Papa Francesco e Comunione e Liberazione: separati in casa? di I.Colanicchia

Ingrid Colanicchia
Adista Notizie n. 11 del 21/03/2015

«Sono sicuro che la conoscenza che il papa ha di don Giussani attraverso i suoi scritti gli consentirà di offrirci spunti di giudizio, indicazioni e suggerimenti consoni alla nostra strada». Scriveva così il presidente di Comunione e Liberazione, Julián Carrón, in una lettera inviata ai membri della Fraternità a gennaio, in vista dell’udienza con il papa del 7 marzo scorso in occasione del 60° anniversario della nascita del Movimento e del 10° anniversario della morte del suo fondatore, Luigi Giussani. E le attese di Carrón in effetti non sono andate deluse, perché quanto a spunti e suggerimenti – anche se forse non quelli sperati – papa Francesco nel corso dell’udienza non si è risparmiato.

Dopo aver rivolto un pensiero a Giussani – verso il quale Bergoglio si è detto «riconoscente per varie ragioni» – il papa è passato a sottolineare come, a 60 anni dalla nascita di Cl, il carisma originale non abbia perso la sua «freschezza e vitalità» subito precisando però che «il centro non è il carisma» ma Gesù Cristo: «Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo – ha detto – io esco di strada». «Il carisma – ha proseguito – non si conserva in una bottiglia di acqua distillata! Fedeltà al carisma non vuol dire “pietrificarlo”», «non vuol dire scriverlo su una pergamena e metterlo in un quadro». «Il riferimento all’eredità che vi ha lasciato don Giussani non può ridursi a un museo di ricordi, di decisioni prese, di norme di condotta. Comporta certamente fedeltà alla tradizione – ha proseguito – ma fedeltà alla tradizione, diceva Mahler, “significa tenere vivo il fuoco e non adorare le ceneri”».

«Così, centrati in Cristo e nel Vangelo – ha detto ancora il papa – voi potete essere braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa “in uscita”. La strada della Chiesa è uscire per andare a cercare i lontani nelle periferie, a servire Gesù in ogni persona emarginata, abbandonata, senza fede, delusa dalla Chiesa, prigioniera del proprio egoismo. “Uscire” – ha proseguito – significa anche respingere l’autoreferenzialità, in tutte le sue forme, significa saper ascoltare chi non è come noi, imparando da tutti, con umiltà sincera. Quando siamo schiavi dell’autoreferenzialità finiamo per coltivare una “spiritualità di etichetta”: “Io sono Cl”. Questa è l’etichetta. E poi cadiamo nelle mille trappole che ci offre il compiacimento autoreferenziale, quel guardarci allo specchio che ci porta a disorientarci e – è l’ultima stoccata – a trasformarci in meri impresari di una ong».

Toni ben diversi quindi rispetto a quelli utilizzati solo il giorno prima durante l’incontro con le Comunità del Cammino Neocatecumenale quando, lasciate da parte le «raccomandazioni» rivolte al Cammino lo scorso anno (v. Adista Notizie n. 6/14), ne ha benedetto il carisma, esprimendo «apprezzamento» e «incoraggiamento» per quanto «stanno facendo a beneficio della Chiesa».Una diversità di toni che non stupisce: per un papa che ha fatto di una “Chiesa povera per i poveri” il suo slogan e che batte a piè sospinto contro le derive del potere, la tentacolare Cl presenta certamente più di un problema.

Gli ammonimenti del papa non sono passati inosservati all’interno del movimento. «Dal confronto emerge con chiarezza che papa Francesco non ha nei confronti di Comunione e Liberazione una particolare immediata simpatia», rileva su La nuova bussola quotidiana Robi Ronza, ex portavoce del Meeting di Rimini: «Non è un problema, ma non è nemmeno il caso di ignorare come stanno le cose. Agli albori dell’esperienza ecclesiale che oggi si chiama Cl, un altro papa, Paolo VI, era sulla medesima lunghezza d’onda, ma in seguito cambiò. E poi si sta con Pietro in ogni caso, ben al di là di contingenze del genere».

Ma c’è anche chi non ha perso l’occasione per autoincensarsi. Come Luigi Amicone, direttore del settimanale Tempi, vicino a Cl. «Sfidiamo chiunque a trovare in giro una piazza come quella vista a San Pietro sabato 7 marzo. In 80mila a recitare le lodi come nei conventi di clausura, in tono retto. In 80mila, senza una voce che andasse per proprio conto, nella preghiera, così come nel canto, in una sinfonia e attenzione rivolte al “centro”, al protagonista dell’incontro, il papa, «il dolce Cristo in terra» secondo l’espressione di santa Caterina da Siena. Sfida impossibile», scrive Amicone, «dunque tanto più indicativa di una realtà che giustamente fa inorridire i benpensanti».

