Sinodo sulla famiglia: la chiesa di base aspetta al varco

Ingrid Colanicchia
Adista Notizie n. 26 del 12/07/2014

La partita che si giocherà al Sinodo sulla famiglia è grossa. Potrebbe essere il banco di prova definitivo per capire se il clima di apertura che si respira da quando papa Francesco è salito al soglio pontificio si tradurrà, quantomeno sui temi della morale familiare e sessuale, anche in qualcosa di concretamente innovativo oppure no. L’Assemblea dei vescovi e il papa si troveranno di fronte a un bivio. Quale strada sceglieranno per colmare la distanza tra fedeli e Magistero emersa dalle risposte ai questionari pervenute alla Segreteria del Sinodo? Apriranno la strada a possibili modifiche – quantomeno su quei temi sui quali appare più profondo il divario (leggi Humanae vitae e accesso ai sacramenti per i divorziati risposati) – oppure sceglieranno l’approccio che sembra suggerire l’Instrumentum laboris (v. Adista Notizie n. 25/14), vale a dire una maggiore attenzione alla cura pastorale e poco più?

Sono le due opzioni che pone di fronte al Sinodo anche Vittorio Bellavite, portavoce di Noi siamo Chiesa, auspicando che si opti per la prima strada. «Le risposte alla consultazione promossa dal Sinodo dei vescovi, così come ci sono state presentate, sono di grande interesse», scrive in un comunicato del 30 giugno scorso. «I problemi che sono venuti a galla sono tanti, importanti e vitali per il futuro della Chiesa e della proposta dell’Evangelo» e da tempo, sottolinea Bellavite, erano stati, in gran parte, «oggetto dell’attenzione dell’area “conciliare” della nostra Chiesa». Ne consegue, secondo il portavoce di NsC, che negli anni passati è mancato l’ascolto: «Mai, soprattutto nel nostro Paese, il sistema ecclesiastico ha accettato, salvo ben poche eccezioni, di dialogare, di cercare di capire le riflessioni che molti di noi proponevano.».

Per Bellavite, i due sinodi in programma dovranno andare oltre l’Instrumentum, che «non ha alcun valore magisteriale». Esso «intreccia alle informazioni e alle descrizioni parecchi passaggi dove sembra dettare ancora la linea, quella di sempre, di cui sarà opportuno non tenere conto». Per esempio laddove mette in relazione «l’omosessualità alla teoria del gender, come se l’emergere delle problematiche legate all’omosessualità non sia dovuto alla crescente consapevolezza che gli omosessuali hanno del loro orientamento sessuale ma ad una “confusione dei generi” che avrebbe infettato le società occidentali».

Insomma, per Bellavite il Sinodo ha di fronte due possibilità: scegliere «solo una modifica del linguaggio e un approccio più pastorale», oppure ipotizzare, almeno su certe questioni, «modifiche anche di tipo dottrinale/magisteriale». E fa due esempi concreti. «La linea della Humanae vitae deve essere esplicitamente cambiata. La sua permanente non recezione nel sentire del popolo cristiano non può tollerare altre ipocrisie come quelle che ancora l’Instrumentum laboris propone». Secondo esempio: «La questione dei divorziati risposati esige una soluzione. Il problema viene posto chiaramente nell’Instrumentum in tutti i suoi aspetti; ora i vescovi, supportati da tutti gli operatori di pastorale famigliare, possono decidere per il recupero dell’antica tradizione, seguita ancora oggi dalla Chiesa ortodossa». Queste due scelte, per Bellavite, «andrebbero nella direzione di una morale famigliare più fondata sulla libertà di coscienza e la responsabilità personale, oltre che sulla misericordia di cui parla il Vangelo (e papa Francesco)».

Meno ottimisti, e c’è da capirli, i cattolici lgbt (v. anche notizia successiva). La fotografia resa dall’Instrumentum laboris «parla chiaro ed è una dolorosa autoanalisi per la Chiesa cattolica che registra “un profondo scollamento tra i fedeli e il Magistero della Chiesa cattolica”», si legge nella riflessione diffusa dal portale Gionata. Se sulla questione della comunione ai risposati, sulle unioni di fatto etero, sulle pratiche contraccettive, l’Instrumentum «espone abbastanza fedelmente le tante perplessità espresse dai fedeli sull’azione pastorale ed il Magistero della Chiesa cattolica» non altrettanto è avvenuto, secondo Gionata, quanto alle questioni concernenti le coppie gay: «Nel documento – si rileva – ci sembra che vengano lasciate ben poche aperture e non vengono quasi riportati i numerosi inviti dei fedeli a superare l’atteggiamento di chiusura della Chiesa su questo tema, limitandosi a segnalare un generico invito ad un maggior ascolto delle persone omosessuali».

L’Instrumentum, è la conclusione di progetto Gionata, «sembra voler preludere ad una conferma della dottrina “classica”, con il solito generico invito all’accoglienza e una inedita insistenza sulla cosiddetta ideologia gender, poco o nulla citata nelle risposte dei fedeli rese pubbliche dalle varie conferenze episcopali, ma tanto cara a parte dell’episcopato europeo».

