebbe opportuno cominciare ad astenersi dal magnificare l’ecumenismo e l’apertura dell’ora di religione. Cosa che fanno anche e soprattutto i vescovi, quando si tratta di raccogliere iscrizioni: quando si tratta di istruire i docenti, però, essi non possono e non devono valicare le colonne d’Ercole della dottrina e dell’obbedienza alle autorità (e soltanto a quelle ecclesiastiche, ovviamente). Nessuno mette in dubbio la libertà delle confessioni religiose di silenziare il dissenso, quando viene garantita un’effettiva possibilità di non farne più parte, ma non quando questa libertà viene esercitata nelle scuole dello Stato e a spese dello Stato.

È un atteggiamento diametralmente contrario a quello che dovrebbe essere l’insegnamento. Se è giusto che agli studenti siano fornite adeguate nozioni sulle religioni (ma anche sull’ateismo), se è già alquanto dubbio che per farlo occorra un corso appositamente allestito, se non è per nulla laico e democratico che tale corso sia riservato al solo insegnamento della variante cattolica del cristianesimo, lo è se possibile ancora di meno che i docenti siano scelti da coloro che sono oggetto di studio. Cosa direbbero, i cattolici, se la scelta di coloro che devono insegnare il nazismo fosse riservata a qualche esponente di Alba Dorata? L’insegnamento deve essere laico e scientifico, l’ora di religione cattolica non lo è. Ammetterlo sarebbe quantomeno onesto, da parte di chi spesso rivendica il possesso della Verità.