La dottrina e la famiglia. Al sinodo, i vescovi tra due fuochi

Eletta Cucuzza
Adista Notizie n. 36 del 18/10/2014

Fra le varie questioni che riguardano la famiglia e che sono all’attenzione del Sinodo che si sta svolgendo in Vaticano (5-19 ottobre), è da quella scottante dei divorziati risposati che, nella Relatio ante disceptationem pronunciata in apertura, il 6 ottobre, dall’arcivescovo di Esztergom-Budapest card. Péter Erdő, traspare meglio l’indirizzo che, salvo sorprese, si vuol dare alla discussione dei 253 partecipanti. La domanda cui devono studiare una risposta aggiornata è: si può o no dare la comunione ai divorziati risposati che sono in peccato di concubinaggio? La questione è diventata controversa per il vertiginoso ricorso all’istituto del divorzio, ormai universalmente ammesso dalle legislazioni civili. La dottrina della Chiesa è rimasta invece ferma sul “no”: il matrimonio è un sacramento e, come tale, incancellabile, irripetibile e dunque indissolubile. A meno che non abbia un “vizio” in origine: che in vario modo non siano stati sinceri i contraenti al momento dello scambio della promessa. Vuol dire che il sacramento non c’è, non c’è mai stato, perciò la Chiesa può annullare il matrimonio sacramentale e ripristinare le condizioni per consentire ulteriori “vere” nozze. Ma il dissenso sulla dolorosa esclusione dall’eucarestia dei tanti credenti in situazione di “concubinaggio”, è ormai interno allo stesso entourage ecclesiastico e con un impatto dirompente: ben si è visto quanto divisivo e aspro dibattito tale esclusione abbia già causato prima dell’avvio dell’Assemblea sinodale (v. Adista Notizie n. 35/14). Un’ipotesi di soluzione prospettata, forse caldeggiata, dal card. Erdő è rendere più agevole e accessibile il percorso degli annullamenti matrimoniali, che potrebbe per ciò stesso “coprire” un maggior numero di divorzi.

Il cardinale nella Relatio suggerisce anche un’altra strada, quella di guardare alla prassi delle Chiese ortodosse. Ma è un’indicazione risolta in poche righe, come di basso profilo: «L’Instrumentum Laboris – ha detto – segnala che certe risposte suggeriscono di esaminare più approfonditamente la prassi di alcune delle Chiese ortodosse, che prevede la possibilità di seconde nozze e terze connotate da un carattere penitenziale (cf. n. 95). Detto studio si rende necessario per evitare interpretazioni e conclusioni non sufficientemente fondate. Questo tema sottolinea l’importanza dello studio della storia della disciplina della Chiesa in Oriente e in Occidente. A questo riguardo si potrebbe riflettere sul possibile contributo della conoscenza della tradizione disciplinare, liturgica e dottrinale delle Chiese orientali».

Un cammino, questo, che potrebbe o dovrebbe presumere – e nella Chiesa se ne ha un terrore “sacro” – un cambiamento nella dottrina dell’indissolubilità del matrimonio sacramentale. Nella Relazione iniziale Erdő ne ha accennato, come si vede, en passant, forse per non urtare suscettibilità conservatrici e/o pavide. Nella conferenza stampa che ha seguito la sua riflessione, non ha potuto invece evitare di parlarne con maggiore assertività: i problemi pastorali, ha detto, «coinvolgono gli aspetti dottrinali. Nessuno vuole escludere gli aspetti dottrinali. Qui non basta guardare solo le statistiche, ma affrontare questioni di dottrina». In fin dei conti, a proposito di libertà di dibattito, papa Francesco, nel saluto ai partecipanti ad inizio dei lavori sinodali, era stato chiaro: «Dopo l’ultimo Concistoro (febbraio 2014), nel quale si è parlato della famiglia – ha raccontato – un cardinale mi ha scritto dicendo: peccato che alcuni cardinali non hanno avuto il coraggio di dire alcune cose per rispetto del papa, ritenendo forse che il papa pensasse qualcosa di diverso. Questo non va bene, questo non è sinodalità, perché bisogna dire tutto quello che nel Signore si sente di dover dire: senza rispetto umano, senza pavidità. E, al tempo stesso, si deve ascoltare con umiltà e accogliere con cuore aperto quello che dicono i fratelli».

