Tante commissioni, poche risposte. La via stretta di papa Francesco

Valerio Gigante
Adista Notizie n. 34 del 04/10/2014

Che a papa Francesco piacciano le commissioni è ormai fuori di dubbio. Quando c’è una questione spinosa da affrontare o una riforma da elaborare, il papa nomina un gruppo di esperti o di prelati e li mette a studiare il problema. Una scelta che ha indubbiamente il vantaggio di ottenere immediatamente un enorme impatto mediatico, con annessi titoli di giornali e telegiornali che annunciano “svolte” e “rivoluzioni”, anche se esse sono ancora tutte da progettare (e da approvare). E poi tutte queste commissioni danno all’esterno la sensazione di una Chiesa che pensa, progetta e lavora, che si muove e si rinnova, sottraendo agli “odiati” (dal senso comune) uffici e dicasteri di Curia, materie di solito di loro stretta competenza.

Così è – almeno in parte – anche per la Commissione speciale appena insediata dal papa con lo scopo, recita il comunicato della Sala Stampa vaticana che l’annunciava il 20 settembre scorso, «di preparare una proposta di riforma del processo matrimoniale, cercando di semplificarne la procedura, rendendola più snella e salvaguardando il principio di indissolubilità del matrimonio». Insomma, la Commissione dovrebbe occuparsi di rendere più rapido lo scioglimento del matrimonio. Sicuramente accelerando l’iter canonico; forse (ma le parole con cui l’organismo è stato presentato non sembrano prevederlo) anche allargando le maglie che rendono possibile la dichiarazione di nullità.

Il “vincolo” del matrimonio

Del resto, era stato lo stesso papa Francesco, il 29 luglio 2013, durante una conversazione con i giornalisti sul volo che dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro lo riportava a Roma, a dire chiaramente che il tema della nullità andava approfondito: «Il mio predecessore a Buenos Aires, il cardinale Quarracino diceva sempre: “per me la metà dei matrimoni sono nulli, perché si sposano senza sapere che è per sempre, perché lo fanno per convenienza sociale”». Ma anche Benedetto XVI aveva in diverse occasioni fatto cenno alla necessità di studiare meglio il caso particolare di un «sacramento celebrato senza fede», come disse nel discorso tenuto di fronte al clero di Aosta nell’estate del 2005. D’altra parte, però, papa Ratzinger, come in precedenza anche Wojtyla, aveva in più occasioni messo in guardia i giudici rotali dall’emettere sentenze solo per accontentare la pressante richiesta di chi vorrebbe comunque mettersi in regola con la disciplina ecclesiastica. «Occorre rifuggire – disse ad esempio nel suo discorso alla Rota Romana del 29 gennaio 2010 – da richiami pseudopastorali», «in cui ciò che conta è soddisfare le richieste soggettive per giungere ad ogni costo alla dichiarazione di nullità, al fine di poter superare, tra l’altro, gli ostacoli alla ricezione dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia».

Da anni la prospettiva che una parte della gerarchia caldeggia, e che gli ultimi due papi sembrerebbero avallare, è quella di consentire a tanti credenti separati o divorziati di potersi sposare una seconda volta in Chiesa, senza un cambiamento delle norme, semplicemente aumentando la casistica che permette di affermare la mancanza di validità del primo legame. Una soluzione che consentirebbe al Magistero di mantenere intatta la dottrina, ma di affrontare comunque la spinosa ed ormai non rinviabile questione delle nuove famiglie, sempre più diffuse anche tra i credenti.

C’è poi da aggiungere che i tribunali ecclesiastici esistono e funzionano solo in alcuni Paesi del mondo, mentre ne sono prive ampie regioni dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. Allo stato attuale esiste quindi anche una palese discriminazione tra chi, avendo la possibilità di accedere alla via giudiziaria, riesce a far dichiarare nullo il proprio matrimonio e chi, pur nelle stesse identiche condizioni, non ha la possibilità di dimostrare di fronte al giudice la nullità del proprio legame. Che resta valido – secondo il diritto canonico – fino a che non sia stato provato il contrario.

Due interpretazioni opposte

Tutte queste considerazioni non possono che aver influito sulla scelta del papa di istituire una nuova commissione. Più complesso capire come mai questa scelta sia stata fatta proprio alla vigilia di un Sinodo che – occupandosi della famiglia – avrebbe potuto legittimamente anche discutere di nullità del matrimonio e di processi canonici.

Come al solito, stampa e commentatori hanno salutato l’iniziativa di Francesco con entusiasmo. In molti hanno infatti interpretato l’ufficializzazione del nuovo organismo come un segnale al Sinodo affinché lavori per elaborare proposte innovative anche su altri temi, come quello dei divorziati risposati. Inoltre, secondo altri osservatori, aver assegnato ad una commissione l’incarico di occuparsi dei processi di nullità sarebbe un modo per sottrarre all’ala “conservatrice” del Sinodo un possibile pretesto per evitare di affrontare in modo diretto il problema dell’accesso ai sacramenti per chi convive o ha contratto nuove nozze civili. Ipotizzando magari per queste persone una via più rapida nello scioglimento del precedente legame.

La decisione del papa si presta però, come Francesco ci ha (forse volutamente) abituati, anche ad una interpretazione di segno opposto. Non è infatti da escludere che il papa istituendo la Commissione abbia voluto condizionare in senso conservatore gli orientamenti sinodali. Anzitutto perché il nuovo organismo sottrae al libero dibattito dei padri sinodali un argomento pure strettamente coerente al tema per il quale il Sinodo è stato convocato. E poi perché il fatto di aver privilegiato il tema della nullità dei matrimoni potrebbe far pensare ai padri sinodali che Francesco voglia indicare nella “riduzione del danno” il modo per porre rimedio allo scisma sommerso che attraversa la Chiesa, divisa tra una dottrina predicata ed una prassi, di segno assai diverso, concretamente vissuta dalla gran parte dei fedeli cattolici.

Per ora di certo c’è solo l’elenco dei membri designati dal papa. Anzitutto mons. Pio Vito Pinto, decano del Tribunale della Rota Romana, che presiederà la Commissione. Pinto in anni recenti si è segnalato per essere tra gli ecclesiastici di Curia più spiccatamente “bertoniani”. Inoltre nel 2009 – stando ad una lettera scritta da Dino Boffo al segretario del papa, Georg Gänswein, e pubblicata nel 2012 all’interno del libro-inchiesta Sua Santità da Gianluigi Nuzzi – avrebbe contribuito a diffondere la voce dell’omosessualità dell’ex direttore di Avvenire, che fu poi all’origine del cosiddetto “caso Boffo”.

Nella Commissione dominano gli ecclesiastici. Ci sono infatti un cardinale, l’italiano Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi; due vescovi, il gesuita spagnolo Luis Francisco Ladaria Ferrer, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, e Dimitrios Salachas, esarca apostolico per i cattolici greci di rito bizantino; tre uditori di Rota, ecclesiastici, il francese Maurice Monier, l’indiano Leo Xavier Michael Arokiaraj e l’argentino Alejandro Bunge; tre religiosi, il francescano austriaco Nikolaus Schöch, promotore di giustizia sostituto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, il domenicano slovacco Konštanc Miroslav Adam, rettore della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino, e il francescano cileno Jorge Horta Espinoza, decano della Facoltà di diritto canonico della Pontificia Università Antonianum. Ma un solo laico, Paolo Moneta, già docente di Diritto canonico presso l’Università di Pisa.