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L’INSTRUMENTUM LABORIS È UNA DELUSIONE: I COMMENTI DEL MONDO CATTOLICO STATUNITENSE

Ludovica Eugenio
Adista Notizie n. 26 del 12/07/2014

Un «cappello vecchio»; un documento «noioso e senza gioia»; un’«occasione sprecata», «estremamente sconcertante»: sono questi, in sintesi, i primi commenti all’Instrumentum laboris per il Sinodo sulla famiglia, il documento preparatorio pubblicato dal Vaticano il 26 giugno scorso e destinato a fornire le linee guida per l’appuntamento del prossimo ottobre, su cui tante speranze di cambiamento si erano concentrate nel mondo cattolico grazie anche all’innovativo approccio espresso dall’invio di un questionario a tutte le diocesi del mondo riguardante la sfera della famiglia e della morale sessuale, cui la base ecclesiale ha risposto in modo franco e diretto (v. Adista Notizie n. 25/14).

Ha deluso, questo documento che avrebbe dovuto prendere le mosse proprio dal sensus fidelium espresso dalle risposte pervenute in Vaticano, fornendo un primo punto di riferimento per il Sinodo, e che invece appare come un déja vu.

«Se la famiglia è questa, meglio essere celibi»

«Il documento riconosce che “il compito primario della Chiesa è proclamare la bellezza della vocazione all’amore”, ma vi è ben poco di bello o di suggestivo in questo documento», è l’esordio del durissimo commento del gesuita statunitense p. Thomas Reese, già direttore del settimanale America, columnist del National Catholic Reporter e recentemente chiamato dal presidente Usa Barack Obama a far parte di una commissione governativa sulla libertà religiosa. «Se la vita matrimoniale è noiosa e senza gioia come questo documento – scrive sul Ncr (27/6) – sono felice di essere celibe».

A chiunque abbia familiarità con il precedente Sinodo sulla famiglia, quello del 1980, osserva Reese, «questo documento dà un’impressione di déja vu»: sono trattati gli stessi temi (divorzio, convivenza, matrimoni irregolari, aborto, controllo delle nascite, poligamia in Africa, matrimoni misti, annullamenti, sesso extraconiugale, crescita dei figli ecc.); sono invocate le stesse questioni come cause dei problemi: «I mass media, la cultura edonista, il relativismo, il materialismo, l’individualismo, il crescente secolarismo, la prevalenza di idee che portano ad una eccessiva e egoistica liberalizzazione della morale, la fragilità delle relazioni interpersonali, una cultura che rifiuta scelte definitive…»; sono proposte le stesse soluzioni: «Migliore catechesi, migliore predicazione, migliore formazione nei seminari, migliore preparazione al matrimonio, preghiera, corsi matrimoniali nelle scuole cattoliche, consulenza alle coppie, attività parrocchiali, devozione alla Sacra Famiglia ecc.».

Uno dei pochi aspetti positivi nel documento, argomenta Reese, è il riconoscimento della difficoltà dei cattolici ad accettare il Magistero della Chiesa nel suo insieme», soprattutto su controllo delle nascite, divorzio e seconde nozze, omosessualità, convivenza, fedeltà, sesso fuori dal matrimonio, fecondazione in vitro, ecc.; ma soprattutto il riconoscimento che la Chiesa potrebbe fare di meglio nel presentare il proprio insegnamento (le stesse parole, espresse al Sinodo del 1980 dall’allora arcivescovo di San Francisco John Quinn, procurarono a quest’ultimo notevoli problemi). Il Vaticano sembra accettare l’idea che il diritto naturale sia diventato problematico per la maggior parte dei cattolici, se non del tutto incomprensibile e questo, per Reese, rappresenta almeno un fatto positivo: «A differenza dell’Instrumentum del 1980 – osserva – questo nuovo documento di lavoro non accusa i teologi dissidenti per il fatto che i laici non accettino l’etica sessuale della Chiesa, ma ammette, invece, che la crisi degli abusi sessuali ha inferto una ferita alla credibilità morale della Chiesa».

Nonostante i numerosi problemi citati dal documento, vi è ancora la speranza per una nuova vitalità per la famiglia, si legge nel commento di Reese. «Resta da vedere come ciò si concilii col fatto che i giovani ritardano il matrimonio, ricorrono alla contraccezione, convivono prima del matrimonio». In ogni caso, conclude il teologo, se ci si basa sull’esperienza del Sinodo del 1980, l’impatto dell’Instrumentum laboris potrebbe essere di breve durata: «Il documento del 1980 era stato criticato per aver omesso importanti suggerimenti di alcune Conferenze episcopali e il rapporto steso in seguito dal “relatore” del Sinodo fu più influente dell’Instrumentum laboris». Il relatore era Joseph Ratzinger.

Un «cappello vecchio»

Il documento è un «cappello vecchio» per Ryan Hoffmann, direttore delle comunicazioni dell’organismo cattolico statunitense Call to Action, che mette l’accento sull’entusiasmo provocato nella base cattolica dalla ricerca vaticana di un feedback concreto e credibile, rappresentato dal questionario inviato alle diocesi.

