Cinque nuove idee su come selezionare i vescovi di S. Magister

Sandro Magister
http://chiesa.espresso.repubblica.it

Da oggi e per altri due giorni i nove cardinali del consiglio che assiste il papa nel governo della Chiesa universale tireranno le somme del lavoro fin qui compiuto per la riforma della curia. E il 12 e 13 febbraio sottoporranno le loro proposte all’esame dell’intero collegio dei cardinali, riuniti in concistoro. Il concistoro sarà segreto, ma in ogni caso non produrrà nessuna conclusione. Lo stesso papa Francesco ha preso tempo e ha rimandato a non prima del 2016 ogni decisione attuativa.

Le proposte fin qui trapelate appaiono infatti ancora molto lontane dal configurare un progetto organico. Comprendono, ad esempio, l’accorpamento di un certo numero di uffici curiali in due nuove congregazioni, una per la carita, la giustizia e la pace e un’altra per il laicato, la famiglia e la vita, articolate ciascuna in cinque dipartimenti, ma non c’è alcun accordo su come di fatto esse potrebbero funzionare.

E la stessa incertezza riguarda anche alcuni dicasteri chiave esistenti, come la segreteria di Stato, la congregazione per la dottrina della fede e la congregazione per i vescovi. La segreteria di Stato è in via di mutazione, con già al suo fianco la neonata segreteria per l’economia, ma è tutto da vedere quali competenze le saranno alla fine attribuite e quali no.

La congregazione per la dottrina della fede, tra i cui compiti c’è quello di controllare parola per parola la correttezza dogmatica di tutti i discorsi e documenti della Santa Sede e del papa, si trova spesso esautorata. Non è raro che le sue correzioni ed osservazioni cadano nel vuoto.

Quanto alla congregazione per i vescovi, che provvede alla selezione dei candidati a guidare le diocesi, un’innovazione di fatto già in opera è che funziona a intermittenza. Con papa Francesco, infatti, accade di frequente che sia lui da solo a fare la scelta del nuovo vescovo, saltando del tutto la congregazione con le sue procedure e ignorando deliberatamente gli orientamenti e le attese degli episcopati locali. Un esempio clamoroso di questa autocrazia papale è stata la nomina del nuovo arcivescovo di Chicago nella persona di Blase Cupich.

In ogni caso, la riflessione su come potrebbe operare una rinnovata congregazione per i vescovi è in alto mare. La proposta di un’elezione dei vescovi da parte delle comunità locali ricorre spesso nei media, ma allo stadio di puro desiderio. Quando invece ci sarebbe spazio abbondante per innovazioni più fondate e più praticabili. Il testo che segue indica appunto alcune di queste possibili innovazioni.

Ha la forma di una lettera al papa e ne è autore il teologo australiano Paul Anthony McGavin, dell’arcidiocesi di Canberra e Goulburn, già capo della School of Business dell’University of New South Wales e preside del consiglio accademico della facoltà, poi sacerdote e parroco, e oggi cappellano dell’University of Canberra, autore di apprezzati saggi.

Le cinque innovazioni da lui proposte derivano principalmente da un’analisi critica delle modalità concrete con cui i vescovi agiscono con i loro sacerdoti. Questa analisi occupa la prima parte della lettera, il cui testo integrale è a disposizione in quest’altra pagina: http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350987 Mentre qui di seguito sono riprodotti l’inizio della lettera e la sua seconda parte, con le cinque proposte di riforma della congregazione per i vescovi.

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LETTERA APERTA A PAPA FRANCESCO

Paul Anthony McGavin

Caro Padre Santo,

Le scrivo riguardo alla riforma della congregazione per i vescovi. Lei ha detto che i cardinali, durante il conclave per l’elezione del papa, volevano la riforma della curia romana, e alcuni aspetti di tale attuazione hanno conquistato l’attenzione del pubblico. Tuttavia abbiamo ascoltato poco sulla riforma della congregazione per i vescovi. Vorrei spiegare perché essa è fondamentale.

Il riferimento originario e fondante di essa si trova in Marco 3, 13-14: “E Gesù salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici, che chiamò apostoli, perché stessero con lui e per mandarli a predicare”.

