Quale intervento in Libia. La posizione del Vaticano di S.Falasca

Stefania Falasca
www.avvenire.it

«Possa la comunità internazionale trovare soluzioni pacifiche alla difficile situazione in Libia»: l’ha detto il Papa a conclusione dell’udienza generale in piazza San Pietro, lanciando un appello per la pace in Maghreb e Medio Oriente. Nella Messa di martedì mattina a Santa Marta, in suffragio dei cristiani uccisi in Libia, papa Francesco ancora una volta aveva denunciato l’impero del traffico d’armi che alimenta le guerre.

Francesco: soluzioni di pace per fermare i mercanti di morte

Di fronte ai conflitti determinati dai “mercanti di morte” papa Francesco oppone la ratio delle soluzioni pacifiche richiamando la comunità internazionale a operare in questo senso. La linea del Pontefice è sempre questa, senza tentennamenti, e non potrebbe essere altra. Una linea identica a quella del segretario di Stato, il cardinale Parolin. Il quale di fronte alla grave crisi libica ha auspicato una pronta «risposta concorde della comunità internazionale», come ha affermato in occasione dell’anniversario dei Patti Lateranensi a Palazzo Borromeo. Dichiarazioni che taluni hanno voluto forzare in senso interventista.

Parolin alle Nazioni Unite

«Ma – ha nuovamente precisato il segretario di Stato ad Avvenire – ciò che ho detto è quanto avevo già affermato nell’intervento all’Onu del 30 settembre 2014».
Nel suo lungo intervento alle Nazioni Unite Parolin aveva espresso senza reticenze lo sguardo della Santa Sede sullo stato del mondo nel tempo presente, testimoniando una comprensione lucida dei complessi processi storici in atto e mostrandosi lontano anni luce da certe grossolane griglie ideologiche che in Occidente hanno dettato legge nella lettura dei fatti degli ultimi decenni.

No alle letture ideologiche

Dopo aver analizzato la novità rappresentata dal nuovo terrorismo jihadista globalizzato, il cardinale Parolin aveva preso nettamente le distanze dalle letture ideologiche che continuano a trovare spazio anche in Occidente e che tendono a leggere quanto accade in termini di scontro di civiltà e di guerra di religione. Aveva stigmatizzato le «soluzioni unilaterali» rispetto a «quelle fondate sul diritto internazionale» e auspicato la necessità di un ulteriore studio dell’efficacia del diritto internazionale oggi e sulla sua corretta attuazione attraverso i meccanismi utilizzati dalle Nazioni Unite «per prevenire la guerra, fermare gli aggressori, proteggere le popolazioni e aiutare le vittime».

L’Onu di fronte al nuove terrorismo senza frontiere

Davanti alla natura globale del nuovo terrorismo, «che non conosce frontiere – aveva spiegato ancora Parolin – gli Stati membri hanno la possibilità di onorare lo spirito della Carta delle Nazioni Unite». L’Onu è chiamata a farsi carico della «responsabilità di proteggere i popoli indifesi», che le compete per statuto. In questo orizzonte, riferendosi anche alle posizioni espresse in passato dall’osservatore vaticano presso l’Onu, il segretario di Stato aveva ricordato che è «sia lecito sia urgente arrestare l’aggressione attraverso l’azione multilaterale e un uso proporzionato della forza».

La legalità internazionale e la responsabilità delle nazioni

Ma proprio riferendosi alle prerogative e alle condizioni di adesione dell’Onu, Parolin non aveva fornito alcuna patente di legittimazione all’intervento militare a guida Usa messo allora in atto in Siria e Iraq, così come adesso non ha fornito giustificazioni per un intervento militare in Libia. Con riferimenti agli articoli della Carta fondativa dell’Onu, il cardinale ha infatti ricordato che «i partecipanti attivi e passivi di un tale sistema sono tutti gli Stati, i quali si pongono sotto l’autorità del Consiglio di Sicurezza e si impegnano a non intraprendere atti di guerra senza l’approvazione di questo stesso Consiglio». E «poiché non esiste norma giuridica che giustifichi azioni di polizia unilaterali oltre i propri confini», ha chiarito che tali azioni sono «di competenza del Consiglio di Sicurezza». Per di più, le azioni con mandato Onu richiedono «il consenso e la supervisione dello Stato nel quale viene esercitato l’uso della forza», se non vogliono trasformarsi in ulteriori fattori di «instabilità regionale o internazionale».

Occorrono «strategie innovative»

L’obiettivo fondamentale della Carta dell’Onu – aveva ribadito Parolin davanti all’assemblea generale – «è di evitare la piaga della guerra alle generazioni future. La struttura giuridica del Consiglio di Sicurezza, pur con tutti i suoi limiti e difetti, è stata stabilita proprio per questa ragione». Davanti alle nuove emergenze innescate anche dal terrorismo globale occorrono «strategie innovative» per riattivare «i meccanismi utilizzati dalle Nazioni Unite». Del resto poi è sotto gli occhi di tutti – tranne di chi non vuol vedere o è senza memoria – che operazioni militari condotte unilateralmente e senza porsi il problema di come gestire la fase post-bellica hanno aiutato solo a produrre caos e maggiore destabilizzazione in Medio Oriente.