Scout, una scossa a Chiesa e politica

Luca Kocci
il manifesto, 12 agosto 2014

Chissà cosa avrà pensato il cardinal Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, quando domenica scorsa, dopo aver celebrato la messa alla conclusione della terza Route nazionale dell’Agesci (il raduno degli scout cattolici di tutta Italia), ha ascoltato un giovane scout affermare dal palco che va considerata famiglia «qualunque rapporto basato su amore e rispetto», «senza discriminare persone che hanno vissuto o stanno vivendo esperienze quali divorzio o convivenza». E chissà cosa avrà pensato Matteo Renzi, anche lui alla giornata conclusiva della Route da presidente del Consiglio ex scout, quando ha letto che gli scout italiani chiedono al governo di chiudere i Centri di identificazione ed espulsione per gli immigrati (Cie), di concedere la cittadinanza a tutti coloro che nascono in Italia (Ius soli) e di ridurre «drasticamente» le spese militari.

Tanto le parole rivolte a Bagnasco quanto quelle indirizzate al premier Renzi sono scritte nella “Carta del coraggio”, il documento conclusivo della Route dell’Agesci (dall’1 al 6 agosto in centinaia di campi mobili attraverso tutta l’Italia, dal 6 al 10 agosto nel Parco di San Rossore, a Pisa) redatto collettivamente da un “parlamentino” di oltre 450 scout dai 16 ai 21 anni, democraticamente eletti fra i 30mila partecipanti alla Route. Una carta di impegni per l’Agesci, ma anche di richieste sia alla Chiesa sia alla politica, da parte di un’associazione cattolica da sempre attiva nel territorio e nella società, su posizioni conciliari e progressiste, senza quelle derive politiciste di altri movimenti ecclesiali, come per esempio Comunione e liberazione. Sempre che la presenza di Renzi – a cui è stato concesso il discorso finale dal palco della Route – non segni l’inizio di un’altra storia per l’Agesci e la trasformi in una cinghia di trasmissione del renzismo: ipotesi smentita da tutti, sia ai vertici che alla base, ma il rischio pare comunque presente.

Parole nette, forse anche al di là delle previsioni, quelle che gli scout hanno messo nero su bianco nella “Carta del coraggio”. Per ora non è stata ancora resa pubblica – sul sito internet dell’Agesci c’è solo una brevissima sintesi –, «ma dopo aver diffuso il documento fra gli associati e i gruppi lo pubblicheremo integralmente», ci spiegano. Il manifesto può anticiparne i contenuti. È certo però che i “capi” hanno lasciato assoluta libertà ai giovani scout che l’hanno scritta e che hanno espresso posizioni chiare, soprattutto sui temi ecclesiali, che evidenziano una distanza significativa dalla Chiesa dei principi non negoziabili di Ratzinger, Ruini e Bagnasco. Del resto il nuovo clima ecclesiale consente una maggiore libertà di parola.

Sull’amore e la famiglia – tema al centro anche del Sinodo dei vescovi che si aprirà ad ottobre –, pur vedendo «la bellezza e la sfida della vita in famiglia», gli scout non si fermano a quanto affermato dai documenti ufficiali del magistero, ma vanno decisamente oltre, considerando famiglia «qualunque nucleo di rapporti basati sull’amore e sul rispetto». Ci sono dentro divorziati e conviventi – esplicitamente nominati –, ma evidentemente anche le relazioni omosessuali, dal momento che si chiede alla Chiesa «di mettersi in discussione», «di rivalutare i temi dell’omosessualità» e «di accogliere e non solo tollerare qualsiasi scelta di vita guidata dall’amore». Anche all’Agesci – che da almeno tre anni ha avviato al proprio interno una riflessione sulla “compatibilità” fra appartenenza all’associazione e omosessualità, soprattutto se dichiarata – si chiede di «allargare i propri orizzonti affinché tutte le persone, indipendentemente dall’orientamento sessuale, possano vivere l’esperienza scout e il ruolo educativo con serenità senza sentirsi emarginati». E allo Stato di portare avanti «politiche di accoglienza nei confronti di persone di qualunque orientamento sessuale». «Chiediamo – scrivono ancora i giovani scout – di non essere giudicati rispetto al tipo di legame affettivo che viviamo, ma di essere aiutati ad accettare noi stessi con tutti i nostri limiti e ad amare in modo autentico».

Ancora alla Chiesa, su altre questioni: condurre «uno stile di vita sobrio ed essenziale, coerente con il messaggio del Vangelo»; attribuire «alle donne e ai laici un ruolo sempre più attivo»; e «ai vescovi di avere fiducia nella coscienza delle persone», «specialmente in ambiti in cui essi adottano delle posizioni che si discostano dal sentire comune, quali la sessualità, il valore della vita e il ruolo delle donne». Insomma dai principi non negoziabili, alla libertà di coscienza.

