Il Papa sull’Iraq: è l’Onu che deve decidere come fermare l’aggressore

Andrea Tornielli
http://vaticaninsider.lastampa.it/

La situazione delle minoranze religiose costrette a lasciare l’Iraq, le violenze dell’Isis, i bombardamenti americani. La guerra di Gaza subito dopo la preghiera per la pace. Le relazioni con la Cina, i prossimi viaggi, la nuova enciclica e le vacanze «in casa» del Papa. Ecco i temi trattati da Francesco nelle risposte a quindici domande dei giornalisti.

L’aggressione dell’Isis alle minoranze cristiane in Iraq e le bombe americane

«In questi casi, dove c’è un’aggressione ingiusta, soltanto posso dire che è lecito “fermare” l’aggressore ingiusto. Sottolineo il verbo “fermare”, non dico bombardare, fare la guerra, ma fermarlo. I mezzi con i quali si può fermare dovranno essere valutati. Fermare l’aggressore ingiusto è lecito. Ma dobbiamo avere memoria, quante volte sotto questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto la vera guerra di conquista. Una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore ingiusto. Dopo la Seconda Guerra mondiale c’è stata l’idea della Nazioni Unite, là si deve discutere e dire: c’è un aggressore ingiusto? Sembra di si, e allora come lo fermiamo? Soltanto questo, niente di più. In secondo luogo, le minoranze. Grazie per aver usato questa parola. Perché a me parlano di cristiani, quelli che soffrono, i martiri. E sì, ci sono tanti martiri. Ma qui ci sono uomini e donne, minoranze religiose, non sono tutti cristiani, e tutti sono uguali davanti a Dio. Fermare l’aggressore ingiusto è un diritto che l’umanità ha ma è anche un diritto che ha l’aggressore di essere fermato perché non faccia del male».

La possibilità di una visita nel Kurdistan irakeno, nella zona del conflitto

«Sono disponibile ad andare, credo di poterlo dire: quando con i miei collaboratori abbiamo avuto notizia di questa situazione, delle minoranze religiose e anche il problema in quel momento del Kurdistan che non poteva accogliere così tanta gente, abbiamo pensato tante cose. Abbiamo scritto prima di tutto il comunicato che ha fatto padre Lombardi. Dopo questo comunicato è stato inviato a tutte le nunziature perché fosse trasmesso ai governi. Poi abbiamo scritto al Segretario generale delle Nazioni Unite e abbiamo deciso di mandare là un inviato personale, il cardinale Filoni. Alla fine abbiamo detto se fosse stato necessario, dopo il ritorno dalla Corea, potevo andare lì, era una delle possibilità. Sono disponibile! In questo momento non è la cosa migliore da fare, ma sono disposto a questo».

La preghiera per la pace con Abu Mazen e Peres è stata un fallimento?

«La preghiera per la pace assolutamente non è stata un fallimento. Questi due uomini sono uomini di pace, sono uomini che credono in Dio e hanno vissuto tante cose brutte, tante cose brutte, e sono convinti che l’unica strada per risolvere il problema sia quello del negoziato, del dialogo, della pace. È stato un fallimento? Io credo che la porta sia aperta. La pace è un dono di Dio, che si merita con il nostro lavoro, ma è un dono. E bisogna dire all’umanità che anche la sala del negoziato che è importante è la sala della preghiera. Dopo la preghiera in Vaticano è arrivato quello che è arrivato. Ma questo è congiunturale. Quell’incontro non era congiunturale è un passo fondamentale dell’atteggiamento umano, una preghiera. Adesso il fumo delle bombe e delle guerre non lasciano vedere quella porta, ma la porta è rimasta aperta da quel momento. Credo in Dio, credo nel Signore, quella porta è rimasta aperta e chiediamo che Lui ci aiuti».

Le vittime della guerra

«Oggi noi siamo in un mondo in guerra, dappertutto! Qualcuno mi diceva: lei sa, padre, che siamo nella terza guerra mondiale, ma fatta a pezzi. A capitoli. È un mondo in guerra dove si fanno queste crudeltà. Vorrei fermarmi su due parole. La prima è crudeltà. Ora i bambini non contano! Una volta si parlava di una guerra convenzionale, ora questo non conta. Non dico che le guerre convenzionali siano cosa buona, no. Ma oggi va la bomba e ammazza l’innocente con il colpevole, il bambino con la donna, la mamma: ammazza tutti. Ma vogliamo fermarci a pensare un po’ al livello di crudeltà a cui siamo arrivati? E questo ci deve spaventare. Non è per fare paura. Il livello di crudeltà della umanità in questo momento è da spaventare un po’».

