Isis, Francesco, ce lo aveva detto di M.Politi

Marco Politi
il Fatto Quotidiano, 18/02/2015

Ora che la guerra, al di là delle giravolte twitteresche del governo italiano, sta diventando un tema tremendamente attuale, bisogna riconoscere che l’unico leader internazionale ad avere inquadrato con precisione il problema a livello geopolitico è stato papa Francesco.

Ad agosto, tornando dalla Corea del Sud, parlò di “Terza guerra mondiale” a pezzetti. Al sacrario di Redipuglia qualche giorno dopo, il 25 agosto, ripeté il concetto: “Si può parlare di una terza guerra combattuta ‘a pezzi’, con crimini, massacri, distruzioni”.

Non è uno slogan, è la fotografia dell’esistente. Basta guardare la mappa pubblicata ieri dal Fatto Quotidiano per comprendere che non si possono considerare i vari teatri di guerra dei gruppi jihadisti come crisi regionali, ma è urgente affrontarli nell’insieme: esattamente come durante la Seconda guerra mondiale, dove il fronte del Pacifico non era slegato da quello Occidentale e la battaglia di Leningrado non era scollegata dai combattimenti in Africa del Nord. In altre parole non si può “partire per la Libia” senza avere una politica globale nei confronti di tutti gli scacchieri, in cui avanzano il Califfato e i suoi imitatori.

Le parole di Francesco al corpo diplomatico il gennaio scorso aiutano a capire chi abbiamo di fronte. Non è un soggetto, che rappresenti l’Islam. “C’è un terrorismo di matrice fondamentalista… (che) perpetrando orrendi massacri, rifiuta Dio stesso relegandolo a un mero pretesto ideologico”. Un politologo non potrebbe dire meglio. Questo nuovo soggetto (strutturalmente diverso da al Qaeda) è un partito violento e totalitario – un nazismo jihadista si potrebbe qualificarlo – che si sta costruendo domini territoriali in varie zone tra Asia e Africa.

Sono i territori, i califfati, gli “emirati”, la grande novità. E da questo punto di vista non ha senso intervenire nell’uno o nell’altro separatamente senza avere una visione globale. Boko Haram in Nigeria e nel Mali, i jihadisti in Libia, il Califfato in Siria e Iraq, i jihadisti del Corno d’Africa sono elementi di una stessa partita. Partita mondiale, sottolinea il pontefice, che può essere giocata solo dalle Nazioni Unite, nel ruolo di autorità mondiale. Perché “è lecito fermare l’aggressore ingiusto”.

Partita non disgiunta da una seria analisi del traffico internazionale di armi. Perché ci sono “imprenditori di morte”, ha ricordato il papa argentino alla messa di ieri, che vendono armi a tutti i contendenti. Qui il discorso del pontefice si ferma. E la parola passa ai leader internazionali, ai quali toccherebbe preparare una risposta con una visione globale. In fondo i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu – Stati Uniti, Russia, Cina, Europa (Francia e Gran Bretagna) – hanno tutti interessi, anche particolari, per combattere insieme la formazione di stati jihadisti, ispiratori del terrorismo nelle rispettive aree. Bisognerà vedere se ne saranno capaci.

Ma ci sono anche alcuni altri duri interrogativi da affrontare.

Se il regime autoritario di Al Sisi è accettato dall’Occidente in nome della lotta contro i Fratelli musulmani, ha senso considerare nemico mortale il regime autoritario laico di Assad in Siria, sapendo che il collasso dello stato laico siriano favorirà i jihadisti e non porterà miracolosamente a una democrazia di tipo europeo? Qualcuno ha già deciso che deve nascere uno Stato Kurdo, spaccando Iraq, Siria e Turchia?

Chi sono gli interlocutori politici, anche tribali o di fazioni, con cui negoziare se si interviene in Libia contro i jihadisti?

Si può lasciare sola la Nigeria, palesemente incapace di sradicare Boko Haram?

E si può fingere di non sapere che l’occupazione continuata delle terre palestinesi da parte del governo israeliano costituisce – oltre che una ferita al diritto internazionale – un’infezione permanente nel Medio Oriente, destinata ad alimentare schiere di fanatici jihadisti?

Questo pontefice, così intenso quando parla da discepolo di Cristo, è al tempo stesso estremamente laico quando indica i problemi del mondo: la terza guerra mondiale a frammenti, gli interessi che sorreggono il traffico di armi e la “tratta” dei moderni schiavi, l’abisso insostenibile tra pochi ricchi e le masse planetarie di poveri.

