Papa Francesco, quella voce necessaria che grida nel deserto

Adriano Donaggio
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Si chiude l’anno, se ne apre uno nuovo. L’anno che cambia è anche tempo di bilanci, di sguardi verso l’orizzonte che può aprirsi, indicare una meta, a volte mostrare nubi che si addensano. Come si chiude l’anno per Papa Francesco? Certamente la sua popolarità non solo non è diminuita, anzi si è accresciuta, ma non sempre la popolarità è un buon indice per capire che le cose vanno bene. Se non vi fosse preoccupazione non avrebbe rivolto alla Curia romana un discorso così duro, preciso, puntuale.

Mai un pontefice, da Pio XII in poi aveva sperimentato un’opposizione così dura proprio all’interno dei propri collaboratori, vescovi e cardinali. Cardinali che prima dell’ inizio del Sinodo lo anticipano con una pubblicazione, nei fatti dogmatica, che chiude a ogni possibilità di discussione collegiale sulla complessità dei temi che riguardano la famiglia. Capita anche dell’altro. Un cardinale italiano che lascia un’intervista a un importante giornale italiano che di fatto chiude ogni possibilità di discussione, di presa di posizione di quello che una volta veniva chiamato il Santo Padre. Un’intervista nella quale, di fatto, dice quello che il Papa potrà dire e non dire.

Chissà? Forse il tentativo di presentarsi come il leader di coloro che nella chiesa si presentano come un punto fermo, il baluardo contro innovazioni, anche solo ventilate, considerate inaccettabili. In fondo il Papa ha 78 anni, non è escluso che tra due/tre anni si ritiri e qualche cardinale possa entrare in conclave ancora papabile, pronto a raccogliere i voti di quanti vogliono un ritorno all’ordine.

Alcune interviste sorprendono specie se fatte da qualche cardinale che nella diocesi che ha a lungo governato prima di essere promosso pare abbia lasciato debiti non di poco conto, restauri discussi. Qualcuno che, certo, in forma legittima, ha poi ricevuto finanziamenti, certo in modo lecito, da un’istituzione che è ancora sulle pagine dei giornali per fenomeni corruttizi che hanno coinvolto azionisti e dirigenti. A volte si ha l’ impressione che in quanto a inflessibilità ci si sbilanci con durezza sulla sessualità, sulla moneta si sia meno rigidi.

L’articolo di Messori sul Corriere della sera, certamente scritto in assoluta buona fede e onestà di intenti, è la chiara apertura di un dibattito su questo pontificato, una messa in discussione molto simile, per noi italiani, a quelle che precedono la sfiducia al governo in carica.

Papa Francesco e l’Italia. Non credo abbia trovato una situazione brillante. Molte diocesi a rischio di default, oberate di debiti la cui formazione è incomprensibile al semplice osservatore, Beni della Chiesa, così pare, svenduti in modo discutibile. Qualche monsignore finito in carcere. La Chiesa italiana non ha avuto molti punti di riferimento (il card. Pellegrino, a Torino; il card. Roncalli e il card. Cè, a Venezia, il card. Martini a Milano; il Card. Ruini, Presidente della Cei). Non grandissimi teologi. Paradossalmente uno dei più importanti teologi italiani del secolo scorso è sempre vissuto in Germania: Romano Guardini. La pochezza di alcuni teologi della curia vaticana si è dimostrata tutta nel Concilio Vaticano II. Forti in una Chiesa vaticanocentrica, autoritaria, chiusa e gerarchica, arrivati a un confronto internazionale si sono trovati nudi alla meta.
Ha trovato, nella Curia e nella nazione, coloro che con la scusa di “una corretta interpretazione” hanno svuotato di significato il Concilio Vaticano II. Tra questi, lo stesso Ruini? Sodano? Bertone? Teologi e vescovi sparsi. Forse gli stessi che oggi fanno muro alle iniziative del Papa, al tentativo di ritrovare il fondamento della chiesa non tanto negli orpelli esteriori, negli ossequi dei salotti, ma sui solidi fondamenti del Vangelo.

