Crocifisso in aula? Il sindaco di Padova “inchiodato” proprio dal mondo cattolico

Ingrid Colanicchia
Adista Notizie n. 26 del 12/07/2014

Era solo questione di tempo prima che le sparate cui non è nuovo si guadagnassero ancora una volta i titoli dei giornali. E di tempo ce n’è voluto ben poco. Eletto sindaco di Padova il 9 giugno scorso con una lista civica in coalizione con il centrodestra, Massimo Bitonci non ha aspettato neppure un mese per tornare a far parlare di sé. Da sindaco di Cittadella, carica che ha ricoperto dal 2002 al 2012, si era reso celebre per diverse iniziative discutibili come il veto all’apertura di negozi di kebab, o l’ordinanza che prevedeva un reddito minimo per poter risiedere nel territorio del Comune. Ma soprattutto Bitonci si era proposto come baluardo a difesa della cristianità, facendosi strenuo difensore del crocifisso nelle scuole.

Ed evidentemente al crocifisso non sa proprio rinunciare Bitonci visto che, appena approdato a Palazzo Moroni, ha annunciato con un tweet l’intenzione di collocarne uno – «obbligatorio» – in tutti gli edifici e scuole, regalato dal Comune. E ha anche fatto sapere di non avere alcuna intenzione di concedere le palestre alla comunità islamica per il Ramadan.

Peccato che lo spirito d’iniziativa di Bitonci non sia stato molto apprezzato. Duro il commento del vescovo di Chioggia, mons. Adriano Tessarollo (Corriere del Veneto, 28/6): «Non credo che quella del crocifisso sia una battaglia in favore della fede e della Chiesa», ha detto. «I criteri per difendere i valori cristiani sono altri». Che ora si prenda il crocifisso «a simbolo dell’identità veneta è discutibile», ha proseguito. «Non vedo perché un personaggio politico debba accendere la polemica. È un simbolo libero e tale deve rimanere, la Chiesa non impone niente a nessuno», «non lo trasformerei in oggetto di battaglia ideologica, né di libertà per i cristiani o di non libertà per i fedeli di altri culti». Insomma, per mons. Tessarollo, «le battaglie sono altre, quella in corso è una strumentalizzazione che non appartiene alla Chiesa cattolica». Infine, sempre dalla pagine del Corriere del Veneto, la replica al segretario leghista Matteo Salvini, che ha detto di non riconoscersi «in una Chiesa che ha favorito l’invasione islamica». «Non si riconosce in questa Chiesa?», chiede Tessarollo: «Se ne faccia una per conto suo, nei principi fondamentali del credere cristiano non è escluso l’accordo con le altre religioni. Se la Lega non si riconosce in questa Chiesa mi chiedo allora se abbia il diritto di parlare a nome della comunità cattolica. Parli piuttosto a titolo personale».

E giù duro va anche il settimanale dei paolini, Famiglia cristiana (29/6), in un articolo di Alberto Laggia: «Complimenti signor sindaco. Se voleva rassicurare il suo elettorato e accattivarsi le simpatie di qualche intollerante, l’iniziativa ha avuto successo. Nutriamo qualche dubbio, invece, che ciò serva davvero a far crescere la coesione di una comunità che accoglie nel suo seno tanti stranieri, anche di fede islamica». «Nella provincia di Padova i migranti residenti sono quasi 90 mila, e tra questi non pochi sono seguaci del Corano. Pregano e osservano i dettami della loro fede, proprio come fanno i cristiani praticanti. E se non potranno entrare più in una palestra, quale sistemazione alternativa propone loro?». «Non è forse vero che il primo cittadino, una volta eletto, dovrebbe dimenticarsi di essere uomo di parte (partito), e essere sindaco di tutti i suoi concittadini?», si chiede Laggia. «E allora perché compiere gesti escludenti dalla comunità e non includenti che, cioè, mettono “insieme”? Perché soffiare sulle braci mai spente del pregiudizio nei confronti di chi non è dei nostri?». «Chi non genera comunità, crea il ghetto, signor sindaco. Non ci sono terze vie. Il resto è demagogia di bassa… lega».

«Il “bel crocifisso obbligatorio” è l’altro cinguettante capolavoro postato da Bitonci», prosegue Famiglia cristiana. «Come se le sorti e la difesa dei valori cristiani, della tradizione, dell’identità culturale occidentale e chi più ne ha più ne metta, fossero davvero affidate alla solidità del chiodo cui è appeso quel simbolo in legno dentro un’aula scolastica o di tribunale. Bastasse questo. La scristianizzazione e la secolarizzazione avanzano perché le comunità cristiane hanno staccato la croce, non dai muri, ma dalle loro vite, dai loro volti e per questo sono diventate trasparenti, insignificanti». «La testimonianza di fede non passa per l’obbligo di legge, ma per la proposta gioiosa, e scomoda insieme, di chi ha sperimentato la bellezza del Vangelo che gli ha cambiato la vita».

Insomma, conclude Laggia: «Non sentiamo proprio il bisogno di questi spot pro-cattolicesimo proselitista, grazie. E poi, proprio quella croce, che lei vuole imporre negli uffici postali, con quelle braccia aperte chiama solo a far comunione, all’abbraccio fraterno, alla condivisione di ogni povertà e solitudine. Al dialogo con tutti. Anche con quegli oranti così poco ortodossi che frequentano l’altrettanto poco ortodossa sala di preghiera, in questo siamo d’accordo con lei, che è la palestra di via Sarpi. Insomma, caro sindaco, ci era decisamente piaciuto di più il 13 giugno scorso, festa di Sant’Antonio, quando ebbe a dire: “Ricordiamoci di mantenere sempre aperti il nostro cuore e, con esso, le porte di Padova”. Lei ha richiamato la lezione del grande Santo patavino, che fu anch’esso un migrante. Il problema è che se l’è dimenticata il giorno dopo. Quando si dice: “passata la festa, gabbato lo santo”».