Tanti cattolici, poca fede. Indagine Uaar-doxa su religiosità e ateismo degli italiani

Luca Kocci
Adista Notizie n. 25/2014

Cattolici per tradizione più che per convinzione. È questa l’immagine che sembra emergere analizzando i risultati di un’indagine demoscopica sui temi della religiosità e dell’ateismo che l’Uaar (Unione degli atei e degli agnostici razionalisti) ha commissionato all’istituto Doxa: 75 cittadini su 100 si definiscono cattolici, ma fra loro solo 22 si ritengono «decisamente praticanti» e addirittura 36 pensano che «si possa vivere bene anche senza Dio»; e, sul fronte opposto, appena l’11% dei non cattolici coerentemente non ha fatto o non farà «sicuramente» battezzare i propri figli, mentre ben il 61% lo ha già fatto oppure ha intenzione di farlo.

Sono i tratti inconfondibili di una secolarizzazione anomala, come appunto è quella italiana. Lo conferma ad Adista il sociologo Marco Marzano, docente all’Università di Bergamo e attento studioso del fenomeno religioso contemporaneo, a cui ha dedicato diverse ricerche e saggi (fra quelle più recenti: Missione impossibile. La riconquista cattolica della sfera pubblica, Il Mulino, 2013, v. Adista Segni Nuovi n. 44/13; e Quel che resta dei cattolici, Feltrinelli, 2012, v. Adista Notizie n. 27/12). «C’è un’accettazione superficiale del cattolicesimo che viene quasi dato per scontato», spiega Marzano, secondo il quale questa dinamica è causata anche dall’assenza di un vero pluralismo religioso in Italia, dove vige una sorta di «sistema monopolistico. Mentre se fossero presenti delle alternative, gli italiani prenderebbero più sul serio la scelta di diventare o anche solo dichiararsi cattolici».

Non si tratta, quindi, di una sorta di “schizofrenia” degli italiani divisi fra “cattolici non praticanti” ed “atei devoti”, ma di una religiosità più formale che sostanziale, frutto di una tradizione plurisecolare ed effetto di un cattolicesimo vissuto più come elemento sociale e culturale che come profonda esperienza di fede. E un’ulteriore questione, aggiunge Marzano, è che «la Conferenza episcopale italiana e i vescovi spesso non si rendono conto di questa situazione, leggono superficialmente le statistiche in base alle quali la stragrande maggioranza della popolazione è cattolica e non si accorgono che si tratta di un’appartenenza debole, frutto di tradizione più che di convinzione». I dati generali, infatti, apparentemente parlano chiaro: il 75% degli italiani si definisce cattolico, il 10% credente senza riferimenti religiosi, il 5% credente in altra religione e il rimanente 10% ateo o agnostico. Ma se poi si va più a fondo e non ci si ferma alla superficie dei numeri “bulgari”sull’adesione al cattolicesimo – come documentano anche altre ricerche, a cominciare dal recentissimo Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia, curato da Alberto Melloni per Il Mulino (v. Adista Notizie n. 18/14) – emerge appunto il dato di una religiosità che solo in parte diventa esperienza e cammino di fede. Mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, in occasione della presentazione del Rapporto sull’analfabetismo religioso, non a caso ha parlato di «fede light» che spesso viene preferita a quella «fede adulta» più problematica, meno rassicurante, ma sicuramente più incisiva.

Una sezione della ricerca Uaar-Doxa (per la cui realizzazione sono state intervistate 2.016 persone rappresentative per territorio, età, genere e classe sociale della popolazione italiana over 15) è dedicata all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole (Irc). I risultati appaiono significativi. Una domanda in particolare chiedeva quanto fosse condivisa l’attuale modalità di insegnamento della religione cattolica nelle scuole, ovvero con i docenti scelti dal vescovo diocesano ma retribuiti dalla Stato: la maggioranza della popolazione, il 54%, è in disaccordo con tale sistema (26% «per nulla d’accordo», 28% «poco d’accordo»). Il 38% approva, ma solo un risicato 10% è «molto d’accordo», mentre il 28% si limita ad essere «abbastanza d’accordo» (l’8% «non sa»). L’opposizione all’ora di religione è ovviamente molto più alta fra atei ed agnostici (circa l’80%), ma vince anche tra gli stessi cattolici: 48% contrari, contro 44% favorevoli (l’8% «non sa»). Un dato in parte sorprendente anche perché appare in forte contraddizione con la percentuale di studenti che nelle scuole sceglie di frequentare l’ora di religione: in media l’89,3%, con punte del 93% alla scuola primaria mentre alle superiori la partecipazione è dell’83% (ancora secondo i dati del Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia del Mulino). Ma, anche in questo caso, si tratta di un conflitto solo apparente, perché la scelta di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, che nella maggior parte dei casi viene effettuata dalle famiglie soprattutto per gli alunni più piccoli, è indice di quella adesione formale o tradizionale al cattolicesimo, anche per evitare ai propri figli, soprattutto nei piccoli centri, di essere bollati come “diversi” e magari messi ai margini o quantomeno guardati “con sospetto”.