Amorevoli esclusioni. Dall’Instrumentum Laboris, una porta in faccia a chi chiedeva aperture

Ingrid Colanicchia
Adista Notizie n. 25 del 05/07/2014

Se al Sinodo sulla famiglia del prossimo ottobre – e ancor di più a quello del 2015, incaricato di individuare adeguate linee operative pastorali – emergerà un nuovo indirizzo in materia di morale familiare e sessuale sarà davvero una sorpresa. Non solo perché si tratterebbe di sovvertire un Magistero dato praticamente per immutabile, ma anche perché niente dell’Instrumentum laboris diffuso il 26 giugno scorso lascia presagire alcunché in tal senso. Le pur rilevanti aperture emerse in questi mesi su alcune questioni – una su tutte quella del card. Walter Kasper sulla riammissione ai sacramenti dei divorziati risposati – pare non abbiano minimamente scalfito i sacri palazzi. Certo, il documento di lavoro, sintetizzando le risposte al Questionario su matrimonio e famiglia pervenute da Chiese locali, associazioni, gruppi ecclesiali e singoli, dà conto di quanto si agita nel mare magnum dei fedeli, ma nel farlo sembra respingere ogni richiesta di rinnovamento.

In linea di massima l’Instrumentum riconosce che «anche quando l’insegnamento della Chiesa intorno a matrimonio e famiglia è conosciuto, tanti cristiani manifestano difficoltà ad accettarlo integralmente». Le questioni sulle quali si nota una «resistenza» sono facilmente prevedibili ed erano già emerse dalle risposte al Questionario diffuse nei mesi scorsi: controllo delle nascite, divorzio e nuove nozze, omosessualità, convivenza e così via. Ma andiamo con ordine.

Niente di nuovo sotto il sole

Sulla questione della riammissione ai sacramenti di quanti vivono situazioni di irregolarità – in primo luogo i divorziati risposati – il documento riporta che, a fronte di un numero consistente di persone che «considerano con noncuranza la propria situazione irregolare», «la sofferenza causata dal non ricevere i sacramenti è presente con chiarezza nei battezzati che sono consapevoli della propria situazione». «C’è chi si domanda perché gli altri peccati si perdonano e questo no; oppure perché i religiosi e sacerdoti che hanno ricevuto la dispensa dai loro voti e dagli oneri sacerdotali possono celebrare il matrimonio, ricevere la comunione e i divorziati risposati no». In altri casi, prosegue il documento, «non si percepisce come sia la propria situazione irregolare il motivo per non poter ricevere i sacramenti; piuttosto, si ritiene che la colpa sia della Chiesa che non ammette tali circostanze. In ciò, si segnala anche il rischio di una mentalità rivendicativa nei confronti dei sacramenti. Inoltre, assai preoccupante risulta essere l’incomprensione della disciplina della Chiesa quando nega l’accesso ai sacramenti in questi casi, come se si trattasse di una punizione». Alcune Conferenze episcopali «mettono l’accento sulla necessità che la Chiesa si doti di strumenti pastorali mediante i quali aprire la possibilità di esercitare una più ampia misericordia, clemenza e indulgenza nei confronti delle nuove unioni». Altri suggeriscono di «considerare la prassi di alcune Chiese ortodosse, che, secondo la loro opinione, apre la strada a un secondo o terzo matrimonio con carattere penitenziale»; altri «domandano di chiarire se la questione è di carattere dottrinale o solo disciplinare». L’Instrumentum si accontenta di concludere che, in questi casi, «la Chiesa non deve assumere l’atteggiamento di giudice che condanna» ma «quello di una madre che sempre accoglie i suoi figli e cura le loro ferite in vista della guarigione». «La Chiesa è chiamata a trovare forme di “compagnia” con cui sostenere questi suoi figli in un percorso di riconciliazione. Con comprensione e pazienza, è importante spiegare che il non poter accedere ai sacramenti non significa essere esclusi dalla vita cristiana e dal rapporto con Dio».

