Il sistema dell’8 per mille va “rinegoziato”. Parola della corte dei conti

Ingrid Colanicchia
Adista Notizie n. 44 del 13/12/2014

Che il meccanismo dell’8 per mille non sia trasparente e abbisogni di una rinegoziazione, per i lettori di Adista non è una notizia. Ma lo è che a dirlo, stavolta, sia nientedimeno che la Corte dei Conti nella Relazione concernente la “Destinazione e gestione dell’8 per mille” depositata il 19 novembre scorso (e resa nota il 28).

Sul banco degli imputati i magistrati contabili pongono in primo luogo il meccanismo di ripartizione dei fondi che prevede che le quote non espresse – quelle che non vengono destinate, perché il contribuente non firma né per lo Stato né per una delle confessioni religiose che ha accesso ai fondi – siano comunque ripartite in proporzione alle firme ottenute. «In tal modo – si legge nella Relazione – ognuno è coinvolto, indipendentemente dalla propria volontà, nel finanziamento delle confessioni, con evidente vantaggio per le stesse, dal momento che i soli optanti decidono per tutti». Un sistema che inoltre «avvantaggia soprattutto i maggiori beneficiari» i quali hanno goduto di un «effetto moltiplicatore» che ha «portato, alcuni anni, quasi a far triplicare le risorse a disposizione delle confessioni». La Chiesa cattolica, per esempio, con il 37% circa di firme si aggiudica più dell’80% delle risorse. I fondi destinati alle confessioni poi sono talmente ingenti – parliamo di oltre 1 miliardo di euro l’anno – da non avere riscontro in altre realtà europee e, prosegue la Corte, sono «gli unici che, nell’attuale contingenza di fortissima riduzione della spesa pubblica, si sono notevolmente e costantemente incrementati». A mo’ di esempio i magistrati fanno il parallelo con quanto erogato al Ministero dei Beni culturali e del Turismo nel 2013: meno di 1 miliardo e 700 milioni. «Ciò significa che, negli ultimi anni, la contribuzione alle confessioni religiose ha superato i due terzi delle risorse destinate alla conservazione del patrimonio artistico del Paese».

Il quadro delineato, sottolinea la Corte, evidenzia l’opportunità di «una rinegoziazione del sostegno finanziario alle confessioni», per esempio rideterminando «gli importi attraverso una consistente riduzione della quota Irpef assegnabile o in base alle sole scelte espresse», consentendo così un notevole risparmio per lo Stato.

La Corte rimarca poi il fatto che molte confessioni sono escluse dai fondi 8 per mille essendo l’accesso consentito solo a quelle che hanno firmato un’Intesa con lo Stato, con «il rischio dell’affermazione di un pluralismo confessionale imperfetto, in cui il ricorso alla bilateralità pattizia permetta l’affermazione di uno status privilegiato».

Manca poi trasparenza sulle erogazioni, così come non ci sono verifiche sull’utilizzo dei fondi ripartiti.

Lo Stato, inoltre, «mostra disinteresse per la quota di propria competenza, cosa che ha determinato, nel corso del tempo, la drastica riduzione dei contribuenti a suo favore, dando l’impressione che l’istituto sia finalizzato, più che a perseguire lo scopo dichiarato, a fare da apparente contrappeso al sistema di finanziamento diretto delle confessioni». A ciò ha contribuito secondo la Corte: a) la totale assenza di promozione delle iniziative, risultando lo Stato l’unico competitore che non sensibilizza l’opinione pubblica sulle proprie attività con campagne pubblicitarie (mentre, nel 2013, la Chiesa cattolica ha speso, solo per gli spazi pubblicitari Rai, oltre 3 milioni e mezzo di euro; quella valdese 30mila); b) la drastica riduzione delle somme a disposizione, dirottate su altre finalità, a volte antitetiche alla volontà dei contribuenti; c) il fatto che una parte consistente delle risorse, da ritenersi alternative a quelle in favore delle confessioni, sia stata veicolata verso scopi riconducibili agli interessi di quest’ultime.

Solo per fare un esempio, come già scrivevamo mesi fa, dei quasi 170 milioni di euro di pertinenza statale per il 2013, poco più di 400mila sono stati usati per le destinazioni previste (fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati e conservazione di beni culturali, cui da quest’anno si è aggiunta la voce edilizia scolastica), finanziando i progetti di quattro associazioni, due delle quali cattoliche. Tutti gli altri soldi, ovvero 169 milioni e 500mila euro sono stati usati per pagare i debiti della pubblica amministrazione alle imprese, per coprire le spese del decreto del “Fare”, per la copertura dell’Ecobonus e per finanziare gli incentivi per le nuove assunzioni di lavoratori under 29 (v. Adista Segni Nuovi n. 8/14). Decurtazioni che per la Corte vanno eliminate poiché «violano il patto con i contribuenti».

Le amministrazioni interessate hanno sei mesi di tempo per comunicare alla Corte e al Parlamento le misure adottate, comunicando inoltre, entro 30 giorni, un provvedimento motivato qualora ritengano di non ottemperare ai rilievi formulati.

