Sul prossimo Sinodo sono aperte le scommesse

Sandro Magister
http://chiesa.espresso.repubblica.it/ 19 settembre 2014

Il sinodo sulla famiglia convocato in ottobre in Vaticano in una cosa somiglia a papa Francesco: non lascia prevedere come si svilupperà e tanto meno come andrà a finire.

Il papa l’ha voluto così: aperto alla libera discussione anche sui punti che più dividono, come ad esempio se dare o no la comunione ai cattolici divorziati e risposati con rito civile.

Bisogna tornare indietro più di quarant’anni, al 1971, ai primordi della storia di questo istituto, per trovare un altro sinodo anch’esso al cardiopalmo, quella volta sul superamento o no dell’obbligo del celibato per il clero della Chiesa latina.

Dopo una lunga e accesa discussione Paolo VI mise ai voti due soluzioni contrastanti tra i quali i padri sinodali dovevano scegliere.

La prima teneva fermo il celibato per tutti senza eccezioni. La seconda riconosceva al papa la facoltà di ordinare al sacerdozio “in casi particolari, per necessità pastorali e per il bene della Chiesa universale” uomini sposati di età matura e di vita specchiata.

Vinse la prima soluzione per 107 voti, mentre la seconda ne ebbe 87. Paolo VI volle che fossero pubblicati i risultati dei voti, compreso quello sul documento finale del sinodo, che fu approvato con 168 sì, 10 no, 21 sì con riserva e 3 astensioni.

Da allora l’obbligo del celibato non fu più rimesso ufficialmente in discussione. Nè più alcun sinodo si ritrovò a dover scegliere tra opzioni in così netto contrasto. L’interesse dei media per questi eventi precipitò a zero. Fino a quest’anno.

Veramente, un sussulto che tornò a far notizia ci fu, nel 1999.

Nel sinodo di quell’anno il cardinale Carlo Maria Martini chiese la convocazione di una sorta di concilio permanente, con sessioni a distanza ravvicinata su questioni scottanti come la contraccezione, il divorzio, il posto della donna nella Chiesa.

“Non sono un antipapa – diceva – ma un ‘ante’ papa che va avanti ad aprire la strada”. Indovinò. Perché oggi c’è un papa che sulle questioni sollevate da Martini non si capisce sempre cosa pensi personalmente, le ha però ritirate fuori tutte e rimesse in discussione.

Francesco ha cominciato col far distribuire, un anno fa, un questionario a ruota libera su tutte le questioni riguardanti la famiglia, dalla contraccezione alla comunione ai divorziati, dalle coppie di fatto ai matrimoni tra omosessuali. E alcuni episcopati nazionali, in testa quelli di lingua tedesca, ne divulgarono i risultati accendendo aspettative di liberalizzazioni nella disciplina della Chiesa.

Ma poi, soprattutto, Francesco riunì a Roma lo scorso febbraio un concistoro di cardinali che facesse da prova generale del prossimo sinodo. E a chi affidò la relazione introduttiva? Al cardinale tedesco Walter Kasper, già battagliero sostenitore nei primi anni Novanta di un superamento dei divieto della comunione ai risposati, ma sconfitto e ridotto al silenzio, all’epoca, da Giovanni Paolo II e da Joseph Ratzinger.

Di quel concistoro è stata resa nota solo la relazione di Kasper, tutto il resto è rimasto segreto. Ma a giudicare dalle successive sortite pubbliche di alcuni cardinali, si è capito che le resistenze ai cambiamenti proposti da Kasper sono state e continuano ad essere ampie, agguerrite e autorevoli.

Tra i resistenti usciti allo scoperto vi sono i cardinali Gerhard L. Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, Raymond L. Burke, Timothy M. Dolan, Marc Ouellet, George Pell, Fernando Sebastián Aguilar, Carlo Caffarra, Angelo Scola, tutti generalmente classificati tra i conservatori. Ma si sa che a far blocco con questi, contro Kasper, vi sono anche dei cardinali con fama di progressisti come l’austriaco Christoph Schönborn.

Tutti costoro si ritroveranno in sinodo a duellare senza risparmio di colpi con Kasper e i suoi non altrettanto solidi sostenitori.

Il fatto poi che i “reazionari” Caffarra, Scola e Aguilar siano stati chiamati a far parte del sinodo personalmente da Francesco ha raffreddato parecchio gli entusiasmi per l’attuale papa.

Il gesuita americano Thomas Reese, già direttore della rivista “America” e ascoltato maestro d’opinione, tifoso sfrenato di Jorge Mario Bergoglio all’inizio del pontificato, dopo quest’ultimo colpo è passato definitivamente al campo avverso, contro ciò che per lui è tradimento dell’attesa rivoluzione.

Ma la battaglia è appena cominciata. L’imminente sinodo non trarrà alcuna conclusione. Avrà un secondo round nell’ottobre del 2015. Dopo di che sarà non il sinodo ma papa Francesco a decidere che fare.

Contrariamente al passato, nel prossimo sinodo non saranno più distribuiti due volte al giorno dei bollettini in cinque lingue con i riassunti di tutti gli interventi dei padri sinodali, redatti da loro stessi.

Né ogni giorno per i giornalisti accreditati si terranno dei briefing in ristretti circoli linguistici, da parte di osservatori incaricati di riferire lo svolgimento della discussione.

Sarà unicamente il direttore della sala stampa vaticana Federico Lombardi, con due assistenti di lingua inglese e spagnola, a tenere giornalmente un briefing all’intero corpo dei giornalisti accreditati.

L’apparato tecnico che veniva approntato alla vigilia di ogni sinodo per la pubblicazione del bollettino nelle varie lingue è stato cancellato.