Papa Francesco e l’Europa. Il suo discorso rivolto al Parlamento europeo è stato lucido, acuto, preciso, e farebbe molto bene all’ Europa se questa lo seguisse. Ma oggi la chiesa conta in Europa? In Spagna ha perso posizioni e autorevolezza, in Francia quasi non esiste, In Germania dopo l’ unificazione ha perso molte posizioni, in Italia le chiese e i seminari si svuotano. E’ colpa dei 21 mesi di pontificato di Papa Francesco?

Papa Francesco e le persecuzioni. Qualcuno pensa che non sarebbe andato in Turchia o a pregare in una Moschea se non fosse stato anche per dare un messaggio al mondo mussulmano e praticare l’ unica difesa forse possibile per i molti cristiani perseguitati e trucidati in nome dell’ Islam.
In questa situazione, in un modo complesso, violento, ipocrita, dove il danaro sembra essere tutto, Papa Francesco è tornato ai testi sacri. Tutte le sue citazioni sono tratte dalla Bibbia, dal Vangelo, dagli Atti degli apostoli. Lui che viene da Buenos Aires, che conosce bene la situazione degli emarginati, della prostituzione, dello sfruttamento delle persone, della droga, della dittatura, del traffico delle persone, della criminalità organizzata e non, ha scelto gli ultimi.

Sandro Magister ha ospitato nel suo blog, “Settimo cielo”, questo brano (e il dibattito che ne è seguito) di un teologo anglofono. Dice questo testo: “non penso proprio che ci sia un “mistero” di papa Francesco in materia economica. Penso piuttosto che lui di queste cose non abbia la più pallida idea. Non ha una coerente comprensione dell’ economia”. Il testo, letto nella sua integralità mi pare arrogante. E’ vero che la Chiesa, gesuiti compresi con le loro 220 università, non hanno una comprensione dell’ economia qualitativamente importante (per la verità nenche gli economisti titolati visto che ben pochi di loro avevano previsto la crisi che c’ è stata). Ma è vero che Papa Francesco ha capito perfettamente e coerentemente ciò che gli serve per il suo ministero: che la crisi deriva dalla finanziarizzazione dell’economia (cosa su cui oggi convergono gli studiosi più autorevoli), dallo sfruttamento dell’uomo, dalla sottrazione dei suoi diritti, dalla centralità del lavoro, della sua dignità.

Non sta a lui indicare le terapie, ma la diagnosi, il continuo richiamo a ciò che è il problema, il dire con forza che questo problema va affrontato non è per niente demagogico, come afferma imprudentemente il teologo anglofono. Sono affermazioni coerenti con i problemi centrali dell’ uomo di oggi. Aggiungerò di più: a volte è necessaria una voce che grida nel deserto perché possano avvenire fatti nuovi.

Non è possibile chiudere il discorso su Papa Francesco e il 2014 senza registrare il successo della mediazione, con l’aiuto dell’ arcivescovo dell’Avana, tra Stati Uniti e Cuba e l’inquietante presenza in Vaticano di Ali Agca. La diplomazia vaticana può contare su una personalità eccellente e di grande valore come mons. Parolin e su una diplomazia in cui i vari Nunzi, oltre a conoscere perfettamente l’ Europa, hanno fatto esperienza in Africa e in America Latina. Mentre operano hanno presente la situazione di tre continenti diversi. La diplomazia vaticana ha anche il vantaggio che ogni sua mediazione può avvenire nella riservatezza più assoluta. Nulla di quel che avviene durante una mediazione fatta dalla diplomazia vaticana sarà utilizzato a fini mediatici o per condizionare una delle parti.
Ali Agca. Una presenza inquietante. Elegante in un cappotto di lana di grande qualità, ha affrontato un viaggio costoso, complesso, superando barriere evitate con attento studio. Chi l’ ha finanziato? A che fine? Cos’ è una minaccia? Un avvertimento? Il Gesto di un folle? A noi la cosa lascia nel profondo un senso di inquietudine che non pensiamo essere banale.