La tortura

«Oggi la tortura è uno dei mezzi direI quasi ordinari nei comportamenti dei servizi di intelligence e in alcuni processi giudiziari… E la tortura è un peccato contro l’umanità, un delitto contro umanità. Ai cattolici dico: torturare una persona è peccato mortale, è peccato grave. Ma è di più: è un peccato contro l’umanità. Crudeltà e tortura. Mi piacerebbe tanto che voi nei vostri media faceste una riflessione su qual è oggi il livello di crudeltà dell’umanità e cosa pensate della tortura. Credo ci farebbe bene a tutti riflettere su questo».

Il rapporto tra la Santa Sede e la Cina e la possibilità che il Papa ci vada
«Quando all’andata stavamo sorvolando lo spazio aereo cinese, io mi trovavo nella cabina pilotaggio e uno dei piloti mi ha fatto vedere un registro, spiegandomi che mancavano dieci minuti per entrare nello spazio aereo cinese e dovevamo chiedere l’autorizzazione – sempre si deve chiedere, è una cosa normale, per ogni Paese – e ho sentito come chiedevano l’autorizzazione e come rispondevano, sono stato testimone di quel momento. Il pilota ha detto: adesso partirà il telegramma, non so come l’abbia fatto, ma l’ha fatto. Poi mi sono congedato da loro, e sono tornato al mio posto e ho pregato tanto, per quel bello e nobile popolo cinese: un popolo saggio. Penso ai grandi saggi cinesi, penso alla storia di scienza, di saggezza… Anche noi gesuiti abbiamo una storia lì, con Matteo Ricci… Se io ho voglia di andare in Cina? Ma sicuro, domani! Noi rispettiamo il popolo cinese. La Chiesa chiede soltanto la libertà per il suo ministero, per il suo lavoro. Nessun’altra condizione. Poi non bisogna dimenticare la lettera fondamentale per il problema cinese, quella che è stata inviata ai cinesi da Papa Benedetto XVI. Quella lettera oggi è attuale. Rileggerla fa bene. La Santa Sede è sempre aperta ai contatti, sempre, perché ha una vera stima per il popolo cinese».

I prossimi viaggi e la speranza di vederlo in Spagna, ad Avila, nel 2015

«Quest’anno è previsto l’Albania. Ci vado per due motivi importanti. In primo luogo perché qui sono riusciti a fare un governo – pensiamo ai Balcani – un governo di unità nazionale, tra islamici, ortodossi, cattolici, con un consiglio interreligioso che aiuta tanto ed è equilibrato. Io ho sentito la mia presenza come se fosse una aiuto da quel popolo nobile. L’altro motivo è questo: pensiamo alla storia dell’Albania, l’unico dei paesi comunisti che nella sua Costituzione aveva l’ateismo pratico. Se tu andavi a messa era anticostituzionale! E poi mi diceva uno dei ministri che sono state distrutte – voglio essere preciso nella cifra – 1.820 chiese, ortodosse e cattoliche. E poi in quel tempo altre chiese sono state trasformate in cinema, teatro, sale da ballo. Io ho sentito che dovevo andare, e in un giorno si fa. Poi l’anno prossimo vorrei andare a Philadelphia all’incontro della famiglie e anche sono stato invitato dal Presidente degli Stati Uniti al Parlamento americano e anche dal Segretario delle Nazioni Unite a New York – forse le tre città insieme, Philadelphia, Washington e New York – I messicani vogliono che in quella occasione io vada anche alla Madonna di Guadalupe (Città del Messico) e si può approfittare, ma non è sicuro. E alla fine la Spagna. I reali mi hanno invitato, l’episcopato mi ha invitato, ma non è deciso».

Il rapporto con Benedetto XVI

«Ci vediamo. Prima di partire sono andato a trovarlo. Due settimane prima mi ha inviato uno scritto interessante, mi chiedeva un’opinione. Abbiamo un rapporto normale. Perché intorno a questa idea, che forse non piace a qualche teologo – io non sono teologo – penso che il Papa emerito non sia una eccezione. Io penso che il Papa emerito sia già una istituzione, perché la nostra vita si allunga e a una certa età non c’è la capacità di governare bene, perché il corpo si stanca… La salute forse è buona ma non c’è più la capacità di portare avanti tutti i problemi di un governo come quello della Chiesa…. E se io non me la sentissi di andare avanti? Farei lo stesso. Pregherò, ma credo che farei lo stesso. Siamo fratelli, e ho già detto che è come avere il nonno a casa, per la sua saggezza. È un uomo di saggezza. Mi fa bene sentirlo. E lui mi incoraggia abbastanza».

