Giubileo: una marcia della misericordia di G.Casale

Giuseppe Casale *
Adista Notizie n. 12 del 28/03/2015

L’annuncio di un “anno santo straordinario”, che inizierà il prossimo 8 dicembre, a 50 anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II, mi ha sorpreso e, insieme a tristi ricordi e qualche preoccupazione, ha suscitato in me attese e speranze.

I brutti ricordi sono legati alla commistione tra sacro e profano che caratterizzò alcuni momenti del Giubileo del 2000. Le preoccupazioni mi fanno riandare alla spettacolarità di alcune celebrazioni che poco spazio lasciavano a un meditato itinerario penitenziale. Le attese e le speranze sono legate al titolo del prossimo anno giubilare: “Anno santo della misericordia”.

Che cosa mi attendo da questa iniziativa di papa Francesco? Che egli senza esitazioni continui a richiamare il popolo di Dio all’impegno fondamentale di aprire il cuore all’amore del Padre, che non è un sentimento vago, ma un essere capaci di condividere l’amore di un Padre che vuole abbracciare tutti i suoi figli, senza alcuna discriminazione, liberandoli dalle oppressioni derivanti sia da inquietudini personali sia da violenze esterne che generano ingiustizia. Perché non c’è vero amore senza giustizia.

Il giubileo deve irrompere nel cuore dell’umanità come grido del Padre che convoca i suoi figli intorno all’unica mensa, imbandita per tutti.

Non deve trattarsi, anzitutto ed esclusivamente, di guadagnare (lucrare, si dice in gergo ecclesiale) un favore spirituale a proprio vantaggio, ma di gustare e vivere la gioia di una misericordia accettata e condivisa nella linea del Giubileo, così come è descritto nel libro del Levitico al capitolo 25.

L’anno santo deve diventare liberazione dalla schiavitù derivante dalle ossessioni del piacere e del possesso e deve aprire il cuore ad andare incontro ai bisogni di tutti. Il pellegrinaggio alle basiliche romane e ai luoghi in cui si potrà celebrare il Giubileo non può diventare una gita o un’evasione. Deve comportare una “uscita” da situazioni in cui quotidianamente giustizia e carità vengono calpestate.

Si può andare a Roma senza confrontarci con quelle moderne “basiliche” dove vivono (meglio, sopravvivono) migliaia di profughi in un clima di violenza, ruberie, stupri, fame? È lo “scarto” cui papa Francesco fa continuo riferimento; e, noi cattolici “per bene”, possiamo stare tranquilli di fronte allo scempio della dignità di tanti fratelli e sorelle che abbiamo rinchiuso in moderni lager isolandoli e tenendocene alla larga? Non è l’anno santo un anno di liberazione per questi schiavi di oggi? Invece di opere dispendiose e di abbellimento non possiamo impegnarci a far sparire tutti i campi dove sono ammassati i profughi e a ripulire le periferie romane, perché Roma appaia e sia veramente una città “sacra”, non solo per i monumenti che custodisce ma perché difende ciò che vi è di più sacro: la dignità e la libertà dei figli di Dio?

Non è utopia. È possibile. Solo se noi lo vogliamo seriamente. Solo se si renderanno disponibili le migliaia di case vuote e si daranno ai tanti senzatetto, con criteri di giustizia e accompagnando questa azione con iniziative volte a dare a queste persone il lavoro.

Papa Francesco, ne sono sicuro, guiderà questa marcia della misericordia. Con tutti gli uomini e le donne di buona volontà. L’8 dicembre, nel ricordo del Concilio Vaticano II che fu il concilio dei poveri, dovrà far gustare a tutti gli uomini e le donne del nostro tempo la consolazione che viene dalla misericordia del Padre.

* arcivescovo emerito di Foggia Bovino