Annullate, fratres. La via amministrativa

Per tornare alla Relatio ante disceptationem, assai più argomentata è stata la questione della «prassi canonica delle cause matrimoniali» con il suggerimento di ampliare la «via extra-giudiziale» per rispondere «all’ampia richiesta di semplificazione delle cause matrimoniali». Constatata la «diffusione della mentalità divorzista», il relatore generale del Sinodo ha detto che «non sembra azzardato ritenere che non pochi dei matrimoni celebrati in Chiesa possano risultare non validi. Per accertare in maniera efficace e snella l’eventuale nullità del vincolo sembra, a non pochi, che sia da rivedere, in primo luogo, l’obbligatorietà della doppia sentenza conforme per la dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale, procedendo al secondo grado solo se c’è appello da una o da entrambe le parti ovvero da parte del difensore del vincolo, entro un tempo definito. Un eventuale soluzione di questo genere dovrebbe, in ogni caso, evitare qualsiasi meccanicità» nonché – peggio – «l’impressione della concessione di un divorzio». In secondo luogo, «accade frequentemente che le parti che celebrano un matrimonio canonico, lo fanno riservandosi il diritto di divorziare e contrarre un altro matrimonio in presenza di difficoltà nella convivenza. Tale simulazione, anche senza la piena consapevolezza di questo aspetto ontologico e canonico, rende invalido il matrimonio. Per provare detta esclusione dell’indissolubilità basta la confessione della parte simulante confermata dalle circostanze ed altri elementi (cf. CIC cann. 1536 § 2, 1679). Se è così già nel processo giudiziale, è pensabile, per alcuni, la produzione della stessa prova nel quadro di un processo amministrativo. Inoltre, secondo proposte autorevoli, occorrerebbe valutare la rilevanza dell’intenzione della fede dei nubendi in ordine alla validità del matrimonio sacramento». «Questa via extra-giudiziale – ha illustrato Erdő – potrebbe prevedere, secondo loro, un itinerario di conoscenza, discernimento e approfondimento che, nel caso di presenza delle condizioni di invalidità, potrebbe culminare nella dichiarazione di nullità da parte del vescovo diocesano, il quale andrebbe anche a proporre un cammino di presa di coscienza e conversione alla persona interessata in vista di un eventuale futuro matrimonio, per non ripetere la stessa simulazione».

I paletti alla misericordia

Nella relazione con i divorziati risposati la Chiesa comunque non deve mai accantonare la misericordia, che, ha ricordato Erdő, è «tema centrale della rivelazione di Dio», «importante per l’ermeneutica dell’agire ecclesiale». «Naturalmente – ha specificato – essa non elimina la verità e non la relativizza, ma conduce a interpretarla correttamente nel quadro della gerarchia delle verità. Non elimina neanche l’esigenza della giustizia. La misericordia non toglie quindi neppure gli impegni che nascono dalle esigenze del vincolo matrimoniale. Questi continuano a sussistere anche quando l’amore umano si è affievolito o è cessato» (ma questa, secondo molti studiosi, è tutta da discutere a livello di teologia sacramentale). «Ciò significa – ha ribadito il cardinale – che, nel caso di un matrimonio sacramentale (consumato), dopo un divorzio, mentre il primo coniuge è ancora in vita, non è possibile un secondo matrimonio riconosciuto dalla Chiesa».

Omosessualità: cosa c’è da discutere?

La questione legata alla dottrina e alla prassi della Chiesa verso l’omosessualità nella Relatio di Erdő non lascia intravedere nessuna novità. Poche e secche parole: «Dall’Instrumentum Laboris emergono due aspetti chiari riguardo l’omosessualità. Prima di tutto, un ampio consenso riguardo al fatto che persone di tendenza omosessuale non devono essere discriminate, come ribadisce anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (nn. 2357-2359). In secondo luogo emerge con altrettanta chiarezza che da parte della maggioranza dei battezzati – e della totalità delle conferenze episcopali – non è attesa una equiparazione di questi rapporti con il matrimonio tra uomo e donna. Neppure le forme ideologiche delle teorie del gender trovano consenso presso la stragrande maggioranza dei cattolici». Tutto qua.

