La chiesa e i vescovi calati dall’alto

don Gennaro Matino
la Repubblica, 7.9.2014

Un nuovo vescovo è stato ordinato nel Duomo di Napoli, un bravo prete che collaborerà al governo pastorale della più grande diocesi del Meridione. L’occasione giunge propizia per provocare qualche spunto di riflessione circa la riforma della Chiesa cattolica, riforma non più procrastinabile, più volte annunciata a parole da papa Francesco, che non può non partire, a mio parere, che dalla scelta e dall’elezione dei vescovi. Riflessione non facile, per me rischiosa e tuttavia necessaria.

Non facile perché quando si parla di vescovi si tocca il potere e il potere tenta in tutti i modi di preservare se stesso e di organizzare la sua impenetrabilità: più resta immobile nella sua forma, più si accresce. Rischioso per chi scrive, perché potrebbe essere accusato di malcelata gelosia, di deliberato preconcetto per una sua eventuale mancata nomina. Legittimo pensarlo in tempo di libertà di pensiero, come legittimo da parte mia ritenere che valga la pena correre il rischio della critica, anche la più malevola, se l’argomento è decisivo per fare i conti con la propria coscienza credente e se è materia irrinunciabile per chi vorrebbe una Chiesa diversa.

Se oggi esiste nel mondo un problema di credibilità della Chiesa, questo passa innanzitutto per la mancata testimonianza della sua forma istituzione che si esalta soprattutto nella scelta e nell’attitudine al servizio pastorale, non sempre all’altezza, dei suoi ministri, primi tra tutti, i vescovi. La Chiesa afferma di essere gerarchica e se questo è vero, ed è evidente che esiste una Chiesa in crisi, ne consegue che la crisi non può essere sbrigativamente addebitata alla sua base, al dilagare delle mode contrarie al Vangelo, al mondo con i suoi vizi e la sua invadente contrarietà al sacro.

Non può essere responsabilità dei laici non riuscire a trovare parole capaci per dialogare con un tempo in rapida trasformazione, considerato che i laici nella chiesa, benché la loro generosa presenza, non hanno alcuna responsabilità nelle scelte di governo. Nella Chiesa più che altrove vale il detto piscis a capite foetet e siccome il Vangelo oggi fa fatica a passare, senza cercare alibi, dobbiamo riconoscere che questo avviene soprattutto per la responsabilità, per l’inadeguatezza della struttura ecclesiastica governata da uomini non sempre preparati alla sfida del Vangelo.
Se è vero che quando manca la testimonianza del credente la fede annunciata non è credibile, è ancora più vero che, se il magistero ecclesiastico non è all’altezza del ministero affidatogli, la libertà evangelica rischia di essere tradita.

Si potrebbe obiettare che la Chiesa ritiene che è lo Spirito Santo a determinare la scelta dei suoi ministri e, benché la fragilità degli uomini, lo Spirito non può sbagliare. Ma la Chiesa Cattolica si assume una grave responsabilità nell’affermarlo visto quante brutte figure fa fare allo Spirito Santo in giro per il mondo, dimenticando la parola del suo fondatore che metteva in guardia dalla bestemmia contro lo Spirito. Certamente nel mondo ci sono vescovi di grande spessore, ma è sotto gli occhi di tutti di quanta imbarazzante mediocrità sia pervasa la comunità episcopale e di come le diocesi e i fedeli debbano accontentarsi di quello che passa il convento.

Vescovi calati dall’alto, il più delle volte senza tenere conto del bene delle Chiese locali, senza fermarsi a pensare a quanto danno possano fare uomini inadatti alla vita di intere comunità, alla serenità pastorale di clero e laici. Scelte di nuovi vescovi determinate più per calcolo corporativistico, per rispondere alle pressioni di cordate e per soddisfare l’autorità narcisista degli stessi vescovi proponenti, che individuano i futuri candidati per germinazione cellulare, a mo’ di clonazione, perché possano essere quanto più uguali a chi li ha scelti, e di sicuro, come avviene nel procedimento di scissione, più deboli della cellula madre, tutti con una predisposizione ad un odioso autoritarismo utile a nascondere la propria ignoranza pastorale.

Quell’ignoranza ritenuta da Gregorio Magno la prima causa del tradimento dei ministri sacri tanto da affermare perentoriamente nella sua intramontabile “Regola Pastorale”: “Gli ignoranti non osino accostarsi al magistero”. E così per colpa del pastore si è disperso il gregge. Solo la riconsiderazione di una Chiesa come Popolo di Dio, voluta dal Concilio Vaticano II, consentirà al governo della chiesa, superati gli scarti di antico imperialismo, di ritrovare la sua originaria vocazione.