Lei, Padre Santo, ha naturalmente grande familiarità con questo testo, con la natura personale della chiamata di cui esso racconta e con la natura collegiale della stessa chiamata. Ciò che vorrei sottolineare come sacerdote diocesano è lo “stare con lui”, lo stare con Gesù. Questa sottolineatura potrebbe essere sviluppata nei termini del rapporto tra il successore di Pietro e il collegio apostolico dei vescovi. Ma io vorrei piuttosto sottolineare e mettere a fuoco questo “stare con” riferito a ogni vescovo diocesano “con” i suoi preti. […]

Ci si potrebbe chiedere: “Qual è il legame tra queste osservazioni e la riforma della congregazione per i vescovi?”. La risposta sta nel recupero di un reale principio di responsabilità dei vescovi sotto il mandato petrino. La congregazione per i vescovi ha bisogno di essere rimodellata e ripotenziata come uno strumento per la “conferma dei fratelli” nell’esercizio di un ministero episcopale responsabile, che rifletta i sentimenti del [documento curiale del 2004 intitolato] “Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi” e dei principi evangelici sottostanti.

Come si può realizzare tutto ciò? Propongo qui solo alcuni passi iniziali:

1. Risulta che la documentazione per la visita quinquennale dei vescovi “ad limina” nasce principalmente nell’ufficio del vescovo diocesano. In effetti, è lui che scrive il rapporto su ciò che ha compiuto. Il nunzio pontificio del luogo può fornire ulteriori informazioni alla curia romana. Ma la raccolta di queste ulteriori informazioni non è sistematica, e certamente non nasce dalla consultazione diretta del relativo presbiterio diocesano.

Sarebbe invece necessario ricorrere a un sistema simile a quello utilizzato dalla congregazione per l’educazione cattolica quando tale congregazione era responsabile dei seminari, con garanzie però che non erano presenti nelle visite ai seminari, per assicurare che le consultazioni dei seminaristi non fossero orchestrate dai rettori dei seminari stessi.

Una delegazione di visitatori della congregazione per i vescovi dovrebbe farsi presente in alcune diocesi selezionate, prima delle visite “ad limina” al papa e alla curia romana. La delegazione dei visitatori dovrebbe operare indipendentemente dai vescovi diocesani e indipendentemente dalle conferenze episcopali nazionali, dato che una conferenza episcopale agisce di solito come un’associazione di comune interesse. La delegazione dei visitatori dovrebbe essere accessibile a chiunque richieda di incontrarla, compresi i laici, ma soprattutto al clero e ai seminaristi. Affinché la delegazione dei visitatori sia informata a fondo, essa dovrebbe includere competenze locali che potrebbero provenire dal clero e dal laicato.

La scelta dei membri della delegazione dei visitatori potrebbe essere difficile, perché vescovi e burocrazie episcopali non hanno interesse a uno scrutinio disinteressato. Non è escluso che nella selezione di una delegazione di visitatori l’unica risorsa per la congregazione dei vescovi sia il consiglio del nunzio del luogo.

2. Al rapporto della delegazione dei visitatori dovrebbe essere dato seguito in modo tempestivo e proattivo dalla congregazione per i vescovi. È capitato di rado in Australia vedere rimossi dei vescovi, e dove ciò si è verificato lo è stato con ritardi prolungati. Sembra che solo le aberrazioni sessuali portino a un rimedio rapido. Anche un chiaro distacco dalla dottrina cattolica suscita solo interventi tardivi. Una amministrazione vescovile che non osserva un giusto procedimento canonico sembra poi non provocare nessuna azione.

I sacerdoti sono consapevoli che il ricorso alla congregazione per il clero può provocare solo varie tattiche di discriminazione e procrastinazione da parte dei vescovi, in quanto vi è una mancanza di competenza pratica nell’applicazione dei decreti della congregazione per il clero che sono favorevoli al clero. L’istinto vescovile per la sovranità assoluta e per la mancanza di trasparenza e di responsabilità ha radici profonde.

Di recente questa dinamica si è manifestata in un modo pubblico, in Australia, con una “Royal Commission” e varie inchieste parlamentari sulla gestione episcopale di casi di abusi sessuali su minori. È stato spesso imbarazzante vedere quanto i vescovi si sentano spaesati quando si trovano di fronte a questo tipo di scrutinio pubblico. Questi particolari esami pubblici civili sono stati per certi aspetti male intesi, in quanto hanno focalizzato l’attenzione sulla performance istituzionale della Chiesa, quando il problema è soprattutto della performance o non-performance sociale in un senso più ampio. Tuttavia, queste indagini pubbliche hanno messo in evidenza che cosa accade quando la configurazione istituzionale coltiva una mancanza di trasparenza e responsabilità.

