Guardate con sospetto, ma ottimiste sul futuro. Indagine sulle teologhe in Italia

Ingrid Colanicchia
Adista Notizie n° 39 del 8 novembre 2014

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando le università pontificie erano un mondo chiuso appannaggio esclusivo di una fetta – quella composta da chierici e religiosi – dell’universo maschile. Ci è voluto quello straordinario sconvolgimento che fu per la Chiesa e per la società il Concilio Vaticano II per aprire le porte della teologia a tutti: sacerdoti e seminaristi, religiosi e religiose, laici, uomini e donne.

Ma qual è la situazione oggi, a distanza di 50 anni? Quante sono le teologhe cristiane nel nostro Paese? Di cosa si occupano? Che accoglienza ha la loro produzione?

Tenta, con successo, di rispondere a queste domande Carmelina Chiara Canta – docente di Sociologia della religione all’Università Roma Tre, dove dirige il Laboratorio sul Pluralismo culturale – nel suo ultimo lavoro, Le pietre scartate. Indagine sulle teologhe in Italia (Franco Angeli, 2014, euro 29), che presenta le risultanze della ricerca condotta tra il 2012 e il 2013 su questo “mondo sommerso” attivo e vivace. Delle 335 teologhe contattate, 27 hanno comunicato di non avere i requisiti per poter far parte della ricerca: delle 308 rimanenti, 181 hanno compilato almeno parzialmente il questionario. Un numero che, rileva Canta, «autorizza a parlare di un campione probabilistico o significativo».

Tra queste, hanno dichiarato la loro appartenenza religiosa in 165 (16 non hanno dato alcuna risposta e otto hanno dato una risposta plurima). La parte del leone, come prevedibile, la fanno le cattoliche (93%): l’86% è di rito latino; il 2% è composto da cattoliche di rito orientale; il 4% da vetero-cattoliche; una (0,6%) fa parte della Chiesa ortodossa rumena e una (0,6%) della Chiesa orientale dei due-tre concilii non calcedonesi (copti, armeni, ecc.). A queste si aggiungono quattro valdesi, una anglicana e una battista.

Il 50% delle teologhe che hanno risposto al questionario ha un’età compresa tra i 46 e i 65 anni. A questa fascia di età segue quella delle teologhe che hanno tra i 23 e i 45 anni (35%); il restante 15% ha più di 65 anni: dati che si spiegano con il fatto che l’ingresso delle donne nelle università pontificie è avvenuto dopo il 1965, alla fine del Concilio Vaticano II. La maggior parte delle teologhe vive nel Centro Italia (42%) e nel Nord (35%); il 12% nelle isole e l’11% nel Sud: numeri coerenti con il fatto che nel sud e nelle isole c’è un minor numero di facoltà teologiche e nessuna università pontificia.

Ma se è vero che tanta acqua è passata sotto i ponti, è altrettanto vero che la scelta degli studi di teologia non è stata comunque facile. Delle 112 che hanno risposto alla domanda circa gli ostacoli incontrati, 65 hanno detto di aver trovato difficoltà nel percorso formativo e professionale: più della metà (35) ha visto ostacolati soprattutto la carriera professionale e il «ruolo di teologa nella Chiesa» (32); 15 la «crescita professionale»; 12 «la specificità del pensiero femminista nella Chiesa e nella società» e tre «la teologia femminista nella Chiesa».

È stata volutamente affidata a una risposta aperta la domanda circa i tipi di ostacoli che le teologhe hanno riscontrato nell’ambito del lavoro teologico-religioso. Numero e tenore delle risposte (72) induce a pensare che si tratti di un nervo scoperto. «Domanda retorica: sono uomini e preti! E così le donne non hanno spazio alcuno», è la risposta che, secondo Canta, meglio riassume tutte quelle espresse. Approfondendo le ragioni delle difficoltà emerge che la prima causa è attribuita alla «paura delle competenze delle donne» (47%); seguono l’«esistenza di pregiudizi nei confronti delle donne nella Chiesa di appartenenza» (25%); «l’esistenza di pregiudizi nei confronti della donna in genere» (18%) e «una certa misoginia» (11%).

Il fatto che solo quattro delle 107 teologhe che hanno risposto a questa domanda ritengano che la causa sia da imputare a «pregiudizi nei confronti della singola persona» evidenzia che «le motivazioni degli ostacoli sono di carattere strutturale e culturale e perciò molto più profonde e difficili da sradicare e superare nel breve periodo».

Una visione confermata dalle risposte sull’atteggiamento della Chiesa nei confronti delle donne: «critico» per il 47%, «negativo» per il 13%, «positivo» per il 22% e «molto positivo» solo per un 2%.

Ciononostante, dalle risposte emerge un forte ottimismo (91%) circa il futuro di una teologia al femminile, soprattutto tra le teologhe di età compresa tra i 46 e i 65 anni (47%). In generale, le intervistate – che a questa domanda potevano fornire più di una risposta – ritengono di poter contribuire positivamente all’elaborazione teologica e al suo sviluppo (57%), alla ricerca (39%), all’insegnamento (36%), alla crescita del laicato (21%), alla formazione (19%), alla collaborazione più intensa con i teologi (13%) e al governo della Chiesa (7%).

Ma qual è il loro sogno? Quello maggiormente condiviso riguarda una «Chiesa che, al suo interno, viva il Vangelo e realizzi la collegialità e che, all’esterno, abbia una diversa collocazione nella storia e un rapporto più sereno con la modernità e il mondo, come auspicato dal Concilio Vaticano II». Ma forte è anche il desiderio «di una Chiesa che valorizzi e accolga il ruolo e la competenza delle donne», «non solo per la specificità del femminile nelle relazioni, ma nella valorizzazione di essa fino ad auspicare la scomparsa dei temi di “genere”».

Insomma, la speranza al fondo di questa ricerca, come spiega Carmelina Chiara Canta nella presentazione del volume, è che tra gli uomini, di Chiesa e no, non si considerino più le donne come «pietre scartate» e che, nell’altra metà del cielo, cresca la consapevolezza di essere «testate d’angolo».