«La speranza è la risultante dell’amicizia»

Lorenzo Maria Alvaro
www.vita.it/ 15 settembre 2014

In occasione del ventunesimo anniversario dal martirio di Don Pino Puglisi è stata ritrovata dal nipote del Beato un’audiocassetta con un suo lungo discorso. Ne è stato reso noto solo un piccolo frammento. A Vita.it siamo risaliti ad uno scritto del prete di Brancaccio pubblicato sulla rivista Presenza del Vangelo nel 1991 in cui è contenuto il pensiero integrale del parroco

«Il testimone certe volte deve anche rischiare. E io sto rischiando un po’ grosso, forse, non lo so. Però, siccome credo nell’amicizia, mi ha commosso molto leggere questa frase, per questo ve la voglio leggere: “la speranza è la risultante dell’amicizia”».

Queste le poche parole che si possono ascoltare (dal sito di Repubblica.it) del lungo discorso di Don Pino Puglisi contenuto in un’audiocassetta ritrovata dal nipote del parroco-martire. Oggi ricorre il ventunesimo anniversario dall’assassinio del Beato. Vita.it è riuscita a risalire, a partire da questa frase, ad un bellissimo testo firmato da Puglisi sulla rivista “Presenza del Vangelo” (n. 5 del 1991).

Quale modo migliore per ricordarlo che ripubblicare il suo testo integrale, in cui traspare tutta la sua forza di parroco e uomo? Un esempio plastico e vivo del sacerdote, usando le parole di Papa Francesco, come «pastore che puzza dell’odore delle sue pecore».

Dalla testimonianza al martirio il passo è breve

“Siamo testimoni della speranza. Il testimone per eccellenza è Gesù ,il testimone fedele e verace (Cfr. Ap. 1,5). “Attraverso la sua morte e risurrezione Gesù testimonia la realtà dell’amore infinito di Dio che ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio” ( Gv. 3,16 ), e “dell’amore infinito del Figlio il quale ha un amore così grande da dare la vita per i propri amici” ( Cfr. v.15,13 ).

Questo amore di Dio infinito, eterno, da sempre rivolto verso l’uomo, è presente nella storia dell’umanità intera e di ogni uomo. Il discepolo è testimone, soprattutto testimone della risurrezione di Cristo, risorto e presente; Cristo che ormai non muore più ed è all’interno della Comunità cristiana, è presente nella storia dell’umanità. La testimonianza cristiana è una testimonianza che va incontro a difficoltà, una testimonianza che diventa martirio.

Dalla testimonianza al martirio il passo è breve, anzi è proprio questo che da valore alla testimonianza. La testimonianza fa penetrare nell’intima natura di Gesù Cristo, nel segreto del suo essere, nella realtà misteriosa della sua persona. Il testimone sa che il suo annunzio risponde alle attese più intime e vere dell’umanità intera e del singolo uomo.

L’uomo sperimenta che vivere è sperare, il presente è mediazione tra il già e il non ancora, tra il passato ed il futuro e chiaramente ognuno di noi costruisce il proprio futuro sulla base del proprio passato. La speranza è la risultante dell’amicizia nel senso più rigoroso del termine; solo gli amici sperano, solo dove c’è l’amicizia c’è speranza. Il testimone della speranza è colui che testimonia questa amicizia di Dio; colui che testimonia proprio un’amicizia fedele e a tutta prova di Dio stesso. Certo testimone della speranza è uno che esercita, potremmo dire, la vigilanza; la speranza è vigilante. Gesù parla veramente di attenzione alla presenza di lui alla sua venuta, ma Gesù è venuto, è presente; testimonianza della speranza è proprio una testimonianza vigilante, attenta alla presenza di Gesù. Il testimone è testimone di questa attenzione alla presenza del Signore; attenzione a Cristo che è presente anche dentro di sé.

Il testimone è testimone di una presenza del Cristo presente dentro, anzi dovrebbe diventare trasparenza di questa presenza; testimonia la presenza di Cristo attraverso questa sua vita vissuta proprio con questo desiderio costante di vivere in una comunione sempre più perfetta con lui, sempre più profonda con lui, in una fame e sete di lui.

A chi, nel profondo, conserva rabbia nei confronti della società che vede ostile, il testimone deve infondere speranza mostrando, insieme all’annunzio della presenza del Signore che ama, fiducia e donando fiducia. A chi è pieno di paure, di ansie, e quindi non vuole muoversi perché ha avuto esperienze negative, il testimone della speranza cerca di infondere certezza, risolutezza creativa, coraggiosa, indicando modi concreti e validi di servizio, facendo comprendere che la vita vale se donata. A chi è sfiduciato, impaziente, perché ciò che desidera tarda a realizzarsi, deve infondere senso di abbandono in lui, in Cristo. A chi è disorientato il testimone della speranza indica non cos’è la speranza, ma chi è la speranza: la speranza è Cristo e lo indica attraverso la propria vita orientata verso Cristo.

