Tra tanti problemi, è ancora il “gender” a turbare il sonno dei vescovi italiani di G.Petrucci

Giampaolo Petrucci
Adista Notizie n. 13 del 04/04/2015

Il Giubileo straordinario indetto «a sorpresa» da papa Francesco quale Anno Santo della Misericordia; la persecuzione dei cristiani nel mondo, «che cresce e si incrudelisce» (v. articoli seguenti); l’omaggio per l’elezione del presidente Mattarella; l’allarmante situazione del Paese, afflitto da corruzione e disoccupazione; il dramma dei migranti nel Canale di Sicilia. A tutto questo hanno guardato con attenzione i vescovi riuniti, dal 23 al 25 marzo, nella sessione primaverile del Consiglio episcopale permanente della Conferenza episcopale italiana. Ed è ovviamente questo il cuore della prolusione con cui il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, ha aperto i lavori.

Parole ferme contro malcostume e malaffare, che oggi «sembrano diventati un “regime” talmente ramificato da essere intoccabile», che «ammorbano l’aria che si respira, avvelenano la speranza e indeboliscono le forze morali». A tutto questo, aggiunge Bagnasco, dobbiamo reagire, perché «tutti siamo interessati al bene comune, e tutti ne siamo responsabili». In un periodo in cui moltissimi italiani soffrono crisi e difficoltà di ogni genere, aggiunge il cardinale, la disonestà rappresenta un’«offesa gravissima per i poveri e gli onesti. Ciò è insopportabile».

La prolusione sottolinea anche la stretta correlazione tra malaffare e disoccupazione: «Come pastori, diamo voce alla gente e, purtroppo, quella voce incalza le nostre parrocchie e diventa grido: invoca lavoro per chi l’ha perso e per chi non l’ha mai trovato. Invoca lavoro per chi è sfiduciato e si arrende mettendosi ai margini della società, facile preda della malavita. E con la disoccupazione, l’instabilità sociale cresce fatalmente».

Tra le preoccupazioni del cardinale e dei vescovi, anche «la tragedia di uomini, donne, bambini, che attraversano il mare per raggiungere le nostre coste con la speranza di una vita migliore», ma che invece si scontrano con la difficoltà dell’integrazione: «La situazione richiede visione, energie e risorse, che attestino che l’Europa esiste come casa comune e non come un insieme di interessi individuali ancorché nazionali. Un coacervo dove chi è più forte fa lezione e detta legge».

Il chiodo fisso

Le parole più dure e sprezzanti, però, Bagnasco le riserva per quello che ormai sembra il chiodo fisso dell’episcopato italiano in “epoca francescana”, la crociata che ha sostituito quella per i “valori non negoziabili” di ruiniana memoria, ovvero «la dilagante colonizzazione da parte della cosiddetta teoria del “gender”, “sbaglio della mente umana”, come ha detto il papa a Napoli sabato scorso». Il gender, sottolinea il presidente della Cei, «si nasconde dietro a valori veri come parità, equità, autonomia, lotta al bullismo e alla violenza, promozione, non discriminazione… ma, in realtà, pone la scure alla radice stessa dell’umano per edificare un “transumano” in cui l’uomo appare come un nomade privo di meta e a corto di identità».

Bagnasco prosegue su un terreno ancora più scivoloso, affermando che la «“Queer Theory”, nata negli Stati Uniti, combatte contro il normale, il legittimo, e ingloba tutte le soggettività fluide», con l’obiettivo di «costruire delle persone fluide che pretendano che ogni loro desiderio si trasformi in bisogno, e quindi diventi diritto. Individui fluidi per una società fluida e debole». Dopo aver praticamente dichiarato che i “diritti” delle coppie eterosessuali (come eredità, assistenza in malattia, alimenti, reversibilità della pensione, ecc.) possono essere declassati a “desideri” e “pretese” se riferiti alle coppie gay, e che l’estensione dei diritti civili alle persone omosessuali indebolisce la società, il cardinale punta il dito contro gli artefici della “propaganda gender”: «Inventori e manipolatori fanno parte di quella “governance mondiale” che va oltre i governi eletti, e che spesso rimanda ad organizzazioni non governative che, come tali, non esprimono nessuna volontà popolare».

Bagnasco non fa nomi ma evidentemente si riferisce alle fantomatiche “lobby gay” che si annidano nelle ong da lui denunciate ma anche e soprattutto nelle sale comandi delle istituzioni nazionali (come l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali presso la presidenza del Consiglio dei ministri) o internazionali (come l’Unione Europea e l’Onu), che si sono trovate più volte sotto il fuoco incrociato del mondo cattolico per aver chiesto alla politica italiana una svolta contro discriminazione, omofobia e bullismo. «Reagire è doveroso e possibile», conclude Bagnasco, «senza lasciarsi intimidire da nessuno, perché il diritto di educare i figli nessuna autorità scolastica, legge o istituzione politica può pretendere di usurparlo. È necessario un risveglio della coscienza individuale e collettiva, della ragione dal sonno indotto a cui è stata via via costretta. Sappiate, genitori, che noi pastori vi siamo e vi saremo sempre vicini».