Occorrono un pensiero strategico, una pianificazione e una capacità realizzativa di ciò che si può fare e si deve fare per rendere le visite “ad limina” strumentalmente più costruttive, per contrastare l’influsso corrosivo e corruttore di una mancanza di responsabilità episcopale. Si tratta di riconfigurare e ripotenziare il mandato della congregazione per i vescovi.

3. Dal punto di vista qui adottato consegue che anche gli atti pontifici di iniziativa del papa dovrebbero essere compiuti con prudenza e moderazione. Non mancano occasioni per tali atti.

Padre Santo, il Suo venerato predecessore ha inserito con un “motu proprio” il nome di Giuseppe nei testi della consacrazione eucaristica. C’è un altro testo liturgico che richiederebbe un inserimento “motu proprio”. Mi riferisco ai riti di ordinazione al diaconato e al sacerdozio nei quali il candidato, in ginocchio davanti al suo vescovo seduto, promette “rispetto e obbedienza” al suo vescovo e ai suoi legittimi successori.

Letto da solo, il testo liturgico non mette sufficientemente in chiaro che si tratta di un rispetto e di una obbedienza filiali. Mi ha sempre colpito come sarebbe terribile se avessimo testi liturgici per il matrimonio nei quali la sposa promettesse “rispetto e obbedienza” allo sposo, ma senza che lo sposo promettesse a sua volta “rispetto e onore” alla sposa. Per quest’altro momento liturgico cruciale e pubblico ci sarebbe bisogno di un inserimento testuale che metta in luce i privilegi e le responsabilità del vescovo nel ricevere questa promessa solenne dall’ordinando.

Tale inserimento potrebbe far sì che il vescovo ordinante risponda: “E io a mia volta prometto a te un servizio filiale della tua vocazione ministeriale secondo il modello di Cristo, maestro mio e vostro”. Ogni sacerdote e diacono dovrebbe essere in grado di chiedere rispettosamente al suo vescovo di rendere conto del suo modo di trattare con i suoi figli e fratelli nel ministero sacro.

4. C’è un’insufficiente percezione pratica da parte dei vescovi che il loro episcopato sia esercitato come da “un uomo sotto autorità”, e che un elemento cruciale di questa “autorità” sia il Codice di diritto canonico. Certo, l’autorità episcopale dei vescovi è personale, ma è anche una autorità che si esercita canonicamente, e si esercita con un occhio alle giuste procedure.

La responsabilità dei vescovi dovrebbe comportare il controllo dell’osservanza delle leggi canoniche nelle loro amministrazioni, come pure il controllo della coerenza nel rispetto delle giuste procedure. In Australia, davanti alla “Royal Commission”, i vescovi hanno descritto la congregazione per il clero – “il Vaticano” – come un ostacolo alle loro politiche di protezione dell’infanzia, mentre in realtà la congregazione per il clero richiedeva che i vescovi osservassero il giusto processo canonico nella loro gestione dei casi. Nel suo profilo strategico la congregazione per i vescovi ha bisogno di un atteggiamento proattivo nel chiedere conto ai vescovi della giusta amministrazione canonica in tutti gli aspetti del governo episcopale.

5. Le diocesi troppo spesso patiscono anomali prolungati intervalli tra i mandati vescovili. Le ragioni di questo possono essere molte e complesse, ma comunque è chiaro che la congregazione per i vescovi non è sufficientemente strutturata per un’azione strategica lungimirante in materia di sedi vescovili vacanti.

È debilitante per le diocesi e per i sacerdoti diocesani sperimentare degli interregni prolungati. Gli amministratori diocesani non hanno la possibilità di avviare dei nuovi piani, e così i piani e i programmi del vescovo precedente si consolidano, compresi quelli sconsiderati e disfunzionali. I sacerdoti si adattano ad essere senza un vescovo, e questa non è una buona abitudine per un presbiterio diocesano.

Senza dubbio ci sono molte altre cose che potrebbero essere dette sul tema della riforma della congregazione per i vescovi. Ma queste poche considerazioni potrebbero fornire un filo conduttore, dal punto di vista di un sacerdote diocesano con una vasta esperienza di alto livello nell’ordine civile e con alle spalle alcuni decenni di ministero diocesano, lontano dai centri di influenza e con il vantaggio di un’osservazione imparziale.

Le affido rispettosamente a Lei, Padre Santo.