No alle unioni omosessuali e alle adozioni gay

Il richiamo alla famiglia fondata sull’unione tra un uomo e una donna è ben rimarcato, a più riprese e sin dalla premessa. Il documento riporta che «tutte le Conferenze episcopali si sono espresse contro una “ridefinizione” del matrimonio tra uomo e donna attraverso l’introduzione di una legislazione che permette l’unione tra due persone dello stesso sesso». Vi sono ampie testimonianze dalle Conferenze episcopali, prosegue l’Instrumentum, «sulla ricerca di un equilibrio tra l’insegnamento della Chiesa sulla famiglia e un atteggiamento rispettoso e non giudicante nei confronti delle persone che vivono in queste unioni. Nell’insieme, si ha l’impressione che le reazioni estreme nei confronti di queste unioni, sia di accondiscendenza che di intransigenza, non abbiano facilitato lo sviluppo di una pastorale efficace, fedele al Magistero e misericordiosa nei confronti delle persone interessate». Riguardo alla possibilità di una pastorale verso queste persone, il documento afferma che «bisogna distinguere tra quelle che hanno fatto una scelta personale, spesso sofferta, e la vivono con delicatezza per non dare scandalo ad altri, e un comportamento di promozione e pubblicità attiva, spesso aggressiva». Analoga posizione quanto alle adozioni da parte di coppie omosessuali, ipotesi rifiutata dalle risposte pervenute che «vedono a rischio il bene integrale del bambino, che ha diritto ad avere una madre e un padre».

Divario netto sulla contraccezione

Altro tema scottante, su cui la distanza tra fedeli e Magistero si fa evidente, è la contraccezione. «Le risposte relative alla conoscenza della dottrina della Chiesa sull’apertura alla vita degli sposi, con particolare riferimento all’Humanae Vitae, descrivono realisticamente il fatto che essa, nella stragrande maggioranza dei casi, non è conosciuta nella sua dimensione positiva». «Nella stragrande maggioranza delle risposte pervenute – prosegue l’Instrumentum – si evidenzia come la valutazione morale dei differenti metodi di regolazione delle nascite venga oggi percepita dalla mentalità comune come un’ingerenza nella vita intima della coppia e una limitazione all’autonomia della coscienza». Ma se è vero che molti rifiutano alcuni aspetti del Magistero è altrettanto vero che molti documenti conciliari e post-conciliari non sono proprio conosciuti. E qualche osservazione pervenuta ne imputa la responsabilità ai pastori che non conoscono «in profondità l’argomento matrimonio-famiglia dei documenti, né sembrano avere gli strumenti per sviluppare questa tematica». Spesso – riporta il documento – si preferisce non affrontare questi temi perché i pastori si sentono «inadeguati ed impreparati a trattare problematiche che riguardano la sessualità, la fecondità e la procreazione».

Qualche passetto avanti…

Una nota positiva va rintracciata nel fatto che, se è vero che l’Instrumentum rimarca a più riprese i pericoli che deriverebbero dai gender studies – per i quali utilizza il termine “ideologia di genere” – è anche vero che emergono in più di un passaggio alcune questioni che il Questionario aveva invece sottaciuto: la violenza domestica, le conseguenze derivanti da una cultura maschilista e i femminicidi, dramma quest’ultimo che il documento definisce «davvero inquietante» e che «interroga tutta la società e la pastorale familiare della Chiesa». Altrettanto rilevante il riconoscimento del fatto che spesso l’attaccamento ai sacramenti è più una questione di tradizione che frutto di un percorso di maturazione nella fede. Che siano o meno regolarmente sposati moltissimi genitori «chiedono per i figli l’iniziazione ai sacramenti per non venire meno ad un’abitudine, a un costume tipico della società». «Il sacramento – evidenzia l’Instrumentum – rappresenta ancora per molti una festa tradizionale, che essi chiedono più per conformazione ad una consuetudine familiare e sociale, che per convinzione». Stesso quadro che emerge rispetto al sacramento del matrimonio considerato che «le motivazioni che inducono i cattolici non praticanti a riprendere i contatti con le proprie parrocchie, in vista della celebrazione del matrimonio, a giudizio di tutte le risposte che affrontano questo punto, nella maggioranza dei casi, risiedono nel fascino legato all’“estetica” della celebrazione e, parimenti, in un condizionamento proveniente dalla tradizione religiosa delle famiglie di appartenenza dei nubendi».

