La stampa cattolica, quella laica e i temi bioetici di C.Troilo

Carlo Troilo, Associazione Luca Coscioni
www.micromega.net

Nei giorni scorsi è apparso in edicola un nuovo quotidiano che fin dal nome – “La Croce, quotidiano contro i falsi miti di progresso” – la dice lunga sul programma editoriale.

Il giornale si presenta come organo della associazione “Voglio la mamma”, il che farebbe pensare ad uno scherzo del compianto settimanale satirico “Il Male”. E invece non è uno scherzo. Tranne il sabato e la domenica si può davvero comprare nelle edicole, costa come gli altri quotidiani anche se ha solo otto pagine, tratta soprattutto di temi bioetici ma ha qualche accenno alla politica, un po’ di spazio per lo sport e per i programmi televisivi (i sette principali canali terrestri, più – naturalmente – Radio Maria e Radio Vaticana).

Da quanto si può capire dai primi numeri ha l’ambizione (o la presunzione?) di operare la “reductio ad unum” delle posizioni della Chiesa su questi temi, che invece per fortuna sono abbastanza articolate, come ha dimostrato il recente Sinodo della Famiglia e come Papa Bergoglio ricorda spesso ad una torma di impuniti Cardinali.

I più vecchi ricorderanno un famoso programma radiofonico – Alto Gradimento – in cui i concorrenti venivano premiati con un certo numero di Babà (ai peggiori, naturalmente, toccavano “Zero Babà”). “La Croce”, invece, offre in regalo, ma “solo” a chi si abbona, il libro dal titolo “Voglio la mamma”, sottotitolo “La notte in cui tutte le vacche sono nere”.

Il direttore è Mario Adinolfi, che su Wikipedia è definito così: giornalista (in effetti, ha scritto su numerosi giornali cattolici ed è stato redattore del TG1 e vice direttore di Red TV); politico in vari partiti (DC, PPI, PD. Primo dei non eletti nelle liste PD del Lazio alle politiche del 2008, subentra nel giugno del 2012 a Pietro Tidei, eletto sindaco di Civitavecchia: quando si dice culo!); giocatore di poker (primo italiano finalista al Word Poker Tour al Casinò di Venezia); impegnatissimo blogger.
Nato nel 1971, è un “quasi sosia” di Giuliano Ferrara per la mole e la folta barba.

Forse, visto il piglio battagliero, vorrebbe esserne una “bella copia” anche come giornalista, ma sono un po’ troppi gli scivoloni che lo rendono un personaggio alquanto discusso. Ne cito alcuni, traendoli sempre da Wikipedia: dà del “frocetto” a un suo contraddittore in tv; dice alla “Zanzara” che “la moglie deve essere sottomessa al marito”; definisce i transessuali “dei moderni ircocervi, uomini con le tette di silicone che fanno solo tristezza”. In linea con una vita rutilante, ha sposato la seconda moglie a Las Vegas (Wikipedia non dice in quale casinò), andando così ad aggiungersi agli altri dichiarati nemici del divorzio Berlusconi-Fini-Casini.

Tanto per fare un esempio della obiettività del giornale, “La Croce” sostiene l’inutilità di una legge che preveda aggravanti per l’omofobia, sostenendo che in Italia i gay non hanno problemi. E se capita che ne abbiano, tutto finisce comunque bene. E il quotidiano cita il caso di un siciliano cui è stata negata la patente perché omosessuale. L’uomo, naturalmente, ha fatto ricorso e, dopo varie peregrinazioni fra tribunali civili e TAR, ha avuto la patente e il riconoscimento di un risarcimento. Come a dire, beato lui!

Fatte queste osservazioni bonariamente critiche, va però posto un problema che l’uscita de “La Croce” mette in evidenza.
L’Italia, per fare solo alcuni esempi, non ha né il testamento biologico né le unioni civili né il divorzio breve né una politica di sostegno ai disabili; non riesce nemmeno a discutere di eutanasia; vede quotidianamente messa in discussione la possibilità di abortire a causa del numero smisurato di obiettori di coscienza; non fa nulla di sostanziale per superare la vergogna della sue carceri: in altre parole, si pone in Europa come “il paese dei diritti negati”.
Tutto serve, in un paese così, tranne un nuovo quotidiano che si propone di negare i diritti civili.