Procreazione responsabile

Più aperta alla discussione, invece, la questione della regolazione delle nascite, a partire da quell’enciclica di Paolo VI, l’Humanae vitae che vieta qualsiasi contraccettivo non “naturale”. Secondo Erdő, «è possibile una riproposta positiva del messaggio dell’Humanae vitae attraverso un’ermeneutica storica adeguata, che sappia cogliere i fattori storici e le preoccupazioni che hanno retto la sua stesura». Ha citato quello che lo stesso Paolo VI ne disse nell’udienza del 31 luglio 1968: «È il chiarimento di un capitolo fondamentale della vita personale, coniugale, familiare e sociale dell’uomo, ma non è la trattazione completa di quanto riguarda l’essere umano nel campo del matrimonio, della famiglia, dell’onestà dei costumi, campo immenso nel quale il Magistero della Chiesa potrà e dovrà forse ritornare con disegno più ampio, organico e sintetico». Il cardinale vi ha aggiunto un’ulteriore indicazione nella prospettiva di un possibile cambiamento: al n. 34 della Familiaris consortio, si ricorda che «l’uomo in quanto essere storico “conosce ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita”». (eletta cucuzza)

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SINODO E MEDIA: L’OPACA “TRASPARENZA” SUI CONTENUTI DEL DIBATTITO

Eletta Cucuzza
Adista Notizie n. 36 del 18/10/2014

Una premessa. Durante lo svolgimento dei Sinodi, è sempre stato costume di Adista informare sul dibattito che avviene all’interno dell’Aula riportando contenuti, sintetizzati o virgolettati, di interventi significativi dei partecipanti. Lavoravamo sulla base (ma non solo) dei testi – tutti i testi, con i relativi autori – che la Segreteria del Sinodo pubblicava: un servizio indispensabile, dato che i giornalisti non erano, e non sono, ammessi a presenziare ai lavori. A questo eravamo pronti in occasione dell’attuale Sinodo speciale per la Famiglia (v. notizia precedente; v. Adista Notizie nn. 15, 26, 33 e 35), ma amara è stata questa volta la sorpresa riservata ai media da Oltretevere: quanto detto dagli oratori viene sommariamente riassunto con brevi cenni, ovviamente insufficienti rispetto ad un testo breve o lungo, ma argomentato, e soprattutto sempre con soggetto impersonale, tipo: «È stato auspicato…»; «Si è sottolineato…»; «È emersa la necessità…».

Ma il “chi dice cosa” è fondamento e garanzia di correttezza dell’informazione. Non sono sufficienti le conferenze stampa quotidiane, le interviste o le frasette messe in tweet fosse pure da ogni membro sinodale. Vogliamo seguire i lavori all’interno dell’Aula, anche con tutte le limitazioni – e ce n’erano – esperite in passati sinodi. Ci stiamo invece scontrando con incompletezza ed evasività, perfino incertezza dell’autenticità delle dichiarazioni che leggiamo: come si fa ad essere sicuri che non siano state operate per esempio delle censure (ma basterebbero eventuali possibili incomprensioni) sul canovaccio del dibattito avvenuto? Sarà una domanda poco elegante o di ingiustificata malignità, ma in tale situazione ci sembra legittima. E dove sono la trasparenza, l’apertura al mondo, il dialogo, il rapporto diretto, la preminenza dell’essere umano sulle strutture che papa Francesco non si stanca di invocare?

Divorziati, risposati, annullati, coppie di fatto

Sic stantibus rebus, il resoconto del dibattito dei primi tre giorni di lavoro assembleare sui temi più “caldi” non può che essere il seguente.