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L’Instrumentum Laboris è un inno all’omofobia: nessuna apertura da parte della Chiesa

Redazione Gayburg
http://gayburg.blogspot.com

L’Instrumentum Laboris è un documento di 75 pagine rilasciato dal Vaticano in vista del sinodo dei vescovi che di terrà ad ottobre. Il tema trattato sarà quello della famiglia e, per la prima volta nella storia, il documento non si è basato solo sulla sola volontà dei vescovi ma racchiude anche l’opinione espressa da vari laici coinvolti su base parrocchiale.

Le tematiche legate ai gay rientrano in un capitolo dal titolo “Le situazioni pastorali difficili” e l’apertura dimostrata è minima se non assente. Si ribadisce una ferma condanna a qualsiasi atto omosessuale, sostenendo anche che l’opinione pubblica non verrà mai presa in considerazione come motivo per cambiare quell’assunto. La formulazione scelta appare come un lupo travestito da pecora: si afferma che «gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione» e si afferma che «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia».

In altre parole, la discriminazione vene legittimata prima di condannare quella che non lo è, il tutto negando che l’omosessualità sia «un orientamento» (si preferisce continuare a definirlo «una tendenza») ed impegnandosi a impedirne pari riconoscimento giuridico e sociali alle famiglie (nel punto 113 del documento si parla addirittura di una vera e propria opposizione al riconoscimento civile da parte degli stati laici).

Nel suo proseguo il documento peggiora ulteriormente la situazione, asserendo che «bisogna distinguere tra le persone che hanno fatto una scelta personale, spesso sofferta, e la vivono con delicatezza per non dare scandalo ad altri, e un comportamento di promozione e pubblicità attiva, spesso aggressiva». L’invito è dunque a peggiorare la propria condizione di vita rimanendo nascosti al mondo, il tutto al solo fine di non disturbare i bigotti. Per non parlare di come si giunga addirittura a legittimare pensieri malati come l’idea di una «scelta» o di una possibile «promozione dell’omosessualità». Anzi, il punto 117 nega la natura stessa, accogliendo il pensiero omofobo nella ridefinizione dell’identità di genere come di «ideologia del gender».

Nell’intero documento, infatti, i termini non appaiono certo casuali e si nota una particolare attenzione alla negazione della naturalità (se non proprio all’esistenza) dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, finendo così per piantare il seme del prossimo decennio di discriminazioni.

Viene ribadito un secco «no» alle adozioni («perché i bambini hanno diritto a un padre e a una madre») e si propone una lotta alle strategia anti-discriminazione adottate dalle scuole pubbliche «particolarmente nei Paesi in cui lo Stato tende a proporre una visione unilaterale e ideologica della identità di genere».

Qualcuno ha parlato del documento come di una inaspettata apertura ai gay, sottolineando un tono meno giudicante che in passati documenti vaticani. Eppure il ricorso a dei giri di parole non ne cambia certo la sostanza e l’apertura che viene tanto decantata pare racchiusa in un unico punto che dovrebbe essere ovvio (ma che evidentemente non lo era).

Si chiede alle chiese locali di non discriminare i figli delle coppie gay e di accoglierli «con la stessa cura, tenerezza e sollecitudine che ricevono gli altri bambini» e di garantire loro la possibilità di essere battezzati (diritto che in alcuni casi è stato negato). In cambio si chiede che i genitori gay rinuncino ad educare i figli alla propria fede: «La preparazione all’eventuale battesimo del bambino sarà particolarmente curata dal parroco -afferma il documento- anche con un’attenzione specifica nella scelta del padrino e della madrina».