E’ vero che i temi dei diritti civili interessano molto gli italiani, anche perché spesso li coinvolgono nelle loro vicende personali (dalle scelte di fine vita alle unioni civili, dal divorzio all’aborto alla fecondazione assistita e via dicendo). Ma mentre i grandi quotidiani dedicano supplementi ai temi più svariati (dai “tempi liberi” alla salute, dai libri alla cucina) nessuno di loro ha un supplemento o un inserto sui temi bioetici né dedica loro una costante attenzione. Così che, alla fine, tutto lo spazio viene preso da “E’ vita”, supplemento settimanale di “Avvenire”, sfacciatamente di parte ma ricco di notizie, dal “Foglio”, con le sue campagne barricadere ma anche con molte notizie da ogni parte del mondo, e ora da “La Croce”, che spesso offre notizie interessanti e inedite (almeno per me), ad esempio su come evolvono le unioni civili in Germania e in Austria. Per non dire dei “classici” della stampa cattolica, da “L’osservatore Romano” a “Civiltà Cattolica” alle tante riviste parrocchiali dalle tirature inaudite, raggruppate nella potente associazione UCSI, Unione Cattolica della Stampa Italiana.

Non meno ricco e articolato è il panorama delle associazioni cattoliche, che da sempre si battono per difendere i “valori non negoziabili” e che nel maggio del 2007, sotto la guida dell’ex sindacalista Sabino Pezzotta, hanno portato in piazza oltre mezzo milione di persone per difendere i valori della famiglia. Erano i tempi del governo Prodi e del coraggioso tentativo del ministro delle Pari Opportunità Barbara Pollastrini di introdurre nell’ordinamento italiano qualche regola di banale civiltà sulle unioni di fatto, da anni riconosciute nei maggiori paesi europei: tentativo frustrato dalla sua collega Rosy Bindi e dalla solita palude rappresentata dal nostro Parlamento.

Ho citato le associazione cattoliche, benché oggetto principale di questo articolo sia la stampa, perché sono rimasto colpito dal fatto che negli stessi giorni della apparizione de “La Croce” i maggiori giornali italiani hanno pubblicato una intera pagina a pagamento “firmata” da decine di associazioni cattoliche più o meno sconosciute, coordinate dalla più nota PROVITA. Nella pagina si propone ai lettori di firmare una petizione ai Presidenti della Repubblica e del Consiglio e al MIUR “per fermare l’ideologia del gender nelle scuole”. Ma poi, nel farneticante testo della pagina in questione, si parla anche di “sessualizzazione precoce dei nostri bambini”, delle “adozioni gay” e della “pratica degli uteri in affitto”. Non ho dati precisi sul numero delle pagine comprate, ma ogni pagina di un quotidiano importante costa dai 30 ai 50 mila euro. Dunque, questa assurda campagna è costata forse oltre un milione di euro.

In conclusione, io pongo tre questioni.

1) Perché i grandi giornali di informazione, che si dicono “laici” – e ancor più i pochi giornali “di sinistra” sopravvissuti alla moria di questi anni – non dedicano anche loro un supplemento settimanale – o quanto meno una attenzione maggiore e meno sporadica – ai temi dei diritti civili e della bioetica?

2) Chi paga per tutto questo revival di cattolicesimo integralista? A favore di chi e contro chi? Non certo contro il governo Renzi, ancor più cauto dei suoi predecessori sui temi “eticamente sensibili”. Contro le associazioni laiche e progressiste, “poveri untorelli” di fronte al granitico potere dell’establishment e del potere cattolico? O forse contro il Papa argentino, che getta un bel pò di scompiglio non tanto sui emi etici quanto sull’enorme e fino ad oggi incontrollato potere della finanza vaticana?

3) E’ possibile che non ci sia, in Italia, “un giornalista con le palle” che si incuriosisca e faccia una inchiesta approfondita? O sono i padroni dei giornali che preferiscono chiudere tutti e due gli occhi per non sapere e per non doversi confrontare?