Avvenire, dal canto suo, sembra voler smussare. Pubblica sì, l’intero discorso del papa – accanto ad alcuni articoli di approfondimento – ma lo titola piuttosto benevolmente, richiamandosi alle parole pronunciate dal papa: “Fiore di mandorlo come Gesù primavera per tutta l’umanità”.

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Comunione e Liberazione e il declino del carisma

Marco Marzano
Il Manifesto, 10 marzo 2015

E’ stato un “incon­tro di fami­glia” molto sin­go­lare quello di sabato scorso fa tra il papa e le molte decine di migliaia di mili­tanti di Comu­nione di Libe­ra­zione giunte a San Pie­tro da ogni angolo del mondo. Una rim­pa­triata fred­dis­sima, quasi gla­ciale, nella quale il pon­te­fice, pro­nun­ciate alcune rapide frasi di cir­co­stanza, ha affon­dato il col­tello nella carne viva del movimento.

«Ricor­da­tevi – ha detto con seve­rità Fran­ce­sco ai ciel­lini – che il cen­tro non è il cari­sma ma Gesù». Che tra­dotto suona: il cen­tro della vostra vita non deve essere il cari­sma di Gius­sani o quello del vostro movi­mento, ma piut­to­sto Gesù e la Chiesa tutta intera. Il papa ha poi pro­se­guito ammo­nendo i ciel­lini a non ado­rare il pro­prio metodo spi­ri­tuale, il pro­prio cam­mino spe­ci­fico e il pro­prio modo di attuarlo.

Ricor­rendo a quelle imma­gini vivide che ne hanno reso popo­la­ris­simi i discorsi, Fran­ce­sco ha esor­tato i ciel­lini a non diven­tare «ado­ra­tori di ceneri» o «guide da museo» e soprat­tutto a non per­dere la libertà, a non tra­sfor­marsi in un gruppo chiuso e auto­re­fe­ren­ziale, a non col­ti­vare una “spi­ri­tua­lità da eti­chetta”, l’etichetta di Comu­nione e Libe­ra­zione, dell’ “io sono di Cl”. Addi­rit­tura, secondo il papa, don Gius­sani non avrebbe avuto l’intenzione di fon­dare alcun­ché; per lui, il “genio del movi­mento” sarebbe con­si­stito in nulla di più che nel ritorno agli aspetti ele­men­tari del cri­stia­ne­simo. E basta, ha ripe­tuto il papa. «E basta», ha con­cluso con decisione.

Ce n’è abba­stanza per capire che quella di sabato è stata una scon­fes­sione solenne per il movi­mento gui­dato oggi da don Car­ròn. Il papa non ama Cl (penso ricam­biato). Credo che egli dete­sti la ten­denza dei ciel­lini a con­si­de­rarsi “chiesa nella chiesa”, la loro chiu­sura set­ta­ria (così con­tra­ria al suo appello ad «uscire nel mondo»), il loro cini­smo, la loro disin­vol­tura poli­tica, il loro senso di supe­rio­rità rispetto ad ogni codice morale, in qual­che caso anche a quello penale. Tutto que­sto a Fran­ce­sco non piace ed è un pro­blema serio per i ciel­lini per­ché l’avversione del pon­te­fice in una strut­tura ancora pro­fon­da­mente monar­chica come la Chiesa Cat­to­lica è un osta­colo non da poco per lo svi­luppo di un movi­mento ecclesiale.

Nel pas­sato era avve­nuto esat­ta­mente il con­tra­rio. Il grande favore con il quale Gio­vanni Paolo II e Bene­detto XVI hanno guar­dato al movi­mento di Gius­sani ne spiega buona parte della for­tuna degli ultimi decenni. Durante il lungo regno di Ruini a capo della Cei, Cl ha otte­nuto favori, pre­bende, inca­ri­chi, pro­mo­zioni e soste­gni di ogni genere da parte della gerar­chia. Ora il vento è cam­biato e non solo in Vati­cano: Ber­lu­sconi, l’alleato di sem­pre, ha imboc­cato il viale del tra­monto; For­mi­goni è ridotto all’anonimato; la Lom­bar­dia è finita in altre mani; tanti scan­dali hanno coin­volto affi­liati all’organizzazione.