Nella “Carta del coraggio” c’è anche molta politica, nei settori di impegno tradizionale per gli scout, come la pace («chiediamo che vengano drasticamente ridotti i fondi destinati alle spese militari, perché l’Italia sia concretamente un Paese che ripudia la guerra») e l’ambiente: «Ci stanno a cuore problemi come la superficialità nel rapporto con l’ambiente, l’inquinamento, lo sfruttamento irresponsabile del territorio, l’abusivismo, lo smaltimento errato dei rifiuti» (però il Comitato per la difesa di San Rossore denuncia l’alto impatto ambientale che proprio la Route ha avuto sul parco: http://ruspeasanrossore.wordpress.com). Ma anche su nuove frontiere, a cominciare dall’immigrazione. Chiediamo alle istituzioni italiane, scrivono, di «abolire i Cie» e di «concedere la cittadinanza a chi nasce in territorio italiano o a chi termina un determinato ciclo di studio/lavoro»; e all’Unione europea «lo snellimento delle procedure burocratiche», la revisione del Trattato di Dublino e la «aperture di nuovi canali di immigrazione legali e sicuri». Poi il carcere: «Chiediamo allo Stato di risolvere con estrema urgenza il problema del sovraffollamento delle carceri, attraverso l’applicazione di pene alternative» e «mediante provvedimenti più forti per il reinserimento degli ex detenuti». E l’emergenza abitativa: «Chiediamo di riqualificare spazi ed edifici pubblici ed ecclesiastici inutilizzati o abbandonati per dare una casa a chi ne ha bisogno».

Una copia della “Carta del coraggio” è stata consegnata sia a Bagnasco sia a Renzi, che hanno applaudito e ringraziato. Si vedranno ora le risposte che Chiesa e governo daranno ai 30mila scout di San Rossore.

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Agesci. Come è nata la “Carta del coraggio”

Luca Kocci
il manifesto, 12 agosto 2014

Con quasi 177mila associati distribuiti in circa 2mila gruppi locali l’Agesci (Associazione guide e scout cattolici italiani) è una delle principali espressioni del laicato cattolico in Italia.

Nata nel 1974 dalla fusione fra Asci e Agi (i rami maschile e femminile dello scoutismo cattolico nati rispettivamente nel 1916 e nel 1943), l’Agesci – scrive lo storico Massimo Faggioli nella sua Breve storia dei movimenti cattolici – è improntata «ad una cultura politica progressista, democratica e a chiare lettere antifascista e ad un rapporto di lealtà nei confronti della Chiesa cattolica, ma senza le obbedienze gerarchiche dell’Azione cattolica»: per esempio rimase piuttosto fredda verso le «chiamate alle armi» in occasione del referendum sul divorzio del ’74 ed è sempre stata refrattaria a tutti i richiami episcopali sull’unità politica dei cattolici nella Democrazia Cristiana. Fedele alla linea del Concilio Vaticano II, la “missione” dell’associazione è l’impegno educativo verso bambini e giovani.

«Lo stile democratico dell’Agesci ha caratterizzato tutto il percorso che ha portato alla stesura della “Carta del coraggio”, durato quasi un anno», spiega Sergio Bottiglioni, incaricato nazionale della branca rover e scolte (i ragazzi e le ragazze scout di 16-21 anni).

In una prima fase i gruppi locali di rover e scolte hanno caricato su una piattaforma informatica i loro contributi, sulla base dei quali è stata predisposta una bozza della Carta. Nel mese di luglio e dall’1 al 6 agosto, lungo i 456 percorsi che i gruppi hanno fatto dirigendosi a San Rossore per la Route nazionale (6-10 agosto), la bozza è stata discussa ed emendata. Quindi ciascuna delle 456 route (259 al nord Italia, 127 al centro, 70 al sud), a cui partecipavano mediamente 50-70 scout, ha eletto un proprio delegato (“alfiere”). A San Rossore, in tre giorni di lavoro, il “parlamentino” di 456 scout 16-21enni – rappresentanti di una platea di circa 30mila – ha redatto la versione definitiva della “Carta del coraggio” che domenica scorsa è stata consegnata al cardinale Angelo Bagnasco – presidente della Cei, quindi massimo rappresentante istituzionale della Chiesa italiana – e al premier Matteo Renzi (diamo conto dei contenuti della Carta nell’articolo in questa stessa pagina).

Si tratta di un documento nato dal basso dell’Agesci, con un’ampia partecipazione, ma che non ancora è un documento ufficiale dell’associazione, anche perché molti temi, soprattutto quelli di natura ecclesiale legati alle questioni etiche, sono piuttosto controversi: dal concetto “estensivo” di famiglia, all’omosessualità (negli Usa, per esempio, i Boy scout of America escludono i gay dichiarati dai loro gruppi; nel Regno Unito invece i documenti ufficiali degli scout spalancano loro le porte: «Va bene essere gay e scout», «va bene essere gay e capi scout», si legge; in Italia la riflessione è in corso da qualche anno). Il Consiglio generale dell’Agesci inizierà a discuterlo dopo l’estate e valuterà quali posizioni assumere, su queste e su altre questioni sollevate dal documento.