Il rischio è che si riproduca col prossimo sinodo ciò che avvenne durante la prima fase del Concilio Vaticano II: una divaricazione tra il sinodo reale, tenuto al segreto, e quello dei media, costruito su informazioni intenzionalmente fatte filtrare da agenti interessati.

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Il Papa: «Vescovi, non sprecate energie per contrapporsi»

Andrea Tornielli
http://vaticaninsider.lastampa.it

Quello che Papa Francesco ha pronunciato ieri incontrando i vescovi di nuova nomina è uno dei discorsi più significativi del pontificato, con il quale aggiunge nuovi tasselli a quell’identikit di pastore già tratteggiato in precedenti occasioni. È un testo che va letto integralmente, anche per comprenderne l’origine e la profondità.

Nel penultimo capoverso del testo si trova un passaggio illuminante anche per descrivere la realtà di queste settimane che precedono l’inizio del Sinodo. «Vedo in voi pastori in grado di ricomporre l’unità, di tessere reti, di ricucire, di vincere la frammentarietà. Dialogate con rispetto con le grandi tradizioni nelle quali siete immersi, senza paura di perdervi e senza bisogno di difendere le vostre frontiere, perché l’identità della Chiesa è definita dall’amore di Cristo che non conosce frontiera. Pur custodendo gelosamente la passione per la verità, non sprecate energie per contrapporsi e scontrarsi ma per costruire e amare».

Tra i temi che «stanno a cuore» al Papa, c’è innanzitutto quello della presenza stabile nella diocesi. Il vescovo non può essere sempre altrove. «Sento il dovere di ricordare ai pastori della Chiesa l’inscindibile legame tra la stabile presenza del vescovo e la crescita del gregge. Ogni riforma autentica della Chiesa di Cristo comincia dalla presenza, da quella di Cristo che non manca mai, ma anche da quella del pastore che regge in nome di Cristo. Non si tratta di una pia raccomandazione. Quando latita il Pastore o non è reperibile, sono in gioco la cura pastorale e la salvezza delle anime», chiarisce Francesco citando il Concilio di Trento.

«Non siate vescovi con scadenza fissata – ha detto ancora il Papa – che hanno bisogno di cambiare sempre indirizzo, come medicine che perdono la capacità di guarire, o come quegli insipidi alimenti che sono da buttare perché oramai resi inutili».

«Per abitare pienamente nelle vostre Chiese – ha aggiunto Francesco – è necessario abitare sempre in Lui e da Lui non scappare: dimorare nella sua Parola, nella sua Eucaristia, nelle «cose del Padre suo», e soprattutto nella sua croce. Non fermarsi di passaggio, ma lungamente soggiornare! Come inestinguibile rimane accesa la lampada del tabernacolo delle vostre maestose cattedrali o umili cappelle, così nel vostro sguardo il gregge non manchi di incontrare la fiamma del Risorto».

È da questo incontro vivo che nasce uno sguardo verso il mondo non ripiegato su se stesso. «Pertanto – dice ancora il Papa – non vescovi spenti o pessimisti, che, poggiati solo su se stessi e quindi arresi all’oscurità del mondo o rassegnati all’apparente sconfitta del bene, ormai invano gridano che il fortino è assalito. La vostra vocazione non è di essere guardiani di una massa fallita, ma custodi dell’Evangelii gaudium, e pertanto non potete essere privi dell’unica ricchezza che veramente abbiamo da donare e che il mondo non può dare a sé stesso: la gioia dell’amore di Dio».

Significativo anche il successivo passaggio: «Vi prego inoltre di non lasciarvi illudere dalla tentazione di cambiare il popolo. Amate il popolo che Dio vi ha dato, anche quando loro avranno “commesso grandi peccati”, senza stancarvi di “salire dal Signore” per ottenere perdono e un nuovo inizio, anche al prezzo di veder cancellate tante vostre false immagini del volto divino o le fantasie che avete alimentato circa il modo di suscitare la sua comunione con Dio. Imparate il potere umile ma irresistibile della sostituzione vicaria, che è la sola radice di ogni redenzione».

Francesco invita i vescovi a essere veri padri per i sacerdoti, a riceverli, accoglierli, ascoltarli e aiutarli. E questa paternità e disponibilità va manifestata e dilatata verso tutto il popolo di Dio, al quale non va propinato un «catalogo di rimpianti»: «Vi vorrei vescovi rintracciabili non per la quantità dei mezzi di comunicazione di cui disponete, ma per lo spazio interiore che offrite per accogliere le persone e i loro concreti bisogni, dando loro l’interezza e la larghezza dell’insegnamento della Chiesa, e non un catalogo di rimpianti. E l’accoglienza sia per tutti senza discriminazione, offrendo la fermezza dell’autorità che fa crescere e la dolcezza della paternità che genera. E, per favore, non cadete nella tentazione di sacrificare la vostra libertà circondandovi di corti, cordate o cori di consenso, poiché nelle labbra del vescovo la Chiesa e il mondo hanno il diritto di trovare sempre il Vangelo che rende liberi».

Infine, Francesco ha detto di vedere nei vescovi «le sentinelle, capaci di svegliare le vostre Chiese, alzandovi prima dall’alba o in mezzo alla notte per ridestare la fede, la speranza, la carità; senza lasciarvi assopire o conformare con il lamento nostalgico di un passato fecondo ma ormai tramontato. Scavate ancora nelle vostre sorgenti, con il coraggio di rimuovere le incrostazioni che hanno coperto la bellezza e il vigore dei vostri antenati pellegrini e missionari che hanno impiantato Chiese e creato civiltà».