Gran Bretagna: l’ok della chiesa anglicana all’episcopato femminile

Ludovica Eugenio
Adista Notizie n. 28 del 26/07/2014

Finalmente è un “sì”: dopo un percorso irto di ostacoli, il Sinodo generale della Chiesa d’Inghilterra ha approvato, il 15 luglio scorso, l’accesso delle donne all’episcopato. Finalmente, infatti, è stata raggiunta, come necessario, la maggioranza dei due terzi in ognuna delle tre parti costituenti del Sinodo: la Camera dei vescovi (37 sì, 2 no, 1 astenuto), del clero (162 sì, 25 no, 4 astenuti) e dei laici (152 sì, 45 no, 5 astenuti). Ora la decisione dovrà essere ratificata dal Parlamento e, infine, dalla regina Elisabetta, in quanto capo supremo della Chiesa anglicana. Nel caso in cui non vi siano ulteriori sorprese e l’iter segua il suo corso, la prima donna vescovo, dunque, potrebbe essere già ordinata entro la fine dell’anno, portando la Chiesa d’Inghilterra ad allinearsi con altre province che hanno già compiuto questo passo, come gli Stati Uniti, l’Australia, il Canada e la Nuova Zelanda.

La notizia non è stata accolta con molto favore dal Vaticano. «Adesso le cose si complicano notevolmente», ha detto lo storico del cristianesimo nonché direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian in un’intervista a Vatican Insider, il portale di informazione religiosa de La Stampa (15/7). «Chiaramente è una decisione che complica il cammino ecumenico. Il problema non è solo con Roma ma anche con le Chiese ortodosse e per di più la Comunione anglicana è divisa al suo interno», ha aggiunto. Per tenere in vita il dialogo ecumenico, ritiene Vian, molto pessimista, «l’ecumenismo spirituale e l’amicizia quotidiana tra cristiani di diverse confessioni dovranno crescere e superare le divisioni teologiche. Adesso, però, andranno chiariti alcuni punti fondamentali. Si è verificato un evento grave che rischia di riflettersi in maniera estremamente negativa sul secolare percorso verso l’unità di tutti i cristiani».

Un cammino lungo e accidentato

L’approvazione del Sinodo generale giunge a un anno e mezzo dall’ultima votazione, avvenuta nel novembre 2012, quando fallì per il mancato raggiungimento della maggioranza dei due terzi nella Camera dei laici, causando nei vescovi «profonda tristezza e choc», dopo ben 12 anni di dibattito sul tema. (v. Adista Notizie nn. 22, 28 e 44/12; 27, 33 e 43/13). Il dato fu tanto più rilevante dal momento che, tra i laici, la metà dei contrari era costituita da donne: sarebbe bastato il loro assenso – mancavano soltanto sei voti – per capovolgere il risultato della votazione. Ma esso era anche comprensibile: il fronte femminile contrario alle donne vescovo era per lo più inquadrabile nell’ala più conservatrice della Chiesa anglicana, quella che fa riferimento al movimento Reform o all’associazione anglocattolica Forward in Faith.

Nel luglio 2012, il provvedimento aveva rischiato seriamente di naufragare, dopo che i vescovi avevano aggiunto un emendamento a favore degli oppositori della consacrazione episcopale femminile, che faceva pendere la bilancia eccessivamente dalla parte di questi ultimi (v. Adista Notizie n. 28/12). In seguito, nelle tappe intermedie che hanno portato al voto del 15 luglio era emerso un forte orientamento al “sì”, ma anche il persistere di resistenze.

Il Sinodo generale del luglio 2013 aveva approvato, con 319 voti a favore, 84 contro e 22 astensioni, una mozione che riaffermava l’impegno per l’ammissione delle donne vescovo; nel novembre dello stesso anno, inoltre, l’Assemblea nazionale della Chiesa d’Inghilterra aveva votato (con 378 voti a favore, 8 contrari e 25 astenuti) il provvedimento, che comprendeva, nella nuova formulazione, una “dichiarazione” da parte dei vescovi che dovrebbe fungere da guida per quelle parrocchie che rifiutano le donne vescovo, nonché la nomina di un ombudsman che dovrebbe occuparsi delle controversie riguardanti i fedeli tradizionalisti che si oppongono alla consacrazione episcopale di una donna. Il risultato positivo, che, si era capito, guadagnava gradualmente spazio, spianava la strada al voto definitivo, ora finalmente espresso.

Il cammino che ha condotto a questo risultato storico, tuttavia, è cominciato molto tempo fa: «Oggi – ha detto l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby – è stato portato a compimento quanto avviato più di 20 anni fa con l’ordinazione sacerdotale delle donne». La sfida, ha spiegato, è ora quella di «continuare a dimostrare attenzione per coloro che non sono d’accordo per motivi teologici». Non si tratta, ha proseguito, di una vittoria per cui «chi vince piglia tutto, ma di andare avanti insieme come famiglia».

Soddisfazione è stata espressa anche dall’arcivescovo di York, John Sentamu: «Questo è un momento storico», ha detto. «Generazioni di donne hanno servito per secoli fedelmente il Signore nella Chiesa d’Inghilterra» e oggi «l’incarico di vescovo viene reso loro accessibile». «Ci muoviamo lentamente perché ci muoviamo insieme», ha aggiunto spiegando il perché di tempi tanto lunghi. «Ma muovendoci insieme non solo otteniamo ciò che è giusto ma lo creiamo anche. Come recita un proverbio africano, “Chi cammina veloce cammina da solo. Chi cammina insieme ad altri va lontano”».

Se tutto va come dovrebbe, alla prossima assemblea del Sinodo, a novembre, la ratifica del Parlamento dovrebbe consentire l’entrata in vigore effettiva del provvedimento, con la probabile nomina di una donna a vescovo ausiliare.