Qualcuno – o alcuni dei padri sinodali – ribadendo l’indissolubilità del sacramento del matrimonio, avrebbe sottolineato che la verità è Cristo e non un insieme di regole, ma che queste regole vanno osservate cambiando le forme concrete della loro attuazione. Tale dottrina va applicata con discernimento spirituale. Dei divorziati risposati comunque si dovrà parlare, con la prudenza richiesta dalle grandi cause. C’è anche chi il divorzio l’ha solo subìto.

Quanto a dare la comunione a cotanti peccatori, sembra che qualcuno abbia ribadito che l’eucarestia «non è il sacramento dei perfetti, ma di coloro che sono in cammino», secondo le parole del sunto sinodale. Chissà chi è questo “vescovo” che sembra aver già deciso in cuor suo di perdonare i divorziati risposati. E chissà chi è stato a richiamare che le situazioni imperfette bisogna considerarle con rispetto: ad esempio le unioni di fatto (anche le omo? Non si evince dalla traccia diffusa) in cui si convive con fedeltà ed amore: anche esse presentano elementi di santificazione e di verità.

Ai divorziati risposati bisogna inoltre far comprendere, avrebbero ribadito alcuni, che la non ammissione al sacramento dell’eucaristia non elimina del tutto la possibilità della grazia in Cristo e che è importante anche la comunione spirituale. Pare che altri abbiano messo le mani avanti: queste proposte manifestano dei limiti e certamente non vi sono soluzioni “facili”.

Per quanto riguarda l’annullamento del vincolo matrimoniale, alcuni (quanti? Chi?) hanno appoggiato la soluzione avanzata nella Relatio introduttiva (v. notizia precedente).

Più vescovi avrebbero messo in luce la necessità di adeguare il linguaggio della Chiesa affinché, leggiamo, «la dottrina sulla famiglia, la vita, la sessualità sia compresa nel modo giusto: bisogna entrare in dialogo con il mondo» e «il dialogo si può basar su temi importanti quali la pari dignità fra uomo e donna e il rifiuto della violenza».

«Un altro invito – virgolettiamo dalla traccia della Segreteria del Sinodo – ha riguardato la necessità di riflettere anche sul clero sposato delle Chiese orientali, che spesso vive anch’esso delle “crisi familiari”, che possono giungere alla domanda di divorzio» (chissà cosa avrà mai voluto dire, nel contesto di una riflessione sulla famiglia, l’anonimo padre sinodale!).

L’omosessualità al Sinodo

Ogni sessione dei lavori sinodali (due al giorno e sono dette congregazioni) è dedicata ad un tema tratto dall’Instrumentum laboris e introdotto da uno dei presidenti delegati che sono tre: il card. André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, il card. Luis Antonio G. Tagle, arcivescovo di Manila, e il card. Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida, presidente della Conferenza episcopale brasiliana.

Le brevi presentazioni sono pubblicate integralmente dal bollettino del Sinodo. Damasceno Assis ha introdotto la sesta congregazione (8/10, pomeriggio) su «Le situazioni pastorali difficili (II parte dell’Instrumentum, cap. 3)», ovvero, come egli ha specificato, da una parte i molti tipi di «situazioni familiari difficili» e «dall’altra le unioni tra persone dello stesso sesso». In relazione alle quali la discussione sinodale «si apre ai seguenti temi: il riconoscimento civile di tali unioni (nn. 110-112 dell’Instrumentum); la valutazione che ne fanno le Chiese particolari (nn. 113-115); alcune indicazioni pastorali in proposito (nn. 116-120)». Ha anche aggiunto empatiche parole sull’accoglienza che la Chiesa deve riservare ai gay, subito riportate dalla stampa. Ha detto: «Lungi dal chiuderci in uno sguardo legalista, vogliamo dunque calarci nel profondo di queste situazioni difficili per accogliere tutti coloro che vi sono coinvolti e per far sì che la Chiesa sia la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa».

E la risposta dei padri sinodali? In questa sesta congregazione, come se si fossero trovati in mano una patata bollente. Pare si siano limitati a dire il sempre detto: «Anche per la pastorale per le persone omosessuali si è insistito sulla importanza dell’ascolto, e anche di gruppi di ascolto», leggiamo nella traccia vaticana. (eletta cucuzza)