Testimone della speranza è colui che, attraverso la propria vita, cerca di lasciar trasparire la presenza di Colui che è la sua speranza: la speranza in assoluto in un amore che cerca l’unione definitiva con l’amato ed intanto gli manifesta questo amore nel servizio a lui, visto presente nella Parola e nel Sacramento, nella Comunità ed in ogni singolo uomo, specialmente nel più povero, finché si compia per tutti il suo Regno e lui sia tutto in tutti; manifesta, insomma, quel desiderio ardente di un amore che ha fame della presenza del Signore.

—————————————————————————-

Padre Pino Puglisi, Matteo Renzi e il miracolo delle sedie

Il manifesto, 14 settembre 2014

Il 15 settembre ricorre l’anniversario dell’assassinio di padre Pino Puglisi, 3p come lo chiamavano i suoi parrocchiani. Lo ricordiamo con un intervento di Mila Spicola scritto lo scorso anno in occasione del ventesimo della morte. Oggi nel quartiere Brancaccio di Palermo un istituto comprensivo porta il suo nome. Il Presidente del Consiglio inaugurerà l’anno scolastico visitando proprio la scuola dedicata a Don Pino.

Con l’arrivo del premier ecco realizzarsi un miracolo: l’istituto aveva lanciato l’allarme per la mancanza di 80 sedie (“speriamo che stavolta ci mandino le sedie”, aveva detto il vice preside Domenico Bucchieri), segnalando che da anni la scuola ha cercato di sopperire alla scarsità di questi arredi utilizzando quelle degli alunni assenti o quelle di plastica da giardino per permettere agli alunni di seguire le lezioni.

A quattro giorni dalla visita del premier, l’assessore alla Scuola del Comune di Palermo Barbara Evola annuncia: “Già dallo scorso 3 settembre quando sono stata contattata per le vie informali ho attivato immediatamente i miei collaboratori. Dopo l’esito negativo di una breve ricognizione degli arredi a nostra disposizione, con procedura d’urgenza abbiamo acquistato 80 sedie nuove dalla ditta palermitana Biga, che domani provvederà alla consegna”. Così finalmente tutti gli alunni sapranno dove sedersi per ascoltare Matteo Renzi.

Oggi (15/9/2013) sono 20 anni che Padre Pino è morto. Non c’era una scuola a Brancaccio. Padre Puglisi si battè come un forsennato per portare la scuola dentro il quartiere. Una scuola che avesse un bel campetto però. Basta una scuola a cambiar le cose? Quando incontro qualche mio ex alunno mi autoconvinco di sì. Se ci fossero solo le scuole e non l’intorno a remar contro. E tutto rema contro, a partire dalla superficialità o dalla supponenza con cui si affrontano problemi per lasciarli là intonzi.

Riprendo questo post e lo dedico ai miei colleghi e alle mie colleghe della scuola media Padre Pino Puglisi di Brancaccio, dove ho iniziato e di tutte le scuole a rischio, la falcone, la pertini, la d’acquisto … perché non si scoraggino mai e il loro sorriso nelle classi sia il sorriso di don Pino.

Parliamo sottovoce nelle classi e alziamo la voce fuori dalle classi, per difendere quei ragazzi e il loro diritto a un futuro migliore in una scuola migliore. Più di quanto facciamo già. Sfidando tutto e tutti. Non fidiamoci mai di chi definisce “eroi” i docenti delle scuole a rischio credendo che basti quello e poi non fa nulla. Servono azioni vere e competenti. Soldi e non propaganda. Per far cosa? Per togliere i ragazzi dalla strada e farli stare a scuola. Chiediamo il tempo pieno in tutte le scuole di periferia, scusaci don 3p se usiamo il tuo nome. Lo chiediamo con un bel sorriso. E se ciascuno lo chiede con un sorriso… forse… (Mila Spicola)

“C’è una prof di cui vorrei raccontarvi, ma lei mi ha fatto giurare che non lo avrei fatto. C’è un nome che vorrei fare per il mio pantheon del 2012 ma ogni promessa è un debito. Ho tentato di scrivere di qualcun altro, mia cara prof, ti giuro, ma non ci riesco. Mi tocca raccontarla lo stesso questa storia, senza fare nomi. La prof in questione mi direbbe che metto troppi punti, è una prof d’italiano.

E’ la storia normale di una persona non normale. Non vi dico la città, potrebbe essere Napoli, potrebbe essere Reggio Calabria, Catania, o Palermo, di certo è una periferia. La prof senza nome insegna in una normale scuola a rischio di periferia. Scuola periodicamente soggetta a normali atti di vandalismo e a normali cortei di autorità e tv che arrivano a solidarizzare, a impegnarsi, a promettere. Una periferia di cui conosciamo croste e scritte sui muri macinati dall’incuria, in cui la cura maggiore dell’uomo è posta nell’erosione voluta delle cose tangibili per riempire di fatti il vuoto di bisogni immateriali che non riescono a identificare.