Quando il vescovo chiama…

Rinvigoriti dall’affondo di Bagnasco, movimenti, associazioni e stampa “nogender” non hanno perso l’occasione per rilanciare l’anatema. Parla di «una lenta ma devastante corrosione» un editoriale del 24 marzo del direttore di Avvenire Marco Tarquinio. «Sono diversi e gravi i mali che congiurano a corrodere il vivere insieme», che «distruggono una grande ricchezza morale e materiale». La parola “corrosione”, sottolinea Tarquinio, «spiega bene i violenti processi con cui si punta a rendere impossibile la convivenza». Una parola-contenitore dentro cui il direttore inserisce un po’ tutti – e sembrerebbe tutti sullo stesso piano – i mali denunciati da Bagnasco: la corruzione, il jihadismo, le stragi dei migranti e la “teoria del gender”, che assedia le famiglie italiane e confonde «la verità della persona umana, uomo e donna» nei bambini fin dalla tenera infanzia.

Sulla stessa lunghezza d’onda il Movimento per la Vita che ha fatto proprio il pensiero del cardinale: «L’Italia non ha bisogno di una società fluida e debole», afferma il neoeletto presidente Gianluigi Gigli, «ma di un pensiero solido, capace di promuovere il bene dei giovani, in nome dell’umano, del diritto delle famiglie ad educare i figli, della democrazia stessa». Il Movimento per la vita «si opporrà in tutti i modi leciti» alla penetrazione della “teoria di gender” «nelle scuole italiane, nella convinzione che essa attenta alla radice stessa della generazione della vita».

All’indomani dell’intervento di Bagnasco, Radio Vaticana ha raccolto l’intervista di Franco Garritano, tra i fondatori del “Comitato art. 26”, «nato contro l’indottrinamento gender nelle scuole». Le iniziative anti-omofobia nelle scuole, afferma Garritano, rappresentano «un progetto veramente malvagio che inquina, indipendentemente dalla religiosità delle persone, l’umanità stessa». Con questi progetti «si educa ad un’affettività distorta», «si invitano i bambini da 0 a 4 anni a provare piacere utilizzando il proprio corpo», fino a «generare generazioni totalmente devastate».

Le parole del cardinale «richiamano l’attenzione di tutti noi sul pericolo che l’ideologia gender diventi il grimaldello che scardina i modelli antropologici», commenta anche Paola Ricci Sindoni, presidente di Scienza&Vita, in un comunicato del 23 marzo. Oltre alla scuola, aggiunge, «il problema investe anche la politica, che non può lasciare che l’indottrinamento ideologico sponsorizzato da poche lobby sia la base per la divulgazione di contenuti che nulla hanno a che fare con uno sviluppo psicologico armonico dei bambini».

Questione di status quo

Nel frattempo il mondo scientifico e laico – oltre all’associazionismo lgbt – si spende invece per dimostrare che la cosiddetta “ideologia del gender” (e con essa il complotto per “omosessualizzare” la società) non esiste e anzi non rappresenta altro che un’invenzione lessicale creata ad hoc dal tradizionalismo intransigente per stigmatizzare una componente della società italiana e per legittimare lo status quo maschilista e patriarcale.

Quanto affermato da Bagnasco, spiega Chiara Saraceno su MicroMega (26/3), nasconde «una visione in cui la differenza sessuale diviene totalizzante, assorbe e spesso impedisce ogni altra differenza, una forma di naturalizzazione priva di storia e riflessività che di fatto ipostatizza non tanto le differenze sessuali, quanto il modo in cui, a partire da esse, si sono costruiti rapporti e identità sociali e interi modelli organizzativi e culturali».

Proprio per contrastare questa visione limitante dell’uomo e della donna è nata nel mondo accademico l’esigenza di accostare al concetto di “sesso” quello di “genere”, che meglio evidenzia quanto il maschile e il femminile siano in realtà dei costrutti sociali che, inchiodando le persone a ruoli culturalmente e socialmente definiti, hanno portato ad una certa organizzazione della società, con quei precisi rapporti di potere e subalternità tra uomo e donna messi in discussione nelle democrazie moderne. «Per chi appiattisce le potenzialità e varietà degli esseri umani alla dicotomia della differenza degli organi sessuali e dell’apparato genitale – approfondisce la sociologa – l’omosessualità appare mostruosa», così come sembra «pericoloso ogni comportamento di uomini e donne che smentisce l’ovvietà degli stereotipi».

E infine: «Mentre agitano lo spettro della “colonizzazione da parte di una teoria del genere che mira alla creazione di un transumano”, le parole di Bagnasco testimoniano il persistere di teorie e pratiche che, in nome della natura, vogliono costringere uomini e donne nella corazza di ruoli e destini rigidi e asimmetrici, riduttivi della ricchezza, varietà e potenzialità degli esseri umani».