Quando al sinodo vincono i riformatori. L’esempio della diocesi di Bolzano-Bressanone di V.Gigante

Valerio Gigante
Adista Notizie n. 7 del 21/02/2015

Sarà solo consultivo, sarà solo un fatto locale, che riguarda per di più una diocesi “periferica” ed eccentrica del nord Italia, ma di questi tempi vedere un Sinodo che discute, si confronta ed arriva a delle conclusioni condivise è certamente un evento significativo. Succede a Bolzano, terra per definizione di “frontiera”, dove convivono culture, lingue e tradizioni diverse. Dal primo e finora unico Sinodo della diocesi di Bolzano-Bressanone erano passati ormai 40 anni. E la diocesi, allora appena fondata, nel frattempo è cambiata profondamente.

Per affrontare con maggiore consapevolezza di sé e della realtà contemporanea questi cambiamenti la Chiesa locale ha deciso di convocare un Sinodo, e di coinvolgere non soltanto la gerarchia locale, ma tutto il popolo di Dio in un percorso comune di verifica e rilancio del messaggio cristiano in Alto Adige. “Di che cosa abbiamo bisogno per trovare oggi risposte alle domande della vita a partire dalla Parola di Dio?”. Con questo interrogativo, il 30 novembre 2013, si è avviato il percorso sinodale. Nella prima fase, di “ascolto”, migliaia di persone hanno potuto partecipare, portando i propri suggerimenti e le proprie proposte.

Poi, nell’aprile 2014, il Sinodo diocesano ha fissato i temi che avrebbero dovuto essere approfonditi, e che sono stati finora sviluppati attraverso quattro intense sessioni, cui nei prossimi mesi si aggiungeranno le ultime due. Il Sinodo si dovrebbe quindi concludere con una celebrazione solenne, presieduta dal vescovo nel Duomo di Bressanone, l’8 dicembre 2015. Nei documenti delle 12 commissioni sinodali sono finora emerse questioni (peraltro già previste come “temi sovradiocesani” e affidate in gran parte alla 12a commissione) che superavano la competenza del Sinodo diocesano, ma che si riteneva comunque giusto e legittimo affrontare, perché particolarmente cogenti per la vita attuale della Chiesa.

In particolare, nel corso della terza sessione la presidenza ha fatto esprimere i sinodali sul celibato, sull’ammissione delle donne al sacramento dell’Ordine e al diaconato, sulla comunione per i divorziati risposati e sull’amministrazione dell’unzione degli infermi da parte di laici incaricati. Una grande maggioranza si è espressa per un cambiamento delle attuali norme: il 79% dei presenti ha votato a favore della somministrazione del sacramento dell’unzione «indipendentemente dal sacramento della riconciliazione»; addirittura l’85% si è espresso a favore della comunione ai divorziati risposati, «dopo un processo di maturazione in cui la persona impara dai suoi fallimenti, ammette le proprie responsabilità e s‘impegna per una conclusione riconciliata del rapporto fallito»; il 62% ha affermato che il sacramento dell’Ordine «è aperto a tutti i battezzati e cresimati, donne e uomini»; al “diaconato femminile”, affrontato in un passaggio del documento programmatico della 5a commissione, ha detto sì il 79% dei sinodali altoatesini; mentre per il 62% di loro il celibato presbiterale deve essere una opzione, non un vincolo.

In un primo suo intervento diretto nei lavori del Sinodo, il vescovo Ivo Muser ha chiesto però di porre un accento maggiore sulle argomentazioni, piuttosto che sui numeri. Per questo, in seguito la presidenza ha deciso di non ricorrere più al voto per favorire il dibattito sulle motivazioni teologiche. La decisione non ha trovato però il consenso di molti sinodali. Sui “temi sovradiocesani”, in ogni caso, la plenaria del Sinodo avrà occasione alla fine di maggio di discutere e approvare il documento che la 12a commissione ha elaborato e che raccoglie le riflessioni (e i voti) del Sinodo.

Sul dibattito sinodale e sui suoi orientamenti Adista ha intervistato Paolo “Bill” Valente. Scrittore e giornalista, particolarmente esperto dei temi legati alla storia della sua terra, l’Alto Adige-Sudtirol, ed al multiculturalismo (e plurilinguismo) che la caratterizza, Valente dal marzo 2014 è direttore della Caritas diocesana; ma è stato anche direttore, dal 1993 al 2001, del settimanale diocesano Il Segno, in una stagione particolarmente vivace della vita della testata. (valerio gigante)

Quali tra gli aspetti finora emersi da questo Sinodo ti paiono più significativi?