«I cattolici – scrive sul sito di Call to Action (26/6) – credevano di trovarsi in una nuova fase, in cui i vertici avrebbero ascoltato e rispettato le loro voci, esperienze e saggezza». E invece no. L’Instrumentum «ha suscitato grande delusione»: «L’accusa ai cattolici di non comprendere l’insegnamento della Chiesa è un cappello vecchio. Riciclando lo stesso approccio e gli stessi argomenti che abbiamo già sentito, il documento rifiuta il desiderio dei cattolici di una Chiesa più rilevante, pragmatica e inclusiva. L’irrilevanza delle norme sulla contraccezione o la mancanza di accoglienza pastorale per i cattolici divorziati e risposati, per esempio, sono temi ricorrenti nelle risposte al questionario».

Concetti ribaditi dal direttore di Call to Action, Jim Fitzgerald: «La saggezza dei laici dovrebbe essere valorizzata, non messa sotto tutela; il futuro della Chiesa dipenderà dal fatto se la gerarchia saprà ascoltare, rispettare e valorizzare le esperienze dei fedeli». Allo stato attuale, «il trinceramento e la rielaborazione dello status quo continua a lasciare indietro migliaia di cattolici, trascura la dignità di tutta la nostra famiglia cattolica e non fa progredire la nostra Chiesa in uno spirito di accoglienza e compassione». Ma se il documento di oggi è una delusione, non lo sono i cattolici: loro sì, conclude Fitzgerald, hanno capito «la vocazione all’amore radicata nel Vangelo. Sono campioni di una fede che amano, e continuano a sperare che la discussione, il dialogo e la preghiera porteranno i vescovi a una autentica guida pastorale».

«Un pugno allo stomaco»

L’Instrumentum laboris rappresenta un’«occasione perduta» per la coalizione di organismi cattolici statunitensi Equally Blessed che si occupa di giustizia e uguaglianza per le persone lgbt nella Chiesa e nella società: «Siamo delusi dalla mancanza di ascolto» espressa dal documento; «siamo scoraggiati per il fatto che non si parla delle sfide delle famiglie che cercano di riconciliare il loro amore per i loro cari gay, lesbiche, bisessuali e transgender con gli insegnamenti della Chiesa, spesso troppo duri e divisivi». «Insinuare che i cattolici non comprendono il Magistero della Chiesa e trincerarsi dietro vecchie argomentazioni contro le nostre famiglie – afferma Equally Blessed – significa ignorare la nostra dignità e la realtà della nostra esperienza cattolica». La delusione viene dalla frustrazione delle aspettative suscitate da un approccio innovativo: «Speravamo che questo Sinodo significasse una nuova apertura nella Chiesa ad un vero dialogo e ad un riconoscimento del Magistero alle nostre famiglie; invece hanno ripetuto che siamo noi a non capire».

Analoga «estrema delusione» è espressa da un grande movimento di cattolici lgbt, DignityUsa, la cui fondazione risale al 1969, per il quale l’Instrumentum dimostra che non si è riusciti a comprendere la portata dei problemi rispetto al ministero ecclesiale sui temi della sessualità e della vita familiare, e dà un’errata interpretazione dei suggerimenti offerti dai cattolici di tutto il mondo. «È stato un pugno nello stomaco», ha commentato la direttrice Marianne Duddy-Burke. «Molti cattolici speravano che il prossimo Sinodo fosse un’occasione di dialogo reale con i vertici della Chiesa su temi molto importanti nella nostra vita quotidiana. Ciò che vediamo, invece, è una rigida adesione all’insegnamento vigente, e ciò che sentiamo sono recriminazioni sul fatto che i fedeli non sono informati o sono ignoranti. È una semplificazione grezza e terribilmente offensiva». A fronte del sincero entusiasmo che ha portato tanti cattolici a rispondere con scrupolo e impegno al questionario, spiegando le ragioni del profondo gap tra vita reale e magistero, spiega Duddy-Burke, ciò che è uscito dal Vaticano è sempre la stessa cosa, ma aggravata: «Più offensivo, più doloroso, più escludente». E, quanto ai temi specificamente lgbt, l’Instrumentum «è radicato nella stessa eteronormatività che caratterizza la Chiesa ufficiale da decenni». I vescovi devono cominciare a ascoltare e comprendere: «Impareranno molto».

A ben vedere, tornano attuali le parole che la religiosa benedettina suor Joan Chittister pronunciò a maggio, prima della diffusione dell’Instrumentum (Ncr, 28/5): «Il fatto di formulare delle domande pone tre rischi impliciti: primo, quando si chiede di rispondere a una serie di interrogativi, chi risponde ne trae l’idea che le risposte saranno prese sul serio. Crea aspettative. Secondo, implica che si sia disponibili a considerare la diversità di posizione di chi risponde. Terzo, porre una domanda alla quale non si vuole che venga data una risposta diversa dalla propria rischia di mettere in rilievo le differenze soggiacenti». Insomma: riflettere è un segno di sanità, ma non di compiacenza o acquiescenza. «Quando la gente comincia a pensare, si sviluppano comunità, energia, possibilità, nuova vita».