I commenti al parere della Corte

Immediate le reazioni di alcuni dei diretti interessati. Il moderatore della Tavola valdese, Eugenio Bernardini, ha espresso apprezzamento per l’impianto generale dei rilievi mossi dalla magistratura contabile, pur sottolineando che la Chiesa valdese ha orientato l’intera gestione dei fondi che le sono stati attribuiti a criteri di laicità, trasparenza ed efficacia finanziando solo opere sociali, educative e culturali ed escludendo le attività di culto, la retribuzione dei pastori e la ristrutturazione o la costruzione delle chiese. La Chiesa valdese, ha proseguito, «è pronta a dare il suo contributo per un confronto sulle criticità del sistema rilevate dalla Corte dei Conti», comprendendo «che in un tempo di crisi si possano ridiscutere aspetti di questo sistema: per esempio, la riduzione della percentuale dall’8 al 7 o al 6 per mille è un’ipotesi che può essere considerata, soprattutto nel quadro di un impegno dello Stato a un uso mirato e strategico dei fondi così recuperati» (Nev, 1/12).

Di invito che merita la massima considerazione ha parlato Heiner Bludau, decano della Chiesa evangelica luterana in Italia (Celi), sottolineando che «la rendicontazione Celi dei fondi 8 per mille è stata effettuata sempre in totale conformità alle norme vigenti, con l’intenzione di fornire un quadro esaustivo ai cittadini». «Anche se gestiamo fondi che costituiscono soltanto una piccola quota del sistema – ha proseguito – viviamo tale gestione come una grande responsabilità. E riteniamo anzi che proprio la trasparenza della gestione e l’uso virtuoso dei fondi abbiano determinato la crescita progressiva delle firme a favore della Chiesa luterana: dalle circa 40mila del 2009 fino alle 58.500 registrate nel 2013, con una crescita pari al 45% in 5 anni. E il dato 2013 è particolarmente significativo se si pensa che equivale a oltre 8 volte il numero dei luterani in Italia».

Ben diversa l’accoglienza da parte del quotidiano dei vescovi, per il quale la Corte «esprime giudizi politici sorprendentemente netti e orientati da uno spirito anti-religioso». «Non manca poi – prosegue Avvenire nell’articolo a firma di Umberto Folena (29/11) – un singolare passaggio sulla poca trasparenza. Se anche un tale affondo fosse di competenza della Corte, va ricordato che da sempre la destinazione dell’8 per mille della Chiesa cattolica, e di altre confessioni, è pubblica e disponibile in varie forme (inserzioni sui giornali, pieghevoli…) e soprattutto sul web». Per Avvenire quello della Corte dei Conti è «un attacco a un sistema che invece ha enormi meriti. Primo tra tutti, essere un sistema “inclusivo” che soddisfa un doppio interesse: delle religioni a svolgere con serenità la propria missione a vantaggio dell’intera popolazione, e dello Stato a consolidare il clima di collaborazione con le religioni, nell’interesse del Paese, sulla base di Intese formali aderenti allo spirito e ai valori cardine della Costituzione repubblicana». Temi su cui il quotidiano dei vescovi torna anche il giorno seguente con un’intervista a Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale.

Di tutt’altro avviso il portavoce di Noi Siamo Chiesa, Vittorio Bellavite, che in un intervento del 1° dicembre definisce le critiche della Corte dei Conti «giudizi fondati sul buon senso e su principi di equità che i cattolici critici, in primis Noi Siamo Chiesa, hanno fatto presente da anni». «La condizione di privilegio della Chiesa cattolica nel nostro Paese è unica in Europa», prosegue Bellavite: «In Spagna, per esempio, la percentuale sull’imposta è del 7 per mille e non è prevista la distribuzione della quota di gettito relativa a chi non ha fatto alcuna opzione». La gestione dei fondi che la Cei riceve ogni anno, inoltre, è troppo sbilanciata a favore di culto e pastorale (43%) e sostentamento del clero (33%) rispetto agli interventi caritativi (il 23%, di cui solo l’8% al Terzo mondo).

Sul fronte della trasparenza poi, è sì vero che sul sito della Cei e su quello dell’8 per mille sono disponibili le rendicontazioni, «fatto ampiamente propagandato come segno di grande trasparenza e garanzia di buon uso del gettito», ma «per la verità chi li legge si accorge subito della loro debolezza, un bluff, diciamolo chiaramente, poiché la disaggregazione delle voci previste è insufficiente e tale da non soddisfare chi avesse minime esigenze di conoscere concretamente i veri ultimi destinatari delle risorse distribuite». La proposta di Noi Siamo Chiesa è quella di ridurre progressivamente la quota dell’8 per mille «in modo da azzerarla nell’arco, per esempio, di dieci anni e senza mettere in discussione pregiudizialmente tutto il Concordato. Ciò permetterebbe a tutte le strutture della Chiesa di ridurre gli sprechi, razionalizzare gli interventi, sollecitare la base cattolica a contribuire, fare così del problema delle risorse un problema del popolo cristiano, come già avviene nella gran parte degli altri Paesi (anche di quelli a maggioranza cattolica) e soprattutto di andare nella direzione della fedeltà all’Evangelo».