Ma non si tratta solo di sfor­tuna, di una sorte dive­nuta cat­tiva. Il pro­blema prin­ci­pale di Cl non sono le anti­pa­tie di Papa Fran­ce­sco, il declino di Ber­lu­sconi e di Ruini o quello di For­mi­goni. Il pro­blema prin­ci­pale è lo smar­ri­mento della pro­pria anima, l’incapacità di sedurre con il pro­prio mes­sag­gio le gio­vani gene­ra­zioni, il cre­pu­scolo spirituale.

Le ragioni sono tante e tutte profonde.

La prima. Negli anni Set­tanta, al suo sor­gere, Cl si pre­sen­tava con la fre­schezza di un movi­mento nuovo, poli­ti­ca­mente e cul­tu­ral­mente ver­gine, spen­sie­ra­ta­mente aggres­sivo in un mondo stu­den­te­sco domi­nato dalla sini­stra. Diven­tare ciel­lino allora signi­fi­cava deci­dere di remare con­tro­cor­rente, met­tersi in dire­zione con­tra­ria rispetto ad un vento for­tis­simo che sof­fiava in tutt’altra dire­zione, nella società come nella Chiesa, domi­nata da altre più potenti orga­niz­za­zioni. E quindi richie­deva corag­gio. E anti­con­for­mi­smo. Nel tempo, Cl non solo ha perso quella posi­zione ori­gi­na­ria, ma è dive­nuto quasi il sino­nimo di una lobby politico-affaristica, di un gruppo di potere effi­ciente e spietato.

Quale fascino può eser­ci­tare una simile orga­niz­za­zione sui gio­vani di oggi? Quale sfida lan­cia ai ragazzi un movi­mento che pre­tende di defi­nirsi tale, ma che è diven­tato sem­pre più “sistema”, in certi luo­ghi quasi “regime”?

La mia impres­sione è che le scuole di comu­nità si siano pro­gres­si­va­mente svuo­tate, che Cl non recluti più nuovi mem­bri, che i gio­vani ciel­lini siano essen­zial­mente mili­tanti di seconda o addi­rit­tura di terza gene­ra­zione, cioè figli o nipoti di ciel­lini. Un gruppo dive­nuto endo­ga­mico, inaridito.

La seconda. Il papa esorta i ciel­lini a non met­tere il cari­sma di Gius­sani al cen­tro della loro vita. Ma che cosa è la vita del movi­mento senza il cari­sma di Gius­sani? Che cosa leg­gono e di cosa discu­tono i ciel­lini in tutte le scuole di comu­nità del mondo, e ad ogni livello dell’organizzazione, se non delle parole di Gius­sani? Impa­rati, medi­tati, man­dati a memo­ria, letti e riletti all’infinito come un man­tra, in tutte le salse e in tutti i con­te­sti, i testi di Gius­sani sono il verbo del movi­mento, la verità rive­lata, l’autentico oggetto della fede ciel­lina. Si alzi in piedi il ciel­lino che ha avuto accesso in una scuola di comu­nità alle parole di Gesù diret­ta­mente, cioè dai Van­geli, senza la media­zione e la rifles­sione di Giussani.

Senza il cari­sma di Gius­sani, il movi­mento sem­pli­ce­mente non esi­ste. O meglio, rimane una comu­nità di uomini e di donne affra­tel­late dall’amicizia e dalla lunga fre­quen­ta­zione degli stessi luo­ghi, ma perde la sua ragion d’essere più pro­fonda, il suo col­lante essen­ziale. Il punto è quanto, al di là degli ammo­ni­menti del Papa, è ancora vivo oggi quel carisma.

Quanta parte ne soprav­vive negli scritti che Gius­sani ci ha lasciato? Letti oggi, i libri di Gius­sani comin­ciano ad appa­rire deci­sa­mente datati, privi di quel respiro che per­mette ad un testo di soprav­vi­vere al logo­rio del tempo, pro­dotti di una sta­gione cul­tu­rale ed eccle­siale distante dall’attuale e quindi sem­pre più ana­cro­ni­stici, anno dopo anno.

Il papa ha invi­tato di fatto i ciel­lini ad ini­ziare la smo­bi­li­ta­zione, a scio­gliersi, a rien­trare ordi­na­ta­mente nei ran­ghi di Santa Madre Chiesa. Chissà che quel momento non sia più vicino di quel che immaginiamo.