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Marcia Perugia-Assisi, è rottura tra scout e Tavola della pace

Luca Kocci
il manifesto, 5 agosto 2014

Mentre 30mila scout cattolici da tutta Italia stanno raggiungendo il parco di San Rossore a Pisa dove domani prenderà il via la fase finale del loro raduno nazionale – domenica ci sarà anche il premier boy scout Matteo Renzi, insieme al card. Bagnasco –, i presidenti dell’Agesci annunciano: non parteciperemo alla prossima marcia della pace Perugia-Assisi, il 19 ottobre.

La scelta, di qualche settimana fa – comunicata «a tutti i capi dell’associazione» con una lettera dei presidenti, Marilina Laforgia e Matteo Spanò –, è significativa, perché l’Agesci (Associazione guide e scouts cattolici italiani) è da sempre fra i protagonisti della Perugia-Assisi. I motivi della non partecipazione sono pesanti, come le critiche rivolte ai principali promotori della marcia, la Tavola della pace (da cui l’Agesci è uscita a dicembre per dare vita, insieme ad altri, alla Rete della pace) e il suo fondatore-coordinatore, Flavio Lotti: mancanza di regole e di democrazia interna, poca trasparenza nei bilanci economici.

Convocare la Perugia-Assisi «senza condividere l’appello con altre realtà associative rappresenta una scelta unilaterale che non possiamo condividere», scrivono i presidenti Agesci. Inoltre, aggiungono, la gestione economica mostra «diversi aspetti poco chiari come l’assenza di un bilancio certificato e la presunta presenza di alcuni debiti contratti nell’organizzazione delle precedenti marce», di cui le associazioni dovrebbero farsi carico. A Lotti vengono addebitate due aggravanti: la conduzione autoreferenziale della Tavola – che guida dalla fondazione, nel 1996 – e la candidatura alle elezioni politiche del 2013, con Rivoluzione civile di Ingroia. Fallita l’elezione, è tornato alla Tavola. Ma «gli incarichi non sono come “magliette” che si cambiano in continuazione», rilevano Laforgia e Spanò, per il «principio di ricambio democratico e vitale della cariche avevamo chiesto una sua sostituzione», che però non c’è stata. Quindi, pur continuando ad impegnare l’Agesci nella «promozione di una cultura della pace», abbiamo deciso di non partecipare alla Perugia-Assisi, per la mancanza delle «più elementari forme di rispetto reciproco, risoluzione dei conflitti e costruzioni di reti democratiche».

«Invenzioni calunniose», replica la Tavola della pace. E Lotti spiega che la Tavola opera come una «struttura informale», un luogo «di incontro, confronto e progettazione» per tutti coloro che «intendono impegnarsi per la pace». Non ha mai assunto le forme giuridiche di un’associazione, pertanto non ha statuto e regole formalizzate, puntualizza una nota della Tavola nella quale si dice che tale proposta è stata sempre «respinta dal comitato direttivo»; per cui Lotti e p. Nicola Giandomenico (francescano di Assisi, cofondatore) hanno costituito l’associazione Agenzia della pace – di cui la Tavola è uno dei progetti –, finanziata dal Coordinamento enti locali per la pace e dal Cipsi. «Nessuna associazione, Agesci compresa, ha mai contribuito economicamente al funzionamento della Tavola e alla realizzazione della Perugia-Assisi», i cui bilanci sono stati sempre consegnati non alle associazioni ma «agli enti pubblici finanziatori», aggiunge Lotti (ma dopo la lettera dell’Agesci sul sito della Tavola sono comparsi i bilanci delle ultime marce). E sulla sua guida, dice di aver «per lungo tempo sollecitato senza successo un ricambio e una maggiore assunzione di responsabilità da parte delle grandi associazioni nazionali». «Incontriamoci, discutiamo, ma poi ritroviamoci tutti sulla via della pace, da Perugia ad Assisi», conclude Lotti. Per l’Agesci però è un invito fuori tempo massimo. «Decidere di non partecipare non è stato semplice, ma al momento nella Tavola non esistono le minime condizioni di democrazia», ci spiegano Laforgia e Spanò.

Diversa la posizione delle altre associazioni (Acli, Arci, Legambiente e molte altre) che, con l’Agesci, hanno dato vita alla Rete della pace, le quali anzi confessano: la decisione dell’Agesci «ci ha spiazzato». Nessuna, pur rilevando nodi politici e organizzativi ancora da risolvere, ha abbandonato la Tavola. E tutte parteciperanno alla marcia, «sebbene con una piattaforma diversa», dice Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente. E annunciano una manifestazione pubblica a Firenze, il prossimo 21 settembre. In attesa e «in preparazione» della Perugia-Assisi.