Lei ha una vita molto impegnativa. Poco riposo, niente vacanze. C’è da preoccuparsi da ritmo che lei tiene?

«Sì, qualcuno me lo ha detto. Io ho passato le vacanze a casa, come faccio di solito. Una volta io ho letto un libro, interessante, che s’titolava: “Rallegrati di essere nevrotico”. Anche io ho alcune nevrosi e bisogna curarle bene eh? La mia è che sono un po’ troppo attaccato al mio habitat. L’ultima volta che ho fatto vacanze fuori, con la comunità gesuita, è stato nel 1975. Poi sempre faccio vacanze, ma nel mio habitat, cambio ritmo: dormo di più, leggo cose che mi piacciono, sento musica, prego di più. E questo mi riposa. A luglio tante volte ho fatto questo. È vero, il giorno che ho dovuto andare al Gemelli, fino a dieci minuti prima dovevo partire ma non ce la facevo. Erano stati giorni molto impegnativi. Adesso so che devo essere più prudente. Tu hai ragione…».

Come gestisce questa immensa popolarità? Come la vive?

«Io la vivo ringraziando il Signore che il suo popolo sia felice, augurando al popolo il meglio. La vivo come generosità del popolo, quello vero… Interiormente cerco di pensare ai miei peccati, ai miei sbagli, per non “credermela” (espressione in lingua spagnola che equivale a: “credersi importante”, ndr), perché io so che questo durerà come me, due o tre anni e poi… alla casa del Padre! La vivo come la presenza del Signore nel suo popolo che usa il vescovo che è il pastore del popolo per manifestare tante cose. La vivo più naturalmente di prima, perché mi spaventava un po’».

Come vive in Vaticano, al di là del lavoro?

«Cerco di essere più libero. Ci sono appuntamenti di ufficio di lavoro, la vita per me è la più normale che si possa fare. Mi piacerebbe uscire ma non si può, ma non si può. Poi a Santa Marta faccio la vita normale di lavoro, di riposo, chiacchiere… Se mi sento prigioniero? No. All’inizio sì, ma sono caduti alcuni muri… per esempio (sorride): il Papa non poteva scendere in ascensore da solo, subito qualcuno veniva ad accompagnarlo! “Ma tu vai al tu posto che io scendo in ascensore da solo!” È finita la storia, e così eh.. la normalità, la normalità».

La prossima enciclica dedicata alla salvaguardia del creato

«Di questa enciclica, ho parlato tanto con il cardinale Turkson e anche con altri e ho chiesto a Turkson di raccogliere tutti i contributi arrivati. Prima del viaggio, il cardinale mi ha consegnato la prima bozza. È grossa così (fa gesto ampio, ndr), un terzo di più dell’Evangelii Gaudium. È la prima bozza. Si tratta di un problema non facile perché sulla custodia del Creato, anche l’ecologia – c’è una ecologia umana – si può parlare con una certa sicurezza solo fino a un certo punto. Poi vengono le ipotesi scientifiche, alcune abbastanza sicure, altre no. E una enciclica che deve essere magisteriale deve andare avanti soltanto sulle sicurezze, sulle cose che sono sicure. Se il Papa dice che il centro dell’universo è la terra e non il sole, sbaglia perché dice una cosa che scientificamente non va. Così succede adesso, dobbiamo fare lo studio paragrafo per paragrafo. Credo che diventerà più piccola perché bisogna andare all’essenziale, è quel che si può affermare con sicurezza. Si può mettere nelle note a pie’ di pagina che su questo c’è questa ipotesi o quest’altra. Ma darlo come informazione, non nel corpo di un’enciclica che è dottrinale e deve essere sicura».

La beatificazione dell’arcivescovo salvadoregno Oscar Romero

«La causa era bloccata, si diceva per prudenza, alla Congregazione della dottrina della fede. Adesso è sbloccata. È passata alla Congregazione per i santi e segue la strada normale di un processo, dipende da come si muovono i postulatori. È molto importante di farlo in fretta. Perché io quello che vorrei è che si chiarisca quando c’è il martirio in odium fidei, sia per confessare il Credo, sia per fare le opere che Gesù ci comanda con il prossimo. Questo è un lavoro dei teologi che lo stanno studiando. Dietro Romero c’è Rutilio Grande e ci sono altri. Altri che sono stati uccisi che non sono della stessa altezza di Romero, si deve distinguere teologicamente tutto questo. Per me Romero è un uomo di Dio. Si deve continuare il processo, il Signore deva dare un suo segno, se Lui lo vuole fare, lo farà. Adesso i postulatori devono muoversi perché non ci sono più impedimenti».