Me li immagino di notte i ragazzi senza direzioni che grattano sui muri, che picconano, che ammassano rifiuti e gli danno fuoco, che saltano muri possibili perché quelli invisibili sono troppo alti per loro. E poi mi arrivano le telefonate della prof nei normali lunedì in cui si ritrovano per l’ennesima volta con la segreteria all’aria, i pc rovesciati a terra e i vetri frantumati. La normalità non è retorica e ci ritroviamo, dopo aver bestemmiato contro nessuno, io e la mia amica prof, fuori dalla scuola, osservando come le “grattate” riguardino pure quel catorcio di macchina che si ritrova. Averne una nuova o più accettabile? Tempo una settimana finisce rigata, con gli specchietti laterali distrutti e attaccati con lo scotch da imballaggio. “Cazzo, ma unt’affrunti a caminari cu sta cosa?” “Cu parlò m’affumò, talìati u to motirino”.

Prof che scherzano e intorno c’è lo scenario di CinicoTv. Chi ce lo doveva dire di finirci dentro per intero? Ma no, nessun lamento. E’ la normalità e questa prof ci sta benissimo. Così bene che quest’anno è entrata di ruolo in un bel liceo del centro e ha rifiutato. Vuoi mettere il divertimento di stare qua? Che non sai mai che accade? Pensa la noia di stare in un liceo a vita. “Tu sei pazza”. E’ pazza, come tutte le persone che si ostinano a fare il proprio dovere in modo regolare nel paese dell’irregolare e delle deroghe.

No, non vi racconto di lei, ho promesso, ma di normali commozioni. Grondanti di tenerezza da far schifo a me per prima. E invece non c’è niente di retorico, è la normalità. Che una prof si commuova per i temi che legge scritti dai suoi alunni, per i pensieri troppo grandi di ragazzi così piccoli, per le piccole opere d’arte disegnate o gli sgorbietti con dedica e te li scambi come le figurine, specialmente quando arrivano dal figliol prodigo. Quello che era andato via e te lo sei visto tornare una mattina.

“Guarda, guarda, leggi qua “io un giorno andrò via per ritornare””e non partono mai “Tu guarda questo quanto è bravo… Non imbrocca un verbo ma guarda che bella mano”.

Ce l’ho, ce l’ho, mi manca. Quello col padre in carcere? Ce l’ho. Quello che viene a scuola in pigiama e si riaddormenta sul banco? Ce l’ho. Quello che ti salta giù dalle finestre? Ce l’ho. Quella brava che sembra che frequenti un college? Ce l’ho. La madre dell’alunno che si presenta con la scopa in mano fuori dai cancelli perché te le vuol dare e non potendo entrare si scatena col cofano? Ce l’ho. E il fidanzato di quella della 3G che si pianta alla finestra e le manda baci da fuori e le lancia baci perugina e tu stancamente al bidello “maniscalco senta me lo allontana da fuori”? Ce l’ho. E l’alunno che ti ha aggredita? Ce l’ho. E la varicella a 42 anni e il morbillo a 44? Se vabbè. Giuro. Ce l’ho. Ce l’ho.

E quello che dice “basta con questa retorica delle scuole a rischio?” Cavolo, ne ho tre, no..forse di più.. E quello che si sente uno strafigo pazzesco nel dirti “sì, ma i prof di oggi, ai miei tempi…”? E il ministro che viene a visitare la scuola dopo l’atto vandalico, regala una targa al preside e una medaglietta al primo della scuola e però ti taglia il fondo di funzionamento d’istituto e non ci son soldi per i supplenti e dunque quel giorno la 3G entra a 2° ora e Mannino la prima ora se la passa a tirar pietre da fuori a quelli della 2F che gli hanno detto “troia tua madre”? E che fai? Lo sospendi così continua a tirar pietre da fuori? Te lo tieni in classe. Ce l’ho. Ce l’ho. E il prof che arriva e ti dice “ma siete pazzi?” rimane 15 giorni e se ne va? E quello che fa più danni che altro? Ce l’ho. Dai, qualche testa di cazzo c’è, normale statistica.

E ridiamo, eccome se ridiamo. E ci incazziamo. Eccome se ci incazziamo.

Mi manca. Andiamo alle figurine che mancano. Mi manca il fatto che altri pensino sia anormale. Il fatto che tutti pensino che siano cose eccezionali e dunque possono commuoversene per una frazione di secondo e poi tornare a non far nulla. Mi manca, cioè constato che, se il valore di un prof debba “essere misurato con le performance e i risultati degli alunni” (virgoletto perché son contraria), questa prof di cui non faccio il nome, sarebbe tra le peggiori, come i suoi ragazzi. E invece, nel nostro capovolto mondo normale delle scuole di periferia, è la migliore. Senza retorica, senza slogan, senza miserie e senza sorprese. Con un po’ di buona normalità mettiamoci d’ impegno e capovolgiamo l’Italia che sta sottosopra e rimettiamola in piedi, a partire dall’onestà, di vita e di giudizio.