Il lato oscuro del Cardinale

Emiliano Fittipaldi
http://espresso.repubblica.it, 25 settembre 2014

Secondo la dottrina, il papa possiede il dono dell’infallibilità. In Vaticano il dogma non si discute mai, pena la scomunica. «Nemmeno noi mettiamo in dubbio il pastore Francesco. Però qualche sua scelta ci sembra incomprensibile», spiega sottovoce qualche porporato che vive a Santa Marta. Stizzito, più che dalle possibili aperture su divorzio e comunione che si discuteranno nel prossimo sinodo, dal potere sempre più rilevante di qualche collega. «Su George Pell Bergoglio ha preso un granchio colossale», è il refrain ripetuto all’ombra delle sacre mura. «L’avevamo avvertito subito dell’inchiesta sulla pedofilia in Australia. Lui ha fatto di testa sua. Così, mentre il papa fa arrestare a casa sua l’ex nunzio polacco Jozef Wesolowski accusato di pedofilia, abbiamo Pell che paragona i preti maniaci ai camionisti che molestano le autostoppiste. È imbarazzante».

A pensar male si fa peccato, ma è evidente che qualche acrimonia è anche figlia dell’invidia per chi sta rivoluzionando gli enti finanziari della Chiesa. Epperò l’ex vescovo di Melbourne e di Sydney (che Bergoglio ha voluto prima dentro il C9 – il gruppo dei magnifici chiamati a consigliare il papa nel governo della Chiesa universale – poi come prefetto del nuovo superministero che gestirà tutte le finanze vaticane, la Segreteria dell’Economia) a fine agosto è stato davvero interrogato dalla Commissione d’inchiesta creata dal governo di Camberra per indagare su migliaia di casi di abusi sessuali su bambini perpetrati da sacerdoti, ecclesiastici e altri soggetti come maestri di scuola e professionisti.

Pell è nel mirino dei giudici per alcune decisioni prese quando era arcivescovo, e per lo schema di risarcimenti da lui introdotto a partire dal 1996, il cosiddetto “Melbourne Response”, che stabilì un protocollo con cui la diocesi doveva affrontare i casi di pedofilia. «In realtà si trattava di un sistema progettato per controllare le vittime, contenere gli abusi e proteggere la Chiesa», ha spiegato il ricercatore ed editorialista Judy Courtin, che insieme a molti altri osservatori considera le azioni di Pell volte – più che ad aiutare i sopravvissuti – a «minimizzare i reati, occultare la verità, manipolare, intimidire e sfruttare le vittime».

Di certo uno studio di Kieran Tapsell consultato da “l’Espresso” dimostra che in media le famiglie che hanno accettato lo schema di Pell hanno avuto solo 33 mila dollari australiani (circa 22 mila euro), mentre coloro che hanno ottenuto giustizia attraverso i tribunali ordinari hanno intascato risarcimenti di circa 382 mila dollari.

Chiamato a rispondere del suo operato, Pell s’è giustificato paragonando la Chiesa a un’azienda di tir: «Da un punto di vista legale non credo che una compagnia di trasporti possa essere considerata responsabile delle azioni dei suoi camionisti». Una frase che ha choccato le vittime presenti all’udienza e i giornali di mezzo mondo (tranne quelli italiani, che non hanno scritto una riga sulla vicenda), provocando un diluvio di polemiche.

Se le persone violentate da sacerdoti australiani hanno firmato lettere in cui parlano di «vergogna e oltraggio», qualche columnist ha ipotizzato che il cardinale voglia solo proteggere i soldi della diocesi «nascosti in un trust che controlla immobili» da possibili risarcimenti milionari ordinati dai giudici.

A Roma ci si interroga su quali saranno le mosse di Francesco, che ha paragonato di recente i preti pedofili alle «messe nere»: padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, sentito da “l’Espresso” preferisce rifugiarsi dietro un secco «no comment».

Le prime controversie sulla figura di Pell risalgono a oltre dieci anni fa.