Chi chiude gli occhi, non potrà dire di non essere stato avvertito.

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I cattolici italiani e la politica di fronte a ISIS. Risposta a Galli Della Loggia

Massimo Fagioli
www.huffingtonpost.it

Per quanti seguono quel che sta accadendo nella chiesa, è tempo di sentimenti contrastanti di questi tempi: all’entusiasmo per papa Francesco si contrappongono notizie e immagini che pensavamo avessero il loro posto negli incubi e non nella realtà. Non a caso alcuni, nei blog “cristianisti” fondamentalisti, vedono una coincidenza tra l’elezione di un papa angelico come Francesco e una situazione internazionale che fa pensare all’anticristo. Da questi blog all’editoriale di Galli Della Loggia di oggi la differenza è abissale: ma entrambi chiamano in causa la chiesa di oggi.

La contraddizione storica tra forze diverse all’interno della chiesa esiste ed è insita nella forza delle cose: la transizione in corso nella chiesa è un riflesso di quella in corso nell’Europa. La chiesa di papa Francesco è finalmente la chiesa del post-concilio Vaticano II, quella che aveva tratto la lezione che c’era da trarre dalle due guerre mondiali e che si attrezzava culturalmente e spiritualmente per una guerra fredda che allora, nei primi anni sessanta, si annunciava ancor lunghissima e non certo finita nel 1989-1991. In questo senso, i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI sono ancora pontificati reduci della guerra fredda: se non dal punto di vista ideologico, sicuramente da quello generazionale e geopolitico dei due papi provenienti da due paesi in prima linea nello scontro col comunismo sovietico.

Papa Francesco è il primo papa non euro-mediterraneo. L’elezione di papa Francesco nel marzo 2013 avviene sulla scia dello “spillover”, del tracimare della guerra regionale in Medio Oriente che inizia con l’invasione dell’Iraq e lo sconvolgimento degli equilibri tra sunniti e sciiti iniziata con la khomeinizzazione dell’Iran nel 1979. Il primo grande intervento di papa Francesco sulla scena internazionale è del settembre 2013 con la veglia di preghiera preventiva del bombardamento americano in Siria. Ma nello stesso tempo il papato di Francesco è il primo papato di una chiesa globale, che si orienta sempre più verso il sud e l’est del mondo, e deve fare i conti con una presenza dei cristiani in Medio Oriente sempre più marginale e rischiosa.

Quello che sta accadendo in Medio Oriente e, da qualche settimana a questa parte, a sud delle nostre coste in Libia, rappresenta un punto interrogativo per tutti, ma specialmente per i cristiani e i cattolici.

Le esecuzioni filmate da ISIS dei prigionieri non fanno molta differenza tra le religioni dei condannati. Ma la retorica anti-crociata del fondamentalismo islamico chiama la chiesa a cercare risposte adeguate alla sfida attuale: risposte diverse dall’appello ad un “ecumenismo del martirio” che non aiuta coloro che in Medio Oriente sono potenziali martiri, e diverse dalle accuse di falsa coscienza mosse al cattolicesimo progressista dagli editorialisti che credono nel ruolo della chiesa solo fino a quando essa dimostra di voler essere un baluardo della cultura occidentale.

La transizione del cattolicesimo italiano fa parte della transizione della chiesa cattolica verso un nuovo modello. Quel patrimonio di conoscenze, di relazioni, e anche di spiritualità che informava il carattere mediterraneo dell’Italia post-1945 era condiviso dalla classe politica e imprenditoriale, dai cattolici di base come dalle gerarchie, dalla diplomazia vaticana come dall’intellettualità laica italiana.

Oggi sembra essere parte solo della diplomazia vaticana e di alcuni influenti ma circoscritti gruppi ecclesiali. Dal punto di vista politico, la mancanza di una visione d’insieme del Mediterraneo e delle sue sfide da parte della classe politica italiana si deve anche alla scomparsa, salvo evidenze del contrario, del cattolicesimo politico italiano.

Per rispondere a Galli Della Loggia: il cattolicesimo che ha avuto interesse a capire e ad agire in Medio Oriente è stato, nel secondo novecento, quel cattolicesimo conciliare, progressista, spirituale che lui accusa dell’acquiescenza italiana di fronte all’islamismo militante. Per il cattolicesimo d’ordine che lui (e altri insieme a lui) sognano, il Medio Oriente è solo un’eresia storica, politica e teologica, e i cristiani mediorientali una nota a piè di pagina nella storia della chiesa.