Faccio solo una premessa rispetto ai cosiddetti “temi tabù”. Fin dall’inizio non c’è stata alcuna restrizione nella proposta e nella discussione di qualsiasi argomento, sia nelle sedute del Sinodo che negli incontri pubblici. È stato chiarito che su certi temi il Sinodo può parlare e discutere (es. sacerdozio femminile, accesso ai sacramenti, ecc.) ma non può prendere decisioni. Una commissione è stata incaricata in modo particolare di trattare questi temi, ma anche altre commissioni hanno discusso alcuni aspetti attinenti il loro interesse specifico.

Nella terza sessione del Sinodo i punti “extradiocesani” sono stati trattati a parte. Alla fine è stato chiesto quello che può apparire un voto. In realtà si tratta, per così dire, della “verifica del consenso” rispetto a questi temi, perché un voto presuppone una decisione. Non siamo abituati a discutere apertamente su come deve essere la nostra Chiesa. Aver visto che invece si può fare, mi pare già un risultato significativo. In una terra come la nostra, l’Alto Adige, non si confrontano solamente diverse visioni di Chiesa, ma anche differenti sensibilità culturali. Avviene anche nella Chiesa universale, del resto. Mi pare che il Sinodo, al di là dei risultati, sia una palestra di partecipazione, di ascolto e di corresponsabilità.

Quanto di questo Sinodo si deve al vescovo Muser, quanto alla presenza qualificata dei laici, quanto alla vicinanza della diocesi di Bolzano-Bressanone a quelle tedesche e mitteleuropee (e quindi alla conseguente “lontananza” da Roma e dalla Cei)?

Il vescovo ha avuto il coraggio di dire: parliamo senza tabù. E lo ha fatto prima che il mondo conoscesse papa Francesco. Nessuno lo obbligava ad indire un Sinodo. È stato un atto gratuito e di coraggio. Una terra come l’Alto Adige, per la sua storia, ha più a che fare con Roma di tante altre province italiane. Però è vero: il suo essere pluriculturale mette in contatto la diocesi con le esperienze ecclesiali del Sud e del Nord del continente. Ciò non ci rende esenti dal provincialismo, ma aiuta ognuno a relativizzare la propria esperienza. Significativo in tal senso anche il fatto che la recente sessione sia stata aperta dall’intervento dei due parroci luterani di Merano e Bolzano.

In che modo e in quale misura le aperture arrivate dal Sinodo locale possono, secondo te, incidere nel dibattito che sta preparando il Sinodo ordinario sulla famiglia del 2015?

Mi pare che certe posizioni orientate al cambiamento siano da considerare patrimonio di molte altre diocesi. A Bolzano e Bressanone sono entrate tra i temi di confronto del Sinodo, ma non si tratta di nulla di originale. Sono questioni già presenti al Sinodo straordinario dei vescovi del 2014 e lo saranno anche a quello ordinario (tanto più che il papa ha nuovamente chiesto che si esprimano pareri). È chiaro che la diocesi altoatesina non intende prendere decisioni sui cosiddetti “temi sovradiocesani”. Le riflessioni del Sinodo perciò saranno trasmesse a Roma, proprio perché possano essere un contributo al dibattito in corso.

Sacerdozio femminile, celibato presbiterale, comunione ai divorziati risposati: su quale di questi temi per primo la Chiesa sarà indotta a rivedere le sue norme, spinta dal sensus fidei fidelium che, come dimostra il vostro Sinodo, è ormai su posizioni diffusamente più avanzate rispetto alla gerarchia?

Sono temi sui quali non è affatto detto che il sensus fidei fidelium sia univoco e questo perché spesso i cristiani non si sono dati le competenze necessarie per partecipare davvero “da maggiorenni” alla vita della comunità. Personalmente penso che, quanto alla comunione ai divorziati risposati, l’accento verrà presto spostato dalla fredda norma alla prassi pastorale. Rispetto alla questione femminile (che comprende anche il sacerdozio) il papa ha già annunciato la necessità di una “profonda teologia della donna”. Il celibato obbligatorio, se lo si lega alla carenza di clero, è forse la cosa meno urgente. Più che del cosiddetto calo delle vocazioni sacerdotali, mi preoccuperei del calo delle vocazioni laicali e investirei sulla centralità della comunità cristiana e della Buona Notizia.