Nel 2003, quando Giovanni Paolo II decise di promuoverlo con la porpora, furono molti a biasimare apertamente Wojtyla. Ultraconservatore, oratore schietto dotato di grande ironia, Pell qualche mese prima era stato infatti costretto ad autosospendersi dalla carica di arcivescovo, dopo essere stato accusato di abusi sessuali su un ragazzino di 12 anni. Un’infamia da cui fu scagionato nel 2002 per mancanza di prove. Non solo. Se nel 2008 un’altra presunta vittima incolpò il cardinale di aver coperto un sacerdote maniaco (alcune lettere assai imbarazzanti firmate da Pell furono rese pubbliche da un programma d’inchiesta della tv nazionale Abc), i progressisti ricordano che il porporato ex campione di rugby è stato portato in tribunale anche da un ex chierichetto, John Ellis. Nel 2007 i legali del cardinale furono costretti ad ammettere gli abusi compiuti da un prete poi deceduto, ma riuscirono a convincere la Corte d’appello che «la Chiesa non esiste come entità legale». La causa è costata alla diocesi di Pell la bellezza di 750 mila dollari, ma la sentenza ha permesso alla Santa Sede di risparmiare milioni di dollari di risarcimenti.

Difficile battere uno come Pell. Furbo, intelligente e scaltro, è figlio di un barista di Ballarat, città di 90 mila anime a cento chilometri da Melbourne. Affabile con tutti (capacità appresa servendo alcolici dietro il bancone del pub di famiglia), riuscì da bambino a sopravvivere a un tumore al collo, appassionandosi negli anni al rugby, al canottaggio e al pugilato. Iniziò a frequentare il seminario nel 1960, poi volò a Oxford dove ottenne un dottorato in storia della Chiesa. Nel 1996 il grande salto, quando viene nominato – su volere della gerarchia vaticana che ne apprezzava l’intransigenza dottrinaria – vescovo di Melbourne.

Capace di raddrizzare i conti della diocesi grazie all’aiuto del suo economo di fiducia Danny Casey (che Pell vuole ora con sé alla Segreteria dell’Economia, qualcuno parla già di un contratto a sei cifre, più casa e autista), negli anni si fa notare per dichiarazioni sorprendenti: da quelle sui preti pedofili («È colpa anche del celibato e della diffusione della pornografia») a quelli sull’Islam («è una religione guerresca per natura»), fino alle aspre critiche al dimissionario Benedetto XVI. Ma sono le indagini della Commissione speciale a far finire il nome di Pell sui giornali anglosassoni: davanti ai giudici sono molte le vittime a tirarlo in ballo per i suoi modi spicci e intransigenti. Tra loro c’è Anthony Foster, padre di due bambine molestate da un prete (una si suicidò, l’altra è su una sedia a rotelle dopo un’incidente causato dall’alcolismo) che definì a verbale Pell come un uomo con «una sociopatica mancanza di empatia».

Visto il clima, il ragazzo che nei sogni del padre doveva diventare un medico o un grande avvocato decide che è arrivato il momento di lasciare l’emisfero australe. Nel 2010 prova a trasferirsi a Roma, e chiede a Ratzinger di nominarlo prefetto della Congregazione dei Vescovi. L’operazione non riesce. Arrivato Francesco, l’ex rugbista gioca davanti al nuovo papa nuove carte, e si presenta come esperto di finanza: dopo gli scandali a gogo, il suo piano di rifondazione dello Ior e dell’Apsa piace a Bergoglio, che lo nomina prima nel C9, poi prefetto della potente Segreteria dell’Economia.

Dopo l’ultima udienza davanti alla Commissione, però, sembra che il mood stia cambiando. Il segretario di Stato Piero Parolin e i pochi uomini dell’ex segretario di Stato Tarcisio Bertone ancora in auge come Giuseppe Versaldi e Domenico Calcagno (presidente dell’Apsa) hanno fatto fronte compatto, e stanno tentando di limitare l’azione dell’australiano. Con qualche successo: lo scorso 8 settembre papa Francesco, senza avvertire Pell, ha autorizzato Calcagno a mettere mano alla riforma dell’ente che amministra il patrimonio vaticano, che dovrebbe diventare una sorta di Banca Centrale del Vaticano. Da ora in poi la vita del ranger sarà più difficile: Francesco, la gaffe sui pedofili, non la perdonerà facilmente