Dio è incompatibile con la democrazia

Angelo Cannatà
www.micromega.net

Quando accadono fatti terribili come quelli di Parigi si resta sgomenti. Sapevamo del terrorismo, certo. Soprattutto dopo l’11 settembre. Eppure solo adesso, dopo l’assassinio di Wolinski e dei suoi compagni di Charlie Hebdo – forse – abbiamo capito.

Abbiamo compreso che la domanda (radicale) alla quale occorre rispondere non si ferma alla cronaca – agli attentati di Londra, New York, Parigi… – ma ha davvero a che fare con la filosofia: “la democrazia ha bisogno di Dio?”

Habermas, per dire, risponderebbe di sì. La religione è utile: occorre “tributare alle comunità religiose il pubblico riconoscimento per il contributo funzionale che recano…”. Per i valori e i principi di solidarietà che trasmettono. Giusto. A una condizione: che si resti nel cielo ideale di comunità interreligiose che dialogano, nella reciproca tolleranza e in perfetta armonia con la politica. Vista dalla redazione di Charlie Hebdo – 7 gennaio 2015 – l’interpretazione muta: il “contributo funzionale” assume il volto della morte. È questo il punto. E da qui occorre partire ascoltando (soltanto) la ragione e la logica.

La democrazia ha bisogno di Dio? Non basta evocare “il dialogo interreligioso che tutto risolve e pacifica”. Scalfari su Repubblica cita il Papa: il dialogo “è la sola via da percorrere insieme. Il bene fondamentale è la convivenza pacifica tra i popoli superando le differenze di civiltà, di cultura e di religione.” Parole. Messe da parte le pie intenzioni e i buoni propositi, cosa resta? Nella realtà, qui e ora, c’è gente che uccide in nome di Dio. Allah è grande. Dunque?

Dunque bisogna chiedersi se la risposta, ripetuta all’infinito e per questo già maleodorante – “l’Islam e il Cristianesimo non sono intolleranti” –, ci soddisfa e fino a che punto. L’affermazione appare vera, in realtà è fuorviante: “Tutte le religioni monoteiste sono per principio intolleranti. Se c’è un Dio solo e io, suo fedele, sono nella verità, tu sei dalla parte degli infedeli; quindi non ci si può intendere. L’intolleranza è costitutiva di tutti i monoteismi: i totalitarismi, lungi dall’essere prodotti dell’illuminismo, sono eventi religiosi.” (Galimberti, MicroMega, n. 5, 2003).

Questo è il dato – inconfutabile – da cui partire, posto che si voglia continuare a pensare. L’infatuazione per il Papa “buono e giusto” è un’altra cosa. Non si tratta qui di Bergoglio o degli “imam francesi che hanno diffuso con lui una dichiarazione (…) di pace e di speranza capace di costruire ponti tra gli uomini.” (Repubblica, 11 gennaio). I ponti, solidi e duraturi, si costruiscono su altre fondamenta. La speranza non basta. E nemmeno la manifestazione di Parigi. Esaurita l’onda emotiva cosa resta?

La strada l’ha indicata secoli fa Ugo Grozio: nelle relazioni pubbliche e nella vita politica agire “etsi Deus non daretur”, come se Dio non ci fosse. La fede è un fatto di coscienza. Ha diritto a manifestarsi in forma pubblica solo come culto. Sono parole essenziali. Interiorizzate da tutti i fedeli, di qualsiasi religione, avrebbero evitato i massacri del passato e la tragedia di Charlie Hebdo, il 7 gennaio. E’ questa la direzione. Diffondere – quanto più possibile – la filosofia moderna, l’autonomia della politica dalla religione. C’è bisogno di Machiavelli e Grozio, più che del Papa e dei suoi epigoni (cattolici e laici).

L’autonomia della politica consente il pluralismo delle idee e – in buona sostanza – la vera libertà religiosa che non accetta censure e, nello stesso tempo, non le pone. “La libertà religiosa comporta il diritto alle vignette sataniche contro Maometto” – scrive Flores d’Arcais – “esattamente come la rana crocefissa di Martin Kippenberger esposta a Bolzano (…). Sembrava ormai fuori discussione, dopo le infinite battaglie combattute lungo mezzo secolo” (2013, p. 70). Sembrava. Non è un dato acquisito la libertà di critica, di satira, di pensiero. I fatti di Parigi lo dimostrano. Anche la retorica sugli irresponsabili di Charlie Hebdo, ostracizzati dalla grande stampa, poi definiti eroi. “Parigi, due milioni di persone in marcia”. Quanto durerà? Quanto e come verrà strumentalizzata la manifestazione? Si vedono già i primi segnali.

Andrebbe evitata la costruzione di un nemico a cui addossare tutte le responsabilità. Jacques Derrida ci ha avvertiti: “se la ragione del più forte è sempre la migliore, esistono solo Stati canaglia” (Raffaello Cortina, 2003). Flores d’Arcais, da un’altra angolazione: La democrazia ha bisogno di Dio. Falso (Laterza, 2013): sono ottimi punti di partenza per un approccio filosofico – serio – al tema “democrazia”. Per non